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WELFARE . La «marea nera» è l’agenda sociale dei «vincitori»: più avanzata nelle politiche famigliari, trascura precarietà e povertà lavorativa tradendo la matrice neo-liberista

Welfare, le «innovazioni» della Destra nel preoccupante vuoto a Sinistra foto di Ross Land/Ap

La Destra vince, il Pd mostra una volta di più l’incapacità (la non volontà?) di guidare una coalizione progressista in grado di contendere la vittoria al campo avversario, i partiti a sinistra del Pd – pur con il superamento della soglia di sbarramento da parte di Sinistra Italiana-Verdi – confermano di non riuscire a (a voler?) creare una forza capace di modificare asse e dinamica della competizione a Sinistra.

Ci riuscirà il M5S di Conte? Vedremo. Nel mentre, fiumi di inchiostro si sprecano sul «pericolo nero» rappresentato dalla Meloni e alleati uniti: c’è «una marea nera che sta salendo» per dirla con Giannini su La Stampa. In realtà, non c’è alcuna marea nera che sale, perlomeno in Italia. La Destra ha preso sostanzialmente gli stessi voti (12,3 milioni) del 2018 (12,1 milioni): ciò che ha determinato la vittoria sono state sia

l’incapacità, ormai ultradecennale, della Sinistra di mobilitare il proprio elettorato, sia le strategie divisive della stessa, impietosamente punite dalla legge elettorale parzialmente maggioritaria.

Si può dunque star tranquilli, leccarsi le ferite e aprire prontamente a collaborazioni con il futuro governo Meloni? Non proprio. Più che dei rischi di un’improbabile «scivolamento antidemocratico», elettori e forze politiche di Sinistra dovrebbero effettivamente preoccuparsi dei contenuti della proposta elettorale della coalizione vincente, e specialmente della sua agenda di politica sociale e del lavoro.

Paradossalmente, tale agenda è più «avanzata» nel campo delle politiche famigliari -, trascurate ancora un decennio fa da un centro-destra che mirava a perpetuare il «modello tradizionale di welfare» centrato sulla famiglia fornitrice di servizi e sostegno monetario a figli e nipoti: di «madre in nonna», come al tempo commentò lucidamente Daniela Del Boca. Oggi invece la Destra propone il rafforzamento dell’Assegno Unico, l’allineamento della spesa alla media europea e lo sviluppo di politiche di conciliazione per madri e (è una novità!) padri, nonché asili nido gratuiti e asili nido aziendali. La componente modernizzante del programma sociale della Destra si ferma però qui. Il resto dell’agenda ha un impianto sostanzialmente neoliberista, a partire dal durissimo attacco al Reddito di Cittadinanza, che deve essere eliminato per introdurre un nuovo strumento che tuteli soltanto le persone che non possono lavorare o difficilmente occupabili. Per gli individui in grado di lavorare la panacea è invece rappresentata dalle sole politiche attive del lavoro – peraltro scarsamente efficaci in contesti a debole domanda di lavoro come il Mezzogiorno italiano.

In campo pensionistico, il programma elettorale è rudimentale, con un vago accenno alla flessibilità in uscita e al l’innalzamento delle pensioni minime e sociali: rimane non chiaro quali gruppi e fasce sociali dovrebbero beneficiare della flessibilità in uscita, così come l’entità dell’incremento delle pensioni assistenziali.

Il cuore della strategia della Destra si coglie però osservando ciò che manca nell’agenda sociale. Evidente è infatti la lacuna rispetto alla tutela pensionistica per i giovani, specie quelli con carriere discontinue, di cui molto si è dibattuto nell’ultimo decennio, ipotizzando diversi meccanismi di superamento del metodo rigidamente contributivo: di questa sfida non v’è traccia nel programma elettorale di coalizione.

Ancor più indicativa – e preoccupante – è la mancata tematizzazione di due questioni cruciali relative a mercato e politiche del lavoro. Primo, la cosiddetta “in work poverty” e le necessarie misure di contrasto, tra cui la possibile introduzione di un salario minimo nazionale. Secondo, il riconoscimento del fatto che, come ha recentemente osservato Maurizio Franzini  redistribuire tramite politiche di welfare non è più sufficiente a neutralizzare le spinte verso la disuguaglianza nel mercato del lavoro. Per una «società più giusta e meno diseguale» sono perciò necessarie politiche pre-distributive, che incidano sulla struttura del mercato del lavoro al fine di contrastare la precarietà, come recentemente avvenuto in Spagna con la riforma promossa dal governo Sanchez. Di tutto ciò non v’è traccia nel programma della Destra.

In un paese che presenta tassi di disuguaglianza, povertà ed esclusione sociale (25% della popolazione) tra i più elevati d’Europa, l’agenda della Destra a guida Meloni rischia perciò di produrre un’ulteriore, drammatica, polarizzazione sociale. Sapranno, anche per contrasto a tale programma, le forze di Sinistra e di rappresentanza dei lavoratori costituire un presidio sociale e politico capace di dar vita a una robusta opposizione al nuovo governo, ponendo così le basi per una nuova offerta politica capace di superare steccati di partito, rivalità personali e l’assenza di quella visione propriamente alternativa e progressista che ha caratterizzato l’ultimo quindicennio?

* Professore di Scienza Politica, Università degli Studi di Milano