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«Bisogna evitare l’esportazione di armi verso i conflitti, in particolare ad Israele. Non si può rischiare che vengano utilizzate per crimini di guerra». Schlein con una sterzata coraggiosa spezza la quiete del ritiro campestre del Pd. Ma gli avversari l’attaccano e il suo partito tace

L'HA DETTO. La segretaria Pd da Gubbio: «Non alimentiamo il rischio di crimini di guerra». Destra e renziani attaccano: «Parole da estremista»

 Elly Schlein a Gubbio - Lapresse

Elly Schlein arriva a Gubbio, al conclave dei gruppi parlamentari del Pd, e non si sottrae di fronte alle questioni più urgenti. A partire dalla guerra a Gaza. «Dobbiamo porci la questione di evitare di alimentare questi conflitti – dice di fronte ai gruppi nella sala del resort dei Cappuccini – Bisogna evitare l’invio di armi e l’esportazione di armi verso i conflitti, verso il conflitto in Medio oriente, in particolare in questo caso ad Israele. Perché non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere quelli che si possano configurare come crimini di guerra». Sono parole che segnano un passaggio, anche in vista delle elezioni europee e di una partita che si giocherà sui temi della guerra e della pace.

SCHLEIN COLLOCA in questo modo la sua posizione in relazione alla votazione sulla risoluzione Ue sul conflitto e dentro lo schema del Partito socialista europeo, che l’uno e due marzo prossimi terrà proprio a Roma il suo congresso elettorale per scegliere lo spitzenkandidat. «Sulla pace l’Europa deve dare il suo contributo altrimenti sarà condannata all’irrilevanza – dice la segretaria ai suoi – Il cessate il fuoco è la condizione per riuscire a liberare i prigionieri di Hamas, avviare un percorso che porti a una soluzione due popoli e due stati. Peccato che i popolari in Europa abbiamo reso impossibile quel cessate il fuoco con un emendamento che contiene condizioni impossibili da realizzare. Per noi il cessate il fuoco deve essere immediato, lo diciamo da ottobre». E non è un caso che i primi a reagire sono i renziani. Raffaella Paita dice che «forse la segretaria ha dimenticato di essere a capo di quello che un tempo era un grande partito riformista e atlantista». Per la deputata di Iv, la segretaria dem «ha confuso il Pd con un’assemblea di un centro sociale occupato». Il capogruppo renziano (eletto col Pd) Enrico Borghi dice che in questo modo «si

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LA SENTENZA. «Da punire solo se si punta alla ricostituzione del partito fascista» Esulta la destra estrema: «Fine delle polemiche su Acca Larentia»

La Cassazione sul saluto romano: reato, ma non sempre

 

Il saluto romano è reato. Ma solo se accompagnato dalla volontà di ricostituire il disciolto partito fascista. Così ha deciso la Cassazione a sezioni riunite, in quella che (in astratto) dovrebbe essere la parola fine sulla vicenda. I giudici erano stati chiamati a esprimersi sul caso di otto militanti di estrema destra condannati in primo e in secondo grado per aver fatto il saluto romano nell’aprile del 2016 durante la tradizionale commemorazione di Sergio Ramelli, Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi. Adesso gli otto dovranno tornare in Appello e la Corte che dovrà chiarire «se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista».

In mattinata il pg aveva sostenuto la tesi che il saluto fascista può essere reato se costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, ma poi le sezioni unite sono andate oltre: la «chiamata del presente» e «il saluto romano» rientrano nella legge Scelba «ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso» siano idonei «a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione».
Solo «a determinate condizioni» ci si può appellare alla legge Mancino, quella che «vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

Di fatto la Cassazione sembrerebbe consolidare il suo orientamento storico sulle manifestazioni neofasciste, prediligendo la legge Scelba rispoetto alla legge Mancino. È una questione di concretezza: la prima si riferisce a questioni dimostrabili (anche se difficili) come il tentativo di rimettere in piedi il Pnf, mentre la seconda è più generica e discrezionale perché riguarda i

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Condannati per il blocco stradale i militanti bolognesi di Ultima generazione, solo a sei mesi e con la sospensione della pena perché hanno agito «per motivi di ordine morale e sociale». Ma la destra approva una nuova legge durissima: carcere e multe contro i manifestanti

