Stampa

Qualche aiuto entra finalmente a Gaza ma non viene distribuito. Per l’Onu altri 14mila bambini sono a un passo dalla morte per fame, i bombardamenti continuano. Si muove il Consiglio affari esteri europeo: Israele viola i diritti umani, rivedere l’accordo commerciale. E l’Italia si dissocia

Palestina Dei 93 entrati ieri nessuno giunge a destinazione. Onu: 14mila bambini rischiano di morire, 28mila donne uccise in 19 mesi, una ogni ora. I raid israeliani centrano una scuola: 12 palestinesi muoiono bruciati. A Doha il negoziato è fermo

Dei bambini dentro la scuola Musa bin Nasir di Gaza City, ridotta in cenere da un attacco israeliano foto Getty Images/Abdalhkem Abu Riash Dei bambini dentro la scuola Musa bin Nasir di Gaza City, ridotta in cenere da un attacco israeliano – Getty Images/Abdalhkem Abu Riash

Ashraf Mahmoud Wafi aveva dieci anni ed è morto affamato. È stato ucciso ieri all’alba da un missile sganciato da un drone israeliano sul quartiere Al-Manara di Khan Younis. Era andato a cercare del pane. Ci era andato anche il padre, si erano divisi, forse sperando di avere più fortuna. Quando il papà è tornato, Ashraf era un corpo freddo in un sacco di plastica.

«Qualcuno ci dica che peccati stiamo commettendo. I nostri sogni sono diventati un pezzo di pane, i nostri sogni erano grandi e ora sono un pezzo di pane», urla il padre davanti al cadavere del figlio. La madre piange, lo prende per mano: «Perdonami, figlio mio, se non ti ho dato da mangiare». «È morto che aveva ancora fame, è morto mentre cercava mezza pagnotta», grida il nonno.

Poco più a nord, un anziano su una sedia a rotelle si mescola al fiume di gente in fuga verso sud. Il viso scottato dal sole, non riesce a trattenere le lacrime e i singhiozzi quando dice di volere solo un pezzo di pane: «Non mangio da tre giorni. Voglio solo una pagnotta».

GAZA È DISPERATA, sfinita, umiliata: dopo i cinque camion di aiuti umanitari entrati ieri dal valico di Karem Abu Salem, briciole cadute dal tavolo del governo del ricercato per crimini di guerra Benjamin Netanyahu, ieri ne sono passati qualche decina. Secondo fonti Onu, ne erano stati autorizzati 93. Sono meno di una goccia nell’oceano. Netanyahu l’aveva detto, si tratterà di aiuti minimi. È stato di parola. In serata l’Onu ha fatto sapere che delle decine di camion entrati ieri dal valico nessuno è giunto a destinazione per «problemi di logistica e di sicurezza».

L’appello lanciato ieri dai microfoni della Bbc da Tom Fletcher, sottosegretario generale dell’Onu per gli affari umanitari, fa venire i brividi: 14mila bambini rischiano di morire per

denutrizione in pochi giorni se non si agisce immediatamente. «La sola cosa che entra a Gaza sono le bombe», ha aggiunto Akihiro Seita di Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, «la malnutrizione rischia di incrementare esponenzialmente e di finire fuori controllo».

I mille modi per ammazzare e sfollare: le bombe, gli ordini di evacuazione, la fame nera. Altri numeri, stavolta di UN Women: oltre 28mila donne e ragazze sono state uccise a Gaza dall’esercito israeliano, «in media una donna e una ragazza ogni ora, tra loro migliaia di madri che hanno lasciato figli, famiglie e comunità devastate». Figure centrali, dalla Nakba a oggi, nel tessere i fili di un’identità sfibrata da quasi un secolo di feroce disgregamento sociale.

UNO DEI MODI per frammentarla è colpire i luoghi che più di altri rappresentano un’idea di futuro, come le scuole: ieri ne è stata centrata un’altra dalle bombe, la Musa bin Nusair di Gaza City. L’edificio, come tutti gli altri istituti scolastici della Striscia tramutato un anno e mezzo fa in rifugio per gli sfollati, è andato completamente a fuoco: 12 palestinesi sono morti tra le fiamme e le grida, riprese in video verificati da Sanad.

Sono almeno ottanta le persone uccise ieri, oltre 3.350 dalla rottura della tregua, il 18 marzo scorso. Sale così a 53.500 il bilancio degli uccisi dal 7 ottobre, 70mila contando i dispersi che crescono a un ritmo indecente, a causa della ferocia dei bombardamenti dell’ultima settimana e alla mancanza di mezzi per estrarre i corpi dalle macerie.

UN GENOCIDIO che alla fine ha mosso anche un esponente dell’establishment militare e politico di Israele, Yair Golan. Ex soldato durante l’invasione del Libano nel 1982 e la prima Intifada, ha scalato i vertici delle forze armate nella seconda Intifada e nella prima grande offensiva contro Gaza, Piombo fuso, per giungere alla carica di vice capo di stato maggiore dopo il 2014. Ha lasciato l’uniforme per entrare in politica, con i laburisti prima e il Meretz poi.

Ieri ha attaccato con durezza il governo, pieno di «gente senza morale» che porteranno «Israele a diventare uno stato pariah come il Sudafrica: un paese sano non combatte i civili, non uccide i bambini per hobby». Immediata la reazione di Netanyahu che gli ha dedicato una nota stampa in cui lo accusa di «incitamento contro lo Stato di Israele» e di antisemitismo, insieme ai «suoi amici della sinistra radicale (sic)».

Nel pomeriggio il premier israeliano è tornato a parlare per confermare l’indiscrezione secondo cui Tel Aviv starebbe per richiamare il team negoziale impegnato nel dialogo indiretto con Hamas a Doha. Il tavolo era stato riaperto una settimana fa ma al momento, dicono fonti qatarine, è a un punto morto: «(Il negoziato) non ha portato da nessuna parte». Duro il primo ministro del Qatar Al Thani: «Pensavamo che il rilascio dell’ostaggio Alexander avesse aperto una porta, ma la risposta è stata un’ondata di bombardamenti ancora più violenti»