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File:Flag of Palestine.svg

Il governo israeliano ha completamente distrutto Gaza. Israele trasmette un messaggio molto chiaro: non c’è sicurezza per nessuno in nessun luogo, né nelle
moschee, né nelle chiese, né nelle strutture dell’Onu, né negli ospedali.
Save The Children ha raccolto dati sulla salute dei bambini a Gaza dal 2022. In vari rapporti esprime preoccupazione per la condizione dei minori, esposti ad episodi
estremamente traumatici, privati di qualsiasi mezzo per affrontare la situazione. Jason Lee, direttore di Save the Children per i Territori palestinesi occupati, in
un’intervista sul sito dell’organizzazione denuncia che i bambini a Gaza “non hanno un luogo sicuro dove rifugiarsi, sono privati di qualsiasi senso di sicurezza o di
routine, in migliaia sfollati dalle loro case…

Nelle condizioni attuali, a Gaza, i bambini manifestano tutta una serie di segni e sintomi di trauma, tra cui ansia, paura, preoccupazione per la propria sicurezza e per quella dei
propri cari, incubi e ricordi inquietanti, insonnia, difficoltà a esprimere le proprie emozioni e allontanamento dai propri cari. Il trauma che dà origine a questi sintomi
è continuo, inesorabile e si aggrava giorno dopo giorno”.
L’intervista sottolinea l’urgenza del cessate il fuoco: “Più volte abbiamo avvertito che il conflitto e il blocco avrebbero richiesto un tributo troppo alto alla salute
mentale dei bambini. Deve esserci un cessate il fuoco.

Senza di esso, i bambini che non vengono uccisi vedranno completamente distrutte le loro ultime riserve di speranza e la fiducia di essere protetti”.
Mentre la Corte di Giustizia dell’Aja prosegue con il processo per genocidio a carico del governo israeliano e le organizzazioni umanitarie lanciano appelli al cessate
il fuoco, nessun governo ferma Israele. Non cessano gli approvvigionamenti di armi, non vengono richiamati ambasciatori, non viene riconosciuto lo Stato di Palestina,
come hanno fatto, uniche in Europa, Spagna, Irlanda e Norvegia. Le diplomazie attendono che la popolazione di Gaza muoia sotto i bombardamenti e anche di fame,
sete e mancanza di cure, per l’interruzione di fornitura di acqua, cibo ed energia elettrica.
Il governo israeliano non vuole nessun tipo di dialogo, passando alla pulizia etnica di un popolo intero.

Dopo il genocidio arriva la deportazione forzata per chi è sopravvissuto.
Davanti a tanto scempio, sono necessari gesti concreti, anche attraverso lo strumento del boicottaggio. Molte aziende produttrici di merci apprezzate in Europa sostengono
l’esercito israeliano: con scelte mirate da parte dei consumatori è possibile segnalare la contrarietà a quanto sta avvenendo, generando un danno economico che costringa
queste aziende a cambiare rotta. Come Puma, che ha scelto di non rinnovare il contratto di sponsorizzazione della nazionale di calcio israeliana.
Secondo la rete Bds, i marchi coinvolti direttamente o indirettamente nell’appoggio all’occupazione israeliana compongono una lunga lista, piena di prodotti che ogni
giorno finiscono nelle nostre case. Qualche esempio.

Carrefour ha aperto un franchising con aziende israelianecoinvolte nelle colonie, mentre McDonald’s, Domino’s Pizza, Pizza Hut e Papa John hanno fatto generose
donazioni all’esercito israeliano. La filiale di McDonalds ha offerto 100mila pasti all’esercito e offre uno sconto del 50% ai soldati.
Ancora, la multinazionale Usa dell’informatica Hp aiuta Israele a limitare gli spostamenti dei palestinesi con un sistema di identificazione biometrico. I cosmetici
Ahava hanno il sito di produzione in un insediamento illegale. Danone detiene il 20% dell’azienda alimentare israeliana Strauss Group, investendo nei territori occupati.
Axa investe in banche israeliane che finanziano il furto di terre e risorse naturali palestinesi. Siemens è attiva nella proliferazione di colonie israeliane in territorio
palestinese attraverso la costruzione dell’Interconnettore EuroAsia.

Non è finita: Starbucks sponsorizza raccolte di fondi per Israele, e Coca Cola sostiene Israele dal 1966.
La svizzera Nestlè possiede il 50,1% dei capitali della catena alimentare israeliana Osem. Levi Strauss jeans e Celio finanziano le nuove colonie in Palestina ma anche
le scuole degli estremisti. Nokia ha un centro di ricerca in Israele. Caterpillar con i suoi bulldozer giganti contribuisce alla demolizione delle case in Palestina. Teva,
multinazionale del farmaco, è coinvolta nell’occupazione militare. L’elenco completo è reperibile sul sito della campagna.
Ecco un modo per non sentirci impotenti di fronte al genocidio di un popolo che si sta consumando in un silenzio assordante. Un modello di lotta pacifica ed efficace.

*Giornalista italo-palestinese
**Specializzanda in Studi di Genere e Diritti Umani
all’Università di Galway