QUESTIONE MORALE. La Camera approva il ddl Sangiuliano «in difesa dei monumenti». Le opposizioni protestano: «Colpiscono il diritto di manifestare». La maggioranza esulta: «Chi imbratta paga». In gioco c’è il rapporto tra democrazia e dissenso

Questione morale

La Camera ha approvato con 138 voti a favore, 92 contrari e 10 astenuti il disegno di legge proposto dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano riguardante «Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici». Si tratta del provvedimento annunciato fin dalla scorsa primavera e pensato per inasprire le pene contro gli attivisti per il clima e le loro azioni, simboliche. Proteste, forse per la prima volta nella storia recente, del tutto nonviolente, che si svolgono proprio davanti a pezzi emblematici del patrimonio storico.

IL TESTO DISPONE, tra le varie misure, sanzioni amministrative, a seconda della gravità della fattispecie, che vanno da un minimo di 10.000 ad un massimo di 60.000 euro. Non si passerà, dunque, da un dibattimento: basta che il prefetto raccolga le segnalazioni delle forze dell’ordine per comminare la sanzione. Sangiuliano, al solito, ci ha tenuto a infarcire il dibattito a Montecitorio con citazioni autorevoli ritagliate alla bisogna e conclusioni politiche arbitrarie. Eccone una che disegna un nesso pindarico tra gesti di protesta, patriottismo e ambiente: «I monumenti sono diventati parte di quello che Benedetto Croce definiva ‘paesaggio, volto amato della patria – azzarda il ministro – Quindi chi danneggia i monumenti in nome della tutela dell’ambiente danneggia anche l’ambiente stesso». Nel ddl è stata inserita anche l’aggravante, che raddoppia le pene, per chi compie l’illecito durante manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico. Dunque, rischia da uno a cinque anni di carcere «chiunque distrugga, disperda, deteriori o renda, in tutto o in parte, inservibili beni mobili o immobili durante manifestazioni pubbliche».

CHE IL MIRINO dell’esecutivo fosse puntato contro i movimenti ambientalisti e che la difesa del patrimonio fosse un comodo espediente è apparso ancora più evidente quando sono stati rifiutati gli emendamenti proposti dall’opposizione. Come quello avrebbe portato a diecimila euro la sanzione per chi distrugge l’ambiente costruendo manufatti abusivi ed ecomostri. Il portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli ne ha presentato uno (anch’esso respinto) che avrebbe previsto inasprimenti delle pene per i pubblici ufficiali responsabili di danneggiamento del patrimonio. Adesso ricorda come il governo non sia «credibile» dal momento che «ha devastato il territorio e il paese tutto con continui e dannosi condoni». Durissimo anche Nicola Fratoianni, secondo il quale «neanche nella legislazione speciale degli anni Settanta sono successe cose come queste». Il segretario di Sinistra italiana sottolinea che il testo approvato va si muove su un crinale delicato, dal momento che «la relazione tra democrazia e conflitto testimonia dello stato di salute della democrazia».

ANCHE PER Andrea Orlando, ex ministro della giustizia, in ballo c’è il rapporto tra espressione del dissenso e potere politico: «L’utilizzo del diritto penale come elemento simbolico produce diritto penale irrazionale – sostiene il deputato del Partito democratico – Per cui a comportamenti tra loro diversi si applicano pene uguali, spingendo, alla fine, verso comportamenti che sono di più grave allarme sociale». «La strada che persegue questo governo è chiara: mentre non si fa nulla se non danni per il futuro del paese, nel frattempo vogliono reprimere il dissenso e la protesta» conviene il capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione cultura Antonio Caso intervenendo nel dibattito in aula.

LA POLEMICA delle opposizioni si è scatenata soprattutto sulla tolleranza zero a senso unico: manica larga per gli esponenti del governo finiti nell’occhio del ciclone (e spesso sotto indagine) nelle ultime settimane e pugno di ferro verso i giovani attivisti, che dalle parti della destra sono stati ribattezzati «eco-vandali». «Dopo i ragazzi dei rave party, le Ong che salvano vite umane in mare questa volta, nel mirino delle destre, ci sono le ragazze e i ragazzi di Ultima Generazione, accusati di ‘violenza’ per i blocchi stradali e di danneggiare i beni culturali quando, in realtà, nessun monumento è stato oggetto di danni permanenti» osserva la deputata dem Laura Boldrini. «Siamo passati dalla stagione di Dossetti in cui parlava di diritto alla resistenza civile e di democrazia, a parlare di vernice lavabile e di punizioni» sostiene il suo collega Gianni Cuperlo.

