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Qui come un terremoto", frane e strade interrotte in Appennino

A proposito dei "fiumi diventati piste da bowling", nei primi giorni dell'alluvione essendo sfollato in altra zona ho rivisto Rossi, un ex collega della Cisa che è nato alla Seghettina, zona diga di Ridracoli. Parlando dell'alluvione ha ricordato che il suo nonno e gli altri abitanti di quelle valli appena iniziava a piovere partivano subito con vanga, badile e soprattutto zappa, ognuno a liberare i fossi critici del proprio bosco/terreno.

La stessa cosa ricordo raccontata con enfasi ed ammonimento anche da mio nonno che viveva ad Albero sopra Marradi. Lo facevano per scongiurare che l'acqua piovana non potendo scorrere si accumulasse  provocando una frana (un d'lat lo chiamava in dialetto mio nonno).

Ma stiamo parlando di abitanti insediati nel territorio da generazioni, che pur cambiando podere restavano nella stessa zona e trattavano il tema pioggia come il top delle problematiche, sia quando c'era che quando mancava; anche perché a volte il loro impegno non scongiurava frane ed allagamenti perché anche allora in quelle valli le piogge potevano essere molto forti e durature.

Oggi che.... quelli che avevano questa mentalità sono tutti morti, quelli venuti dopo sono tutti andati via.... penso che sarà impossibile riuscire a ripristinare un equilibrio che non c'è più.

Aggiungo (su quei montanari), che traevano quel poco che ricavavano per vivere dai castagneti e da campi oggi rimboschiti naturalmente, campi che sembra impossibile potessero essere coltivati, per la pendenza elevata, con l'unico ausilio delle mani e di un tiro di buoi quando si poteva.... Quei montanari appunto gestivano la sistemazione del pendio durante tutto l'anno come la priorità su tutto, fosse secco o piovoso, valutavano e commentavano l'esito di un acquazzone decidendo come intervenire, ma soprattutto se pioveva a dirotto partivano (bagnandosi) per controllare la situazione ed intervenire se necessario.

Questa cosa  è continuata come atteggiamento anche quando la mia famiglia è  emigrata sotto Faenza (je avnù zô cun la fiumana li appellavano i residenti storici, ribadendo l'aspetto del legame con il fiume). Ricordo con esattezza la loro ansia se la pioggia continuava a lungo, le loro continue uscite di casa con la "gabanna" aggiunta sulle spalle e la "caplena in sla zôca" per controllare l'effetto della pioggia in un luogo che non era più in pendenza e quindi meno vulnerabile.

L'avevano talmente impresso nel DNA (aspetto che ho citato in un breve ricordo di mio babbo quando è morto), che pulivano 2/3 volte l'anno (con falce, vanga, badile e zappa), i fossi stradali e poderali di pertinenza da erba, terra, ceppi, rifiuti gettati, guardati con curiosità e sufficienza dai confinanti (che svolgevano si questa attività ma solo in presenza di evidenti ostacoli e di erba molto fitta), e ad essere sinceri, anche dal sottoscritto che non comprendeva tale dispendio di fatica.