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L'INIZIATIVA. Compito della politica è costruire una tregua delle armi con la diplomazia e il dialogo tra Usa, Europa e Cina. La guerra ucraìna o finisce «a tavolino» o s’infrange il tabù nucleare

 Un'opera di Banksy

Se c’è una parola che fino a poco più di un anno fa univa tutti, ed oggi divide. Se c’è una parola che trovava consenso trasversale ed oggi dissenso, una parola che richiamava un sentimento di fratellanza ed oggi di diffidenza, ecco, questa parola è: pace.

La guerra in Ucraina ha relegato la parola pace ai buoni sentimenti, pronunciata solo dagli ingenui che non sanno di cosa parlano, una parola che se usata troppo spesso innesca un sospetto di sostegno all’invasore Putin.

Viene in mente l’apologo riferito da Erasmo da Rotterdam, che un giorno vide passare un plotone di soldati ed accanto a lui c’era il “matto del villaggio”. «Dove vanno?» chiese il matto. «A fare la guerra», rispose Erasmo. «E dopo che l’avranno fatta?» riprese il matto, «Verrà la pace» rispose l’umanista, «E perché non cominciare subito a fare la pace?» concluse il “matto”. Ed Erasmo dovette ammettere che quel poveretto era l’unico a ragionare saggiamente.

Per questo i giovani delle Acli hanno organizzato e presentato alla Camera il progetto «Riscoprire la Pace: l’umanità e il dialogo come risorsa». Un percorso già iniziato da tempo, che farà tappa in cento città d’ Italia e d’Europa per parlare con i più giovani e tra giovani di pace, di un dialogo necessario, alla riscoperta dei valori della non violenza, della risoluzione dei conflitti sperando in una nuova fratellanza umana.

Percorso che finirà a novembre, a Parigi, con una grande Conferenza di Pace animata da giovani di tutta Europa. Questa iniziativa è stata pensata e voluta per andare contro l’idea comune a cui ci stiamo abituando tutti per cui la guerra si ferma solo con le armi, e per controbattere ad un clima ed un linguaggio solo di guerra. Stiamo assistendo ad un atto, questa invasione, fuori dalla storia, come giustamente ha detto il Presidente Mattarella e che già ora produce conseguenze tragiche. Nello stesso tempo vediamo una regressione delle relazioni internazionali, con un aumento ingiustificato di spese militari e la costruzione di centinaia di chilometri di mura ai confini tra paesi.

C’è una differenza sostanziale tra la difesa giusta ed entrare in un clima di guerra, in un’economia di guerra, in una giustizia di guerra, una politica di guerra.

A chi stiamo rispondendo: ad un popolo ferito oppure ad altri interessi? Perché quel popolo vuole la pace, merita la pace. La pace poi, non potrà che essere giusta. Ma non dobbiamo vivere nell’illusione che una pace giusta sia quella che ripristina le cose come prima, ciò non potrà mai avvenire. La pace la si fa con ago e filo, ricucendo le ferite e sperando che possano smettere di sanguinare.

Nulla sarà mai come prima. Il compito della politica è costruire la pace partendo da una tregua delle armi e rinnovando in modo forte la diplomazia internazionale partendo da un dialogo tra Usa, Europa e Cina. Oggi gli sforzi devono essere concentrati sulla fine di questa invasione, nella consapevolezza che questa guerra o finisce «a tavolino» o rischia di far saltare il tabù nucleare.

La guerra non serve a nessuno. Non alla Russia, che ormai ha capito che non potrà affermare la sua forza nei territori di competenza ex-Urss; né all’Ucraina che vede morire i propri figli e devastare le proprie città. Non conviene certo all’Europa che ha una voce flebile e sta diventando ostaggio delle nazioni dell’est più sovraniste.

Allora forse è vero che questa guerra finirà solo quando Cina e Stati uniti faranno un’azione congiunta in tal senso. Se così è, gli interessi della pace non sono dei cittadini che muoiono ma sono «interessi altri».

In questi giorni cade il sessantesimo anniversario della grande enciclica “Pacem in terris”, che fu in qualche modo il testamento spirituale di Giovanni XXIII. Con questa enciclica il «papa buono» metteva in evidenza per la prima volta il concetto di pace come idea integrale, come centralità dei diritti della persona umana, come realizzazione del bene comune e promozione e tutela della dignità e dei diritti originari ed inviolabili di ogni essere umano, evidenziando come a violare la pace non siano solo i conflitti armati fra Stati ma anche lo sfruttamento dei lavoratori, le discriminazioni e le violenze contro le donne, il rifiuto dei migranti, il razzismo e la tratta degli esseri umani…

Ed è vero in particolare, in questo tempo di aprile, il periodo in cui gli ebrei celebrano la loro Pasqua, per rievocare un cammino di liberazione dalla schiavitù attraverso il deserto, mentre i cristiani di ogni denominazione fanno memoria della passione e della risurrezione di Cristo, e gli islamici vivono il momento di purificazione del Ramadan, tutti insieme tendendo verso una nuova speranza di pace e di giustizia.

E allora forse la logica del “matto” di Erasmo, che è la stessa di papa Giovanni, di papa Francesco – che ieri sera nella Via Crucis dedicate a tutte le guerre ha voluto una testimonianza sia ucraina che russa – e di tante e tanti donne e uomini di buona volontà, non ci sembrerà più tanto strana e paradossale.

* L’autore è Presidente delle Acli