IL CHE FA CAPIRE come le azioni di protesta a difesa del clima di questi mesi siano riuscite a bucare l’iniziale ostilità proveniente da larghissima parte del mondo politico, quando qualche secchiata di materiale colorato del tutto innocuo bastava per lanciare l’ennesima emergenza bipartisan o (nel migliore dei casi) produrre tirate paternalistiche sulle forme di lotta accettabili

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PALESTINA. Accordo per l’ingresso di medicinali. Il premier israeliano: «La guerra continua». A Gaza colpito l’ospedale da campo giordano. Unrwa: «La Striscia non sa più immaginare il proprio futuro»

 Palestinesi in fila per un pasto gratuito a Rafah, nella Striscia di Gaza - Ap/Fatima Shbair

«Non riescono a immaginare come continueranno a crescere i propri figli in un ambiente simile. Hanno difficoltà a progettare il futuro». Della scomparsa della speranza per le strade di Gaza ha provato a dare un’idea ieri Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.

Lazzarini ha visitato per la quarta volta la Striscia in tre mesi e mezzo di conflitto mentre Gaza viveva il suo più lungo blackout di comunicazione: le linee telefoniche e internet sono ferme dal 12 gennaio, mai i precedenti erano stati così lunghi. I giornalisti palestinesi comunicano solo con i satellitari.

MENTRE Lazzarini proseguiva nella visita, dal valico di Rafah iniziavano ad entrare i pacchi di medicine frutto dell’accordo raggiunto martedì sera tra Hamas e Israele con la mediazione del Qatar e della Francia: medicinali diretti agli ostaggi israeliani, circa 130, ancora nella Striscia e alla popolazione gazawi.

Ieri due aerei qatarini sono arrivati in Sinai, il contenuto ha poi preso la strada di Rafah dove sono stati sottoposti ai controlli israeliani. Secondo Hamas, l’accordo prevedrebbe una scatola di medicine da consegnare agli ostaggi ogni mille scatole ai civili palestinesi. Della distribuzione si occuperà la Croce rossa.

Si spera così di alleviare, almeno in minima parte, la crisi umanitaria che vivono 2,3 milioni di persone. Ieri la Giordania ha fatto sapere che il proprio ospedale da campo a Khan Yunis, nel sud di Gaza, è stato danneggiato dall’esplosione di missili israeliani nelle sue prossimità, ma continuerà a lavorare. Un palestinesi in terapia intensiva sarebbe rimasto ferito.

È qua, a Khan Yunis, linea del fronte da settimane, che cresce la preoccupazione per le condizioni umanitarie: affollata di persone fuggite dal nord e dal centro, con pochissime strutture mediche funzionanti, rischia un destino simile a quello del nord, con devastazioni fisiche immani (ieri il Palestine Investment Fund parlava di 15 miliardi di dollari necessari a ricostruire solo le abitazioni private) e infrastrutture civili collassate.

Pure i cimiteri: ieri da Khan Yunis hanno denunciato con alcuni video il passaggio di bulldozer israeliani su un cimitero, come accaduto in precedenza. Testimoni parlano anche di corpi portati via, ma non è possibile verificare l’accusa. Proseguono gli scontri a terra: ieri altri tre soldati israeliani sono stati uccisi (193 dall’inizio dell’offensiva via terra, a fine ottobre).

SUL FRONTE israeliano la situazione politica resta incandescente. Ieri l’Association for Civil Rights in Israel, formata da gruppi ebrei e palestinesi, ha fatto un nuovo appello alla Corte suprema perché dia il via libera a una protesta contro la guerra ad Haifa.

L’Acri chiede il cessate il fuoco, il rilascio dei prigionieri e una soluzione politica, una richiesta di presidio che finora la polizia ha già vietato tre volte. È capitato a tante realtà e chi ha sfidato i divieti – l’ultima volta sabato scorso – è stato caricato dagli agenti e arrestato. Dopotutto, dice il governo, c’è la guerra. Lo ha ribadito ieri il premier Netanyahu: «La guerra continuerà fino alla fine e al raggiungimento dei nostri obiettivi. Che nessuno ci giudichi male. Continueremo a combattere fino alla vittoria totale».

