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COMMENTI. Enrico Mattei, un grande innovatore, non avrebbe apprezzato che il suo nome fosse speso per qualificare una delle operazioni energetiche più retrograde

Un governo fossile rinfrancato da una debole opposizione

L’hanno chiamata “Operazione Mattei”, cioè con il nome di uno dei più geniali industriali italiani del dopoguerra. Forse hanno pensato che quel nome avrebbe valorizzato il tentativo del nuovo governo italiano di fare dell’Italia un grande deposito di gas per distribuirlo poi nell’intera Europa, liberandola dalla sua cronica dipendenza da quello russo. Per questo motivo la presidente del consiglio Meloni è andata in Algeria, ovviamente accompagnata dal presidente dell’Eni a mendicare un aumento delle sue forniture, e per la stessa ragione il ministro degli esteri Tajani si è recato in Egitto, il paese che ha ucciso Giulio Regeni e tiene in ostaggio Patrick Zaki.

Dubito che Enrico Mattei avrebbe apprezzato che il suo nome fosse speso per qualificare una delle operazioni più retrograde come questa, anzi sono convinto che essendo un grande innovatore, oggi metterebbe la sua intelligenza e capacità imprenditoriale al servizio delle fonti di energia rinnovabile.

Al di là del nome l’intera operazione rafforza il sospetto che il paese del sole, del vento e con il più grande patrimonio idroelettrico europeo non utilizzerà queste sue materie prime ma rimarrà ancorato all’energia fossile che fa male al clima e costa cara per quanti soldi vengano buttati per contenerne il prezzo.

Scuole chiuse per neve dall’Emilia alla Basilicata, nelle Marche la Protezione Civile lancia l’allerta fiumi, più in generale il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1800 e ha registrato un aumento del 55% degli eventi estremi rispetto al 2021.

Che c’azzecca col gas e il viaggio della Meloni?, avrebbe detto Di Pietro l’ex ministro delle infrastrutture, nonché uno dei magistrati che con “Mani Pulite” misero fine alla prima repubblica, ma non alla corruzione.

Ed invece le due cose sono in stretta relazione, connesse dal cambiamento climatico visto che se si continua a produrre energia bruciando il gas, il petrolio e il carbone il clima cambia e ci espone a conseguenze come quelle che questo paese sta vivendo con continuità, dalle inondazioni nelle Marche, alla frana di Ischia per citare le più recenti. Sarebbe un importante passo avanti se chi governa il paese capisse la relazione fra le due cose, soprattutto che il sistema mediatico smettesse di raccontare che non si tratta di catastrofi naturali ed imprevedibili, ma disastri annunciati da rapporti scientifici. Soprattutto aiuterebbe l’opinione pubblica a capire che continuare col fossile espone il paese a costi pesantissimi sia sul piano economico che su quello della sicurezza collettiva (caro bollette e inflazione, disastri climatici).

Al rientro i nostri strateghi hanno però confuso le acque, parlando di mix energetico dell’indispensabilità per il paese di sviluppare le fonti rinnovabili alle quali serve tempo, quindi senza rinunciare alle fonti fossili. Detta così sembra una constatazione di buon senso ed invece sono balle. Non c’è nessun mix. Premesso che nel 2022 le emissioni climalteranti del paese sono aumentate, bastano alcuni dati per far comprendere che non c’è nessun mix energetico che indichi che si sta accelerando sulle fonti rinnovabili e decelerando sul fossile.

Secondo il gestore della rete elettrica Terna, le fonti rinnovabili hanno coperto nel 2022 solo il 31,1 della domanda elettrica toccando il livello più basso degli ultimi anni (36 nel 2021, 38 nel 2020) Eppure il presidente dell’Enel Starace ci ricorda che sono fermi per le interminabili pratiche autorizzative fra i 70 e gli 80 GW fra solare e fotovoltaico (per capire la dimensione di quanto viene tenuto fermo nel 2022 la richiesta di elettricità è stata di 316 Gwh).

Le comunità energetiche, che darebbero un grande contributo di partecipazione cittadina oltre a ridurre le bollette, sono ferme per disinformazione e complessità degli iter burocratici. Si può proseguire con la ferma opposizione esercitata le settimane scorse dal governo alla direttiva comunitaria (definita una tassa patrimoniale occulta) che obbliga, entro il 2033, gli stati membri a intervenire per garantire un patrimonio abitativo virtuoso nei suoi consumi energetici (1/3 dei consumi energetici totali). Infine in continuità con Draghi il governo si oppone alla direttiva europea con cui si intende mettere fuori legge entro il 2035 le auto che vanno a benzina e gasolio.

Questo, ma lo era anche quello Draghi, è un governo ostinatamente fossile a cui manca però una opposizione che lo incalzi su queste scelte disastrose per il paese.

Comunità energetiche; accelerazione delle procedure per iniziare a installare almeno una parte dei progetti rinnova sostegno della direttiva comunitaria sull’efficientamento del patrimonio abitativo; rapida approvazione di un piano di adattamento al cambiamento climatico, ecco quattro obiettivi su cui cominciare a rendere visibile un’opposizione non solo in parlamento, ma anche nel paese