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Trump vola in Medio Oriente per firmare il nuovo piano regolatore di Gaza e regalare a Netanyahu la totale impunità per il genocidio commesso nella Striscia. Tel Aviv festeggia il ritorno degli ostaggi, ai palestinesi vietato gioire per il rilascio dei prigionieri

Con dono A Sharm si firma la «pace»: Netanyahu non paga per nessun crimine, Trump osannato in Israele, Hamas «riabilitato» a polizia

Donald Trump e Benyamin Netanyahu ieri alla Knesset, foto AP Donald Trump e Benyamin Netanyahu ieri alla Knesset – AP/Evan Vucci

Nel giorno dello scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi, in una Israele immersa nell’apoteosi di Donald Trump, celebrato alla Knesset e nelle piazze di Tel Aviv come l’eroe che ha riportato a casa i sequestrati di Gaza, Benyamin Netanyahu è riuscito ancora una volta a impadronirsi della scena. Prima che l’ex presidente americano prendesse la parola, il premier israeliano ha pronunciato alla Knesset un lungo discorso, un fiume di parole in cui ha proclamato la presunta vittoria di Israele a Gaza, contro l’Iran, Hezbollah e il resto della regione. Ha ribadito che la guerra non è finita e che si concluderà soltanto «quando Hamas sarà stato disarmato». Poi, mentre i riflettori erano puntati su Gerusalemme, Netanyahu ha accettato e subito dopo ha rinunciato a recarsi a Sharm el Sheikh per la firma dell’accordo con Hamas e per il vertice su Gaza convocato dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

In realtà si sapeva da giorni che Netanyahu non avrebbe partecipato. Ma ieri, nel pieno della tensione politica, il suo ufficio ha fatto sapere che stava valutando la partenza per l’Egitto. La tv Canale 12 ha riferito che Trump aveva telefonato ad al-Sisi chiedendogli di invitare Netanyahu a Sharm el Sheikh. Il presidente egiziano ha eseguito la richiesta, rompendo un silenzio di due anni: era dal lancio dell’offensiva israeliana per la distruzione di Gaza che non parlava con il premier israeliano. Netanyahu ha accettato, salvo poi comunicare di voler restare in Israele per la coincidente festività ebraica di Simhat Torah.

Quel passo indietro improvviso ha molte letture. C’è chi lo attribuisce al veto di Erdogan e di alcuni leader arabi che non volevano stringere la mano al primo ministro israeliano. Ma la motivazione più plausibile è un’altra: evitare di cadere in una trappola diplomatica. A Sharm el Sheikh erano infatti attesi una trentina di capi di Stato e di governo, ministri e ambasciatori arabi e occidentali, fra cui il presidente francese Emmanuel Macron, tutti favorevoli alla proclamazione di uno Stato palestinese. Tutti tranne l’italiana Giorgia Meloni, che Trump ha peraltro elogiato pubblicamente. Tra gli invitati anche l’anziano presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, figura screditata nelle strade della Cisgiordania ma che, agli occhi di una parte non marginale della comunità internazionale, continua a incarnare la prospettiva dei Due Stati che Netanyahu ha sistematicamente demolito.

A Sharm el Sheikh, Trump ha replicato lo stesso copione già messo in scena alla Knesset: toni solenni, ringraziamenti a pioggia – da al-Sisi al principe saudita Mohammed bin Salman fino a Erdogan – e promesse di ricostruzione per Gaza. Ha assicurato che diversi Paesi sono pronti a finanziare la ripresa della Striscia e che altri intendono partecipare al “Consiglio della pace”, l’organismo incaricato di sovrintendere al futuro governo tecnico e agli investimenti internazionali. Ha ribadito che la guerra tra Israele e Hamas è finita. Ma dietro le parole, di sostanziale non è emerso molto. L’unica decisione concreta riguarda la convocazione al Cairo, a novembre, di una conferenza internazionale sulla ricostruzione di Gaza, annunciata da al-Sisi durante l’incontro con Trump.

Il tycoon, però, ha pronunciato frasi che hanno immediatamente irritato il governo israeliano. Alla domanda di un giornalista su quale fosse il suo messaggio a Hamas, dopo le voci secondo cui il movimento islamico potrebbe avere un ruolo nella futura forza di polizia palestinese, Trump ha risposto: «Vogliono porre fine ai problemi anche loro e lo hanno detto apertamente, così abbiamo dato loro l’approvazione per un periodo di tempo. Penso che andrà tutto bene». Se confermata, sarebbe una svolta di proporzioni storiche: con il via libera di Washington, Hamas assumerebbe un ruolo di sicurezza nel futuro della Striscia, nonostante l’opposizione ferma di Netanyahu. E mentre da un lato Trump invitava i leader arabi ad aderire agli Accordi di Abramo, dall’altro ringraziava anche Abu Mazen per la sua presenza e il suo contributo al processo politico.

A Gaza, intanto, Hamas cercava di mostrarsi “affidabile” agli occhi degli Stati Uniti. Le Brigate Qassam, la sua ala militare, poche ore prima avevano giustiziato – si parla di una trentina di persone – collaborazionisti e miliziani pro-Israele. Poi, con rigore quasi burocratico, hanno rispettato l’impegno preso: in meno di tre ore venti ostaggi israeliani sono stati consegnati, in due gruppi, alla Croce Rossa e da questa all’esercito israeliano. In serata, però, Hamas ha restituito solo quattro delle 28 salme dei prigionieri deceduti in cattività. Immediata la reazione di Israele: il ministro della Difesa Israel Katz ha minacciato «gravi conseguenze». È possibile che il movimento palestinese stia rallentando la restituzione delle salme in risposta alla mancata scarcerazione da parte israeliana di prigionieri di rilievo, ma da giorni – lo ha ricordato la Cnn – si sapeva che almeno dieci, forse quindici ostaggi morti non erano immediatamente rintracciabili.

È stata una giornata di euforia mista a tensione. In Israele si festeggiava la liberazione degli ostaggi; nei Territori palestinesi la scarcerazione di duemila detenuti politici. Ma la retorica di Trump, tra Gerusalemme e Sharm el Sheikh, ha lasciato un senso di vuoto politico. In questo clima, il gesto di due deputati del partito di sinistra Hadash ha rotto la coreografia ufficiale: Ayman Odeh, palestinese, e Ofer Cassif, ebreo, si sono alzati in aula durante il discorso di Trump mostrando un cartello con la scritta «Riconoscete la Palestina». Sono stati subito allontanati con la forza. «Ho voluto ribadire che in questa terra ci sono anche i palestinesi e va riconosciuto il loro diritto ad avere uno Stato», ha dichiarato Odeh al manifesto attraverso il suo portavoce. Ben diverso, invece, il tono del leader dell’opposizione Yair Lapid, che salutando Trump ha affermato che Israele «non ha compiuto alcun genocidio» a Gaza.