***

«Assalì un agente»: Cassif incriminato

Ofer Cassif, il deputato ebreo comunista del partito Hadash, ieri è stato incriminato per aggressione a pubblico ufficiale. Il caso risale al maggio 2022. Cassif partecipò a una protesta a Masafer Yatta, regione nel sud della Cisgiordania da anni minacciata di sgombero. Secondo l’accusa, Cassif avrebbe colpito, a bassissima velocità, con la sua auto un poliziotto che, con i colleghi, aveva chiuso la strada al traffico per impedire la protesta. Poi Cassif sarebbe sceso e lo avrebbe colpito al volto. Secondo Cassif, è stata la polizia a minacciarlo di violenza e a impedirgli il passaggio violando la sua immunità parlamentare.

Ieri il deputato ha parlato di «persecuzione politica e violenza di polizia». È già a rischio di espulsione dalla Knesset per aver firmato, con altri 200 israeliani, una lettera di sostegno alla causa sudafricana all’Aja.

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ORIENTE. Il Pakistan ha reagito prevedibilmente con durezza alla «violazione palese e immotivata della sua sovranità da parte dell’Iran», bollata come schiaffo al diritto internazionale e alla Carta dei principi Onu. […]

I due target dell’Iran: i salafiti «indipendentisti» e l’alleanza (debole) con Washington Il ministro degli esteri iraniano Amirabdollahian a Davos - Ap

Il Pakistan ha reagito prevedibilmente con durezza alla «violazione palese e immotivata della sua sovranità da parte dell’Iran», bollata come schiaffo al diritto internazionale e alla Carta dei principi Onu. E ha deciso di richiamare il suo ambasciatore e sospendere tutte le visite ad alto livello in corso o pianificate tra i due paesi a seguito di un atto «illegale del tutto inaccettabile» cui Islamabad «si riserva il diritto di rispondere» come è scritto in un messaggio inviato a Teheran, «responsabile delle conseguenze» di quanto potrebbe accadere.

La scusa ufficiale iraniana è che era necessario colpire e neutralizzare «due roccaforti chiave del gruppo terroristico Jaysh al-Dhulm (Jaish al-Adl) in Pakistan…prese di mira e demolite con successo da una combinazione di attacchi missilistici e droni», spiega l’agenzia di stampa Tasnim.

L’ATTACCO sarebbe la risposta alla morte di diversi membri delle forze dell’ordine iraniane e a un attacco alla città di Rask (Sistan-Belucistan iraniano) di cui sarebbe responsabile il gruppo sunnita. Ma in passato Iran e Pakistan hanno collaborato sul dossier, benché Teheran ritenga Islamabad responsabile di offrire un rifugio sicuro ai terroristi separatisti di Jaysh al-Dhulm, una delle varie sigle jihadiste originate dallo storico gruppo Jundullah (il cui capo Abdolmalek Rigi è stato ucciso in Iran nel 2010) che godrebbe anche di appoggi sauditi. L’organizzazione salafita vorrebbe l’indipendenza di un’area dell’Iran abitata da sunniti ed è una spina al fianco di Teheran. Ma mai si era arrivati a tanto.

L’attacco iraniano nel Belucistan pachistano, oltre a mostrare i muscoli, non sembra però un’azione improvvisata che scuote un Paese attraversato da turbolenze e violenze politiche mentre è in carica un governo a interim che sta preparando le elezioni di febbraio.

Nonostante i rapporti tra i due paesi siano sempre stati tesi, dare la stura a una reazione imprevedibile in questo frangente sembra piuttosto un piano ben preciso per dare fastidio non tanto al Pakistan quanto a uno dei suoi alleati maggiori: gli Stati uniti. Paese con cui Islamabad ha una relazione controversa da sempre (Islamabad autorizzò le basi per colpire l’Afghanistan ma ospitò Bin Laden e fornì rifugio ai Talebani) ma che ultimamente, con la cacciata di Imran Khan dall’agone politico (è in carcere e non potrà presentarsi candidato né i suoi accoliti potranno utilizzare lo stemma del suo partito), è tornato in auge.

SE LA STRATEGIA è punire i nemici nei paesi limitrofi ma anche le alleanze più o meno forti con Washington, colpire il Belucistan assesta un colpo a chi ha scelto di allearsi con un impero già in difficoltà in Siria e in Iraq e sul filo del rasoio nei suoi rapporti con Islamabad.

