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Referendum Diciamoci la verità, almeno qui. L’esito dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza è stato un disastro, sotto ogni profilo. Il centrosinistra esce malconcio da questa prova di forza referendaria […]

Manifesti in favore del Referendum dell'8 e 9 giurgno esposti in una strada di Milano, 29 maggio 2025. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

Diciamoci la verità, almeno qui. L’esito dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza è stato un disastro, sotto ogni profilo. Il centrosinistra esce malconcio da questa prova di forza referendaria e il governo, al contrario, ulteriormente rafforzato. È un dato oggettivo e non ci sono soglie, psicologiche o politiche, che possano giustificare diverse, e diversamente fantasiose, interpretazioni.

A questo punto, ragionare sugli errori commessi è un’operazione quasi oziosa ma che, se ben condotta, può servire a rimettere la discussione sui giusti binari. Quindi, quali sono stati questi errori? Il primo è strategico. Su temi così rilevanti, come quelli del lavoro e della cittadinanza, entrambi pilastri della nostra Costituzione, non si può giocare la carta del voto anti-governativo.

L’immagine della “spallata” al governo Meloni o l’asticella del “quorum psicologico” (sic) fissata ai circa 12,5 milioni di elettori di centrodestra hanno contribuito a snaturare il significato del referendum: doveva essere un voto di rango costituzionale per la rilevanza dei temi messi al centro del dibattito pubblco ed è diventato invece un fallito avviso di sfratto anticipato del governo in carica.

Il secondo errore è stato politico. O si è certi, in partenza, della compattezza del fronte promotore dei referendum, oppure è meglio affrontare questi temi in altra sede, dove le diverse posizioni possono trovare punti di compromesso che la logica binaria del referendum non consente. Questa compattezza mancava non solo perché erano diversi gli (iniziali) promotori delle due tematiche referendarie (lavoro e cittadinanza), ma soprattutto perché erano divisi i principali partiti che hanno deciso di investire le loro risorse di mobilitazione in questa sfida elettorale: i centristi favorevoli al quesito della cittadinanza ma contrari a quelli sul lavoro; i pentastellati sostenitori dei quesiti sui temi laburisti ma agnostici (anzi, pilateschi) sul quesito della cittadinanza; e infine il PD che era la summa di tutte queste contraddizioni e al cui interno convivevano astensionisti attivi (Meloni-style), astensionisti passivi (La Russa-style) e un vasto gruppetto di convinti referendari. Date queste condizioni strutturali di partenza, era illusorio sperare in una ondata di partecipazione elettorale.

Infine, l’ultimo errore di tipo programmatico. La Babele delle posizioni esistenti dentro e fra i partiti di centrosinistra ha avuto la sua Epifania nel voto referendario. Ma il danno maggiore è il risvolto elettorale di queste divisioni programmatiche su due temi cruciali nella costruzione di qualsiasi piattaforma politica alternativa al centrodestra. L’esito complessivo dei referendum ha mostrato l’esistenza di (almeno) due gruppi sociali nell’elettorato di centrosinistra: un primo gruppo tradizionalmente socialdemocratico sensibile a riforme “protezioniste” sul mercato del lavoro e un secondo gruppo che, in tema di riforme economiche, si oppone a interventi redistributivi mentre è favorevole a politiche di apertura sui “nuovi” diritti civili e sulla cittadinanza. Questo referendum ha reso ancora più evidente quanto sia difficile, non solo nel contesto italiano, far convivere nello stesso campo, Mélenchon e Macron.

Compilata la lista (incompleta) degli errori, come se ne esce? Le opzioni sono solo due: o si resta perdenti all’angolo leccandosi le ferite, a tutto beneficio del governo in carica e sempre più “scarico” di opposizione, o si rilancia la sfida fin da subito, offrendo ai 15 milioni di elettori che si sono recati alle urne una proposta chiara fatta di pochi, importanti punti programmatici: salario minimo, investimenti in istruzione e sanità pubblica, politiche di welfare per abbattere le disparità di genere, ius scholae e costruzione di un’Europa politica che sappia diventare una “forza di pace” nel nuovo scenario internazionale. Una proposta unitaria da costruire assieme a tutte le componenti del centrosinistra e che sappia rispondere alle esigenze non solo di quei 15 milioni di persone che, meritoriamente, si recano ancora alle urne, ma anche a quei 20 milioni di elettori in letargo che aspettano proposte politiche alternative e credibili.