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Palestina Il premier israeliano sotto la pressione degli Stati uniti minaccia di «entrare con tutte le forze a Gaza». Il giornalista palestinese Hassan Eslaih giustiziato su un letto d’ospedale, Israele festeggia

I funerali del giornalista Hassan Eslaih Abdullah Abu Al-Khair/Apa I funerali del giornalista Hassan Eslaih a Gaza – Abdullah Abu Al-Khair/Apa

Gli ultimi due giorni in Israele sono stati molto concitati e insieme singolari. Soprattutto per Netanyahu, costretto a interpretare, in patria e in Medio Oriente, un ruolo minore nel copione a regia statunitense. La sensazione è che Washington stia tentando di insediare a Tel Aviv una sorta di amministrazione controllata, ora che il presidente Usa Donald Trump è impegnato a coltivare le relazioni nel Golfo.

NETANYAHU È RIMASTO da solo a registrare il suo video-messaggio mentre l’inviato statunitense Steve Witkoff incontrava Eden Alexander, l’ostaggio liberato lunedì grazie alle trattative dirette Usa-Hamas. Quando il primo ministro ha suggerito, in maniera piuttosto patetica, che la scarcerazione del soldato fosse frutto della pressione militare a Gaza, l’inviato di Trump ha incontrato a Tel Aviv le famiglie degli ostaggi. Proprio mentre Bibi dichiarava che nessun accordo fermerà la guerra, Witkoff prospettava una vicina soluzione negoziale.

Netanyahu doveva sentirsi sopraffatto quando ha rilanciato, ieri, l’espansione dell’offensiva militare di terra nella Striscia: «Nei prossimi giorni entreremo con tutte le nostre forze – ha detto – per completare il processo, per sottomettere Hamas». Ha ordinato alla delegazione negoziale di recarsi a Doha per trattare un accordo. Ma poi ha affermato che se anche Hamas decidesse di rilasciare degli ostaggi, Tel Aviv non fermerebbe i suoi attacchi: «Li prenderemo, dopodiché entreremo comunque. Non ci sarà una situazione in cui fermeremo la guerra».

È chiaro che il premier non ha alcuna voglia di negoziare. Ma Witkoff e l’ambasciatore statunitense Mike Huckabee devono essere stati particolarmente convincenti lunedì, quando lo hanno incontrato. L’inviato del presidente Trump è sembrato ieri particolarmente ottimista. Ha dichiarato alle famiglie degli ostaggi israeliani che crede fermamente nella reale possibilità di un accordo, e che per questo si recherà lui stesso in Qatar con la squadra israeliana.

Hamas ha accusato Netanyahu di «ingannare il suo popolo» e ha dichiarato che è stato il dialogo e non le bombe a permettere la liberazione dell’ostaggio: «Il ritorno di Edan Alexander è il risultato di serie comunicazioni con l’amministrazione statunitense e degli sforzi dei mediatori, non una conseguenza dell’aggressione israeliana o dell’illusione della pressione militare».

IL GOVERNO di Tel Aviv lo sa bene che nel Golfo si sta discutendo anche di Gaza, che Trump potrebbe mettere Israele dinanzi a un accordo compiuto ed esercitare la giusta pressione perché Netanyahu si senta costretto ad accettare qualcosa che non vuole. Ma d’altro canto ieri il premier ha ammesso che al suo piano di pulizia etnica manca ancora un tassello fondamentale: nessun paese intende prendersi carico dei palestinesi cacciati da Gaza.

«Se dai loro un’uscita, più del 50 per cento se ne andrà, a mio parere molti di più – ha detto – Ma c’è un problema, abbiamo bisogno che i paesi li ricevano. su questo stiamo lavorando». E non solo a questo, dato quello che sta avvenendo a Gaza. Ieri mattina l’esercito ha giustiziato il giornalista palestinese Hassan Eslaih mentre si trovava in un letto dell’ospedale Nasser, nel sud di Gaza.

Israele aveva già tentato di ucciderlo un mese fa, quando nel cortile dello stesso ospedale aveva colpito la tenda in cui si trovavano alcuni reporter. Il bombardamento e le fiamme che si svilupparono uccisero due giornalisti. Diverse persone, tra cui Eslaih, rimasero ferite.

Tel Aviv ha festeggiato l’assassinio, dichiarando che si trattava di un membro di Hamas. Ha poi bombardato un’altra struttura sanitaria, l’Ospedale europeo, a sud di Gaza City, uccidendo almeno 16 persone e ferendone settanta. Nel mirino sembra ci fosse Mohammed Sinwar, fratello di Yahiya e nuovo leader di Hamas.

Un uomo e sua moglie sono stati ammazzati in un altro attacco israeliano a Khan Younis, dove l’esercito sta espandendo la cosiddetta «zona cuscinetto», mentre continua la demolizione di case e strutture a Rafah.

IERI SONO stati riportati nella Striscia nove prigionieri palestinesi arrestati dall’esercito a Gaza. Altri undici erano stati consegnati alla Croce rossa internazionale pochi giorni fa. Uomini tra i 30 e 60 anni, trattenuti per mesi nelle prigioni israeliane, senza nessuna accusa, rapite da Gaza e riconsegnate senza alcuna spiegazione. Le famiglie non hanno ricevuto notizie dei propri cari per lungo tempo, non sapevano neanche se fossero vivi o morti. Tutti hanno raccontato di aver subito abusi e molestie nelle prigioni dello stato ebraico.

I militari israeliani hanno sparato a un palestinese nel campo profughi di Qalandiya, nella Cisgiordania occupata. Il filmato girato da un palazzo vicino ha ripreso poi i militari accanirsi sul ferito, colpendolo ripetutamente con calci alla testa.