Il problema è che la Terra dei Puri è un paese con la bomba atomica, governato da una casta militare che manovra il potere politico e attraversa un momento di lucida paranoia dal momento che i suoi rapporti con altri due vicini – India e Afghanistan – sono particolarmente tesi. Se il piano è creare scompiglio tra gli attori regionali mediorientali fino al subcontinente indiano, allargando i vari fronti che circondano l’incendio di Gaza, il colpo è riuscito ma con quali conseguenze?

Con la messa fuori gioco di Khan, il cricketer prestato alla politica che gode di vasti consensi ma è rinchiuso con accuse pesantissime, i rapporti tra Pakistan e Russia si sono incrinati mentre si è rafforzata l’asse con Washington, accusata da Imran di essere dietro alla sua destituzione. Scelta che ovviamente a Teheran non è piaciuta. La Cina? Sta a guardare e chiede «moderazione»

 
 
 
 
 
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La firma dell'accordo di coesione con il governo, 687 milioni in Emilia Romagna. La premier: 'Le risorse per la ricostruzione e per la prevenzione'.

Forlì, manifestanti aspettano arrivo Meloni e Von der Leyen

E' durato circa un'ora il colloquio, all'interno del Municipio di Forlì, tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e quella della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen. Le due presidenti erano giunte nella sede comunale intorno alle 13.30 per un summit sugli aiuti economici europei a seguito dell'alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna, lo scorso maggio. 

L'arrivo, sotto la pioggia, è stato accolto da diversi fischi e dal grido 'Rispetto, rispetto' lanciato da alcune decine di manifestanti in attesa, fin dal mattino, delle due presidenti. Dalla folla è stato urlato anche 'Rispetto per la Romagna, no a questa passerella'.

"Von der Leyen, che con me e Bonaccini era stata sui territori pochi giorni dopo l'alluvione e si era presa delle responsabilità e degli impegni a dare delle risposte anche dal punto di vista europeo, torna a Forlì. E quelle risposte sono arrivate particolarmente con questa revisione del Pnrr" che "ci consente di investire 1,2 miliardi particolarmente", tra le altre cose "sulla difesa idraulica e il ripristino di viabilità e infrastrutture stradale", ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento per la firma dell'accordo per lo Sviluppo e la coesione tra il governo italiano e la Regione Emilia Romagna

"Arriviamo a una cifra di 687 milioni di euro che viene mobilitata oggi con questa firma. Complessivamente 92 progetti, poche grandi priorità: non risorse che vengono spese in centinaia di microprogetti, ma scegliere sulle priorità che rappresentano un volano". Lo ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento in occasione della firma.

"È stato un lavoro silenzioso, difficile da raccontare, che non trova tanto spazio nel lavoro quotidiano, ma del quale io vado particolarmente fiera, per superare alcuni limiti che l'Italia ha avuto fin oggi. Il mio obiettivo, il nostro obiettivo, è trasformare l'Italia da nazione che spesso è stata considerata fanalino di coda nell'utilizzo dei fondi europei, a nazione che possa diventare modello per l'utilizzo dei fondi europei". Lo ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento in occasione della firma dell'accordo per lo Sviluppo e la coesione tra il governo italiano e la Regione Emilia Romagna. 

"Queste risorse consentiranno di portare avanti azioni di risanamento ambientali ma anche il ripristino e la riqualificazione, Cioè facciamo ricostruzione ma anche una cosa più importante che è la prevenzione". Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al termine dell'incontro a Forlì con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in occasione della visita alle zone colpite dall'alluvione.

"E' molto toccante essere di nuovo qui in Emilia Romagna dopo le devastazioni dell'alluvione. Quel che mi ricordo di più è questa enorme massa di fango e l'enorme solidarietà di uomini e donne che si aiutavano l'un con l'altro. La Ue è stata dalla vostra parte, questo è il messaggio, e continueremo ad esserlo. La cooperazione è stata eccezionale, abbiamo dedicato un miliardo e 200 milioni a questa regione. Vogliamo aiutarvi a rimettervi in piedi e ad essere più resilienti. Lo stiamo facendo e lo faremo ancora di più". Lo ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in occasione della visita alle zone colpite dall'alluvione.

