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Dieci anni dopo l'accordo di Parigi nel 2015, le sfide dei cambiamenti climatici restano aperte: finanziamenti alle economie emergenti, politiche di adattamento, uscita dalle fonti fossili. Cosa si discuterà a Belém a novembre.

2025 UN Climate Change Conference (UNFCCC COP 30) – Huairou Commission

Un luogo simbolico, l’Amazzonia, e una data storica, dieci anni dopo l’accordo di Parigi sulle emissioni del 2015. Basteranno queste circostanze per ottenere risultati ambiziosi alla Cop30 in Brasile?

La prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la trentesima, si terrà a Belém, città di quasi un milione e 400mila abitanti alle porte della foresta amazzonica, sulla riva destra del Rio Guamá, dal 10 al 21 novembre.

Cop, ricordiamo, è l’acronimo di Conference of the Parties, la Conferenza delle Parti che riunisce i Paesi che hanno aderito nel 1992 alla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, firmata al Summit della Terra di Rio de Janeiro.

Manca poco più di una settimana alla Cop brasiliana e si segnalano già i primi timori sui possibili esiti.

A far discutere è soprattutto l’iniziativa Belém Committment for Sustainable Fuels lanciata dal governo brasiliano il 14 ottobre all’evento Pre-Cop a Brasilia, nota come “Belém 4x”: sostenere l’obiettivo globale di quadruplicare la produzione e l’utilizzo di carburanti sostenibili entro il 2035.

L’Italia, insieme a Giappone e India, ha già espresso il suo supporto all’iniziativa, volta a promuovere la diffusione di idrogeno e suoi derivati, biogas, biocombustibili e carburanti sintetici di origine rinnovabile (e-fuel).

Proprio il nostro Paese è capofila in Europa nella “battaglia” contro il regolamento Ue che impone di vendere solo nuove auto a emissioni zero allo scarico dal 2035, di fatto bandendo i motori endotermici verso il “tutto elettrico”. L’Italia, infatti, punta a includere nel regolamento l’uso di biocarburanti, nel tentativo di salvare le filiere industriali automotive tradizionali.

Tuttavia, come rimarca l’organizzazione indipendente Transport & Environment (TE), “un’adozione così massiccia dei biocarburanti potrebbe avere conseguenze molto negative per ambiente e clima, a seconda di come sarà interpretato questo impegno”.

Ad oggi, infatti, “l’espansione dei biocarburanti è stata disastrosa, con vaste aree di terreno disboscate per far posto a colture come la palma da olio, la soia, la canna da zucchero e il mais. Le recenti proiezioni di TE mostrano che, con gli attuali trend e politiche di crescita, il 90% dei biocarburanti dipenderà ancora da colture alimentari e foraggere entro il 2030”.

Più in generale, come abbiamo scritto riguardo ai Nationally determined contributions (Ndc), i piani contenenti gli impegni climatici ufficiali che ogni Paese firmatario dell’Accordo di Parigi presenta alle Nazioni Unite, l’Onu ha registrato diversi progressi ma anche tante incertezze.

Gli impegni principali sui temi energetici, stabiliti nelle ultime Cop (da quella di Glasgow nel 2021 a quella di Baku dello scorso anno) sono i seguenti:

  • triplicare la potenza delle fonti rinnovabili al 2030, arrivando a 11,2 TW;
  • raddoppiare il tasso medio annuo di miglioramento dell’efficienza energetica al 2030;
  • ridurre gradualmente la produzione elettrica da carbone senza abbiattimento delle emissioni;
  • eliminare progressivamente l’uso di combustibili fossili (e relativi sussidi).

Altro nodo da sciogliere è la finanza climatica.

Come scrive BloombergNEF in un documento che esamina le incertezze riguardo alla Cop 30, dietro gli investimenti nelle energie rinnovabili ci sono ampie divergenze geografiche.

I Paesi emergenti (esclusa la Cina) hanno investito 140 miliardi di dollari nelle rinnovabili nel 2024, rispetto ai 49 miliardi di $ nel 2015. Eppure, queste economie hanno assorbito solo il 19% degli investimenti globali in energia pulita lo scorso anno, con una media di circa il 18% nell’ultimo decennio.

E nell’ambito dei Paesi emergenti, la maggior parte dei capitali rimane concentrata in pochi mercati più grandi o con redditi più elevati, come India, Brasile e Sudafrica, mentre ai Paesi in via di sviluppo a basso reddito restano le briciole.

Questo squilibrio, afferma BloombergNEF, “è sorprendente, considerando che i mercati emergenti rappresentano circa il 40% delle emissioni globali e oltre il 60% della popolazione mondiale”. Pertanto, “allineare i flussi di capitale con questa crescente quota di domanda e di emissioni sarà essenziale, per raggiungere gli obiettivi globali di decarbonizzazione”.

Altro tema cruciale è la spesa per l’adattamento al surriscaldamento terrestre.

Sempre BloombergNEF evidenzia che “gli impatti fisici del cambiamento climatico rappresentano già un rischio finanziario significativo che costa all’economia globale almeno 1,4 trilioni di dollari all’anno” (1.400 miliardi di $).

La preparazione di un Paese agli impatti di eventi estremi come inondazioni, tifoni, ondate di calore, siccità, diventa sempre più rilevante per ridurre i danni economici a infrastrutture, aziende e comunità.

Tuttavia, la maggior parte dei Paesi non sta stanziando fondi sufficienti per le politiche e misure di adattamento climatico, anche se alcuni governi “stanno iniziando a considerare la resilienza climatica come un investimento strategico, non solo un centro di costo”.

In sostanza, la Cop 30 dovrà affrontare il tema di una transizione energetica equa e solidale, con flussi finanziari dedicati alle economie più povere e con obiettivi specifici per l’adattamento al global warming.

Lo scenario geopolitico attuale complica tutto: il negazionismo climatico di Trump, le dispute commerciali con la Cina a colpi di dazi e controlli sulle esportazioni di materie prime critiche, senza dimenticare le divisioni che albergano tra i 27 Stati membri Ue riguardo alle politiche ambientali.

Bruxelles non ha ancora definito i suoi piani ufficiali sull’energia e il clima da presentare alla Cop 30. Intanto il leader cinese Xi Jinping ha dichiarato all’assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre che il Paese ridurrà le emissioni del 7-10% entro il 2035, un target però poco ambizioso rispetto alle potenzialità del Paese.

Mentre il Production Gap Report pubblicato a settembre da diversi istituti internazionali di ricerca, stima che nel 2030 la produzione globale di combustibili fossili supererà del 120% quella compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media entro +1,5 gradi centigradi a fine secolo (1,5 °C è il target più ambizioso degli accordi di Parigi, che appare sempre più difficile da rispettare).

Come conclude BloombergNEF: “la transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 non procede abbastanza velocemente da consentire di realizzare l’ambizione di emissioni nette zero concordata a Parigi dieci anni fa”.

Per il “Net Zero” servono impegni e obiettivi ben più stringenti di quelli discussi nelle ultime Cop. Vedremo se in Brasile ci sarà un cambio di rotta, ma i dubbi sono tanti.