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L'opera del fantasma La destra conta di presentare le firme martedì. Si voterebbe tra marzo e aprile. Costa (Forza Italia) contesta che l’Anm si impegni nella campagna Rossi (Comitato per il No): «Battaglia dei cittadini e non dei giudici»

Leggi ancheNo alla separazione, per la sua campagna l’Anm sceglie un prof

Enrico Costa e Carlo Nordio Enrico Costa e Carlo Nordio – Foto Roberto Monaldo / LaPresse

«I magistrati, come tutti i cittadini, hanno il diritto di esprimersi sulla riforma. Nutro qualche dubbio sull’opportunità di costituire un comitato promosso dall’Anm per la propaganda referendaria, perché il comitato è un soggetto politico a tutti gli effetti, e di utilizzare i tribunali come palcoscenici». Mentre i parlamentari del centrodestra annunciano che martedì prossimo presenteranno le firme per il referendum sulla riforma della giustizia (bastano quelle di 80 deputati o 41 senatori), Enrico Costa di Forza Italia, membro della commissione giustizia alla Camera, polemizza con la possibilità che l’associazione dei magistrati prenda parte direttamente alla contesa per la consultazione di primavera.

«È OGGETTIVO il nesso tra alcune forze politiche ed alcune correnti della magistratura nell’opporsi alla riforma – prosegue Costa – M5S e Pd da sempre puntano a sbarazzarsi degli avversari attraverso la scorciatoia giudiziaria, il fronte comune con le toghe sul referendum non è altro che la proiezione di questo loro schema». È questo il terreno di gioco che la maggioranza ha scelto, sulla scia del ventennio berlusconiano: la riforma costituzionale sarebbe un modo per risolvere una volta per tutte il problema della giustizia politicizzata. Le opposizioni rispondono attono: «Il vero obiettivo della riforma è quello di asservire la magistratura al governo, come dimostra la reazione sconsiderata di Meloni alla decisione della Corte dei conti sul Ponte sullo Stretto – attacca Angelo Bonelli da Avs – Poiché la decisione della Corte non è di gradimento per il governo, allora si annuncia una riforma per neutralizzarla».

IL MINISTRO della giustizia Carlo Nordio, invece, prova a suscitare contraddizioni nel campo avverso: «La sinistra si è dimenticata che questa riforma fa parte della sua storia?» dice, citando gli esempi della commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema e della mozione congressuale di Maurizio Martina, entrambi favorevoli alla separazione delle carriere. Gli rispondono, indirettamente, le componenti riformiste della minoranza che, da sempre schierate a favore della separazione delle carriere, continuano invece a considerare la riforma largamente insufficiente. «È mancato il dibattito parlamentare – spiega Riccardo Magi – La maggioranza è andata dritta come un treno, senza ascoltare minimamente i suggerimenti delle opposizioni. Credo che questa separazione delle carriere non funzionerà». Il segretario di +Europa rivendica la sua storia pannelliana e radicale per smentire le ricostruzioni della maggioranza. «Noi radicali abbiamo sempre accompagnato la separazione delle carriere alla responsabilità civile dei magistrati e al superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale – argomenta Magi – Questa separazione, invece, monca degli altri pezzi, rischia di vedere un nuovo potere, quello della magistratura dell’accusa, completamente slegato dal resto dell’ordinamento giudiziario, discrezionale e irresponsabile». Esprime la frustrazione dei renziani il senatore Enrico Borghi: «Eravamo entrati nel dibattito sperando di incidere. E invece ci è stato risposto: ‘Abbiamo già deciso, si fa così’».

LA DESTRA ALZA il livello dello scontro ma al tempo stesso ci tiene a tenere al riparo la posizione della presidente del consiglio sull’esito del referendum. Per Guido Crosetto, ad esempio, Giorgia Meloni non dovrebbe dimettersi se dovesse prevalere il no. «Questa non è una riforma Meloni – afferma il ministro della difesa infilando una serie di affermazioni lapalissiane – Il referendum normalmente significa affidare l’ultima parola al popolo, quindi quando il popolo si esprime, si prende atto di quello che ha deciso il popolo». Enrico Grosso, presidente del Comitato Giusto Dire No, la mette così: «Credo profondamente che questa sia e debba essere la battaglia dei cittadini contro una riforma costituzionale sbagliata e non possa diventare la battaglia dei magistrati contro il governo o contro la maggioranza politica. Forse è il governo e la maggioranza politica che vorrebbe trascinare la magistratura su questo piano». Si voterà tra marzo e aprile.