Vediamo il "riscaldamento del globo e gli eventi climatici estremi sono ancor più frequenti. Dobbiamo combattere e prevenire i cambiamenti e vale anche per le nostre economie". L'Italia ha inserito le rinnovabili "nel Pnrr e questo è molto importante. L'Italia è assolutamente in linea con la tabella di marcia del Pnrr: metà dei fondi è stata già erogata e questa è una bellissima notizia"- ha sottolineato Von Der Leyen.

"Quando sono venuta qui a maggio vi ho detto che dovevate rimanere forti e che l'Europa sarebbe stata a fianco a voi. Adesso voglio dirvi che continueremo a stare al vostro fianco per tutto il tempo necessario alla vostra ripresa. Tin bota, l'Europa rimane con voi!". Lo ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al termine dell'incontro a Forlì con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione della visita alle zone colpite dall'alluvione.

Manifestanti attendono Meloni-Von der Leyen, 'è solo una passerella'

Aspettano, sotto una pioggia sottile, l'arrivo della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e di quella della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, "per far si che una passerella del genere, perché questa qui è una passerella, non scorra nuovamente sopra le nostre teste". Sono alcune decine i manifestanti (davanti a un ingente schieramento delle forze dell'ordine) che sotto l'egida e la bandiera del comitato ''Appello per l'Appennino Romagnolo' si sono dati appuntamento in Piazza Saffi, a Forlì, proprio davanti al Municipio dove Meloni e Von der Leyen si incontreranno per un summit sugli aiuti europei destinati ai territori colpiti dall'alluvione dello scorso maggio in Emilia-Romagna. "Stiamo vivendo da otto mesi una situazione drammatica - osserva Gianni Fagnoli, esponente dell''Appello per l'Appennino romaghnolo': abbiamo decine di migliaia di persone disperate e rovinate che non hanno avuto assolutamente niente, una ricostruzione che fino ad ora è stata fatta solamente sugli annunci e sulla carta di cui, nel concreto, si sono fatti carico i romagnoli con i propri risparmi e il proprio lavoro". Di fatto, prosegue, "questa cosa che viene fatta oggi poteva essere considerata vicinanza ai territori sei mesi fa, non adesso. Adesso è solamente campagna elettorale". Quindi, argomenta ancora l'esponente degli alluvionati romagnoli, "non potevamo tollerare che di fronte a questo ci fosse una Romagna silente se non addirittura plaudente. Siamo qui per dire che non faremo da tappetino per le loro passerelle. E siamo venuti qui a testimoniare la verità, che è la nostra condizione, i conti in tasca che ognuno si è fatto rispetto agli annunci continui che vediamo riportati sulla stampa". A giudizio del manifestante "c'è una parte della politica che è più preoccupata di coprire le proprie vergogne che di rispondere e di rispettare questa terra che si è sempre distinta per avere lavorato e mandato avanti il Paese più di altre e che - conclude - nel momento del bisogno viene trattata in questo modo".

Meloni a Bonaccini: 'Grazie per il lavoro fatto'

"Sono d'accordo sulle cose che hai detto. E sono d'accordo sul fatto che per chi spende molto tempo a lavorare su cose faticose dispiace che quelle cose poi non abbiano visibilità. Lo dico per fare un passo indietro rispetto al lavoro che abbiamo fatto per arrivare a questa firma. Ringrazio il presidente della Regione, ma devo ringraziare tutti i livelli istituzionali, i sindaci, i presidenti di provincia, tutti i componenti del governo". Lo ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento in occasione della firma dell'accordo per lo Sviluppo e la coesione tra il governo italiano e la Regione Emilia Romagna.

"Sono molto fiera di questo lavoro" sugli accordi di sviluppo e coesione, "ringrazio tutto il governo, il presidente della Regione, gli assessori competenti, i sindaci, i presidenti di Provincia, tutti gli uffici. Insieme abbiamo fatto un ottimo lavoro, vale per questo accordo di coesione e può valere per tutte le prossime grandi sfide. Come diceva Bonaccini e sono d'accordo, siamo tutti consapevoli del fatto che ognuno ha i propri punti di vista, ma se c'è una cosa che in teoria deve metterci tutti insieme è che non lavoriamo per noi stessi, ma per i cittadini che rappresentiamo", ha aggiunto Meloni.

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