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8 e 9 giugno Non rinunciare a decidere, aprire una breccia e interrompere il lungo regresso costituzionale. L’8 e il 9 giugno si gioca una partita su cittadinanza e lavoro, ma non solo

Referendum, tre buoni motivi per cui è importante votare

È importante andare a votare l’8 e il 9 giugno per i referendum almeno per tre ragioni. Anzitutto perché il voto è un diritto che appartiene a ciascuno di noi, ma è anche un dovere civico. Così dice espressamente la nostra Costituzione.

La rinuncia a decidere sui problemi comuni rende possibile a una minoranza di governare senza controllo e responsabilità. In tal caso non avremmo più un governo legittimato dal popolo, ma un governo legittimato dal vuoto, dall’assenza della partecipazione sociale. Se in molti rinunceranno a recarsi ai seggi non onoreranno il loro dovere civico di votare, ben più che un referendum, sarà sconfitta una certa idea di democrazia. La democrazia come partecipazione.

È importante andare a votare, inoltre, perché si tratta non solo di decidere su cinque specifici quesiti, ma anche sul futuro del lavoro e delle politiche migratorie.

Questioni che certamente vanno ben al di là dei quesiti posti, ma nessuno può ritenere che non verranno interessate nel profondo, nel bene o nel male, dall’esito referendario. Anni di politiche che hanno prodotto una crescente precarizzazione del lavoro e la costante diffidenza nei confronti dei processi di integrazione subiranno una forte legittimazione ovvero una decisiva battuta d’arresto a seguito dell’esito referendario. Si tratta di decidere se vogliamo continuare a lasciare ad altri il campo libero sul futuro del lavoro nelle sue diverse forme e sulle politiche migratorie o se invece crediamo che sia giunto il tempo di dire la nostra: battere almeno un colpo.

Siamo consapevoli dei limiti dei referendum, la cui natura abrogativa permette di evitare il peggio e di indicare la strada per ricostruire il meglio, senza però poter essere sufficienti a sé stessi. Il giorno dopo l’auspicata vittoria alle urne dei quesiti proposti si tratterà di cambiare molto più di quanto non si pensi. Il referendum possiede in sé una potenzialità di mutamento – un plusvalore democratico – che non può essere sottovalutata.

Può aprire la strada – o almeno una breccia – per passare da una cultura che sino ad ora ha privilegiato le ragioni dell’economia di mercato a quella diversa che privilegia l’idea della dignità del lavoro definita nella nostra Costituzione; può permettere di abbandonare le politiche di rifiuto dell’altro per adottare quelle di integrazione e rispetto dei diritti costituzionali delle persone, secondo i dettami della nostra Carta fondamentale. Un cambiamento di rotta e un inizio di partita, dunque.

Ed è qui che si manifesta la terza ragione per la quale è importante andare a votare: per fermare il lungo regresso costituzionale che da tempo sta avanzando, ma che da ultimo ha assunto le forme di un vero assalto alla Costituzione. Se si mettono assieme le ultime politiche istituzionali e costituzionali (dai decreti sicurezza ai fervori autonomisti, dalla separazione delle carriere alla più pericolosa tra le riforme costituzionali, quella dell’elezione diretta del capo dell’esecutivo con un parlamento al suo servizio) è evidente la volontà di costruire un altro Stato costituzionale, meno rispettoso del pluralismo politico e più attento alle ragioni dei poteri su quelle dei diritti. La vittoria nel referendum può rappresentare un forte ostacolo a questo progetto regressivo e francamente un po’ inquietante. Dovrebbe bastare questo per convincere tutti coloro che sono preoccupati dello stato delle cose presenti ad andare a votare.

Qualcuno sostiene che c’è la libertà di non votare: è una libera scelta. In fondo non è prevista alcuna sanzione per chi diserta le urne. Ed è vero. È vero che esiste la liberà naturale (così la chiamava Hans Kelsen), la quale comprende la possibilità di farsi mettere in catene. Essa, però, appare incompatibile con la democrazia, che si fonda invece su un altro tipo di libertà, quella sociale. La cui partecipazione è un dovere civico. Isonomia la chiamavano gli antichi.

Meglio lottare per le proprie convinzioni – quali che esse siano – e impegnarsi anche con il voto per i nostri diritti e per i diritti di chi non ne ha. In fondo anche se non siamo lavoratori precari, anche se non siamo migranti senza cittadinanza non possiamo rinunciare a questi diritti.

Si sente dire dagli scettici che «tanto il quorum non si raggiungerà». Può anche darsi, ma vorrei ricordare la frase del più grande e appassionato rivoluzionario del Novecento: «Chi lotta può perdere, ma chi non lotta ha già perso». Andiamo a votare, per favore.