Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Guerra ucraina Il più pesante attacco russo da settimane arriva poche ore dopo il messaggio del tycoon contro Zelensky. Poi bacchetta Mosca. Bloomberg: gli Stati uniti pronti a rivedere i punti del loro piano di pace. Ma i presupposti sono sempre più deboli

Feriti nell'attacco russo contro la città di Kiev foto Ap/Evgeniy Maloletka Feriti nell'attacco russo contro la città di Kiev – Ap/Evgeniy Maloletka

Mentre gli Stati uniti schiaffeggiano l’Ucraina a parole, la Russia si inserisce con droni e missili. Dopo il furioso messaggio pubblicato martedì da Donald Trump, in cui accusava Zelensky di aver fatto fallire gli sforzi di pace, nella nottata di ieri il Cremlino ha sferrato un massiccio attacco nei cieli di Kiev. Al momento, si contano 13 morti civili (tra cui sei minori) e oltre 60 feriti.

Numerosi gli edifici colpiti, con persone sotterrate dalle macerie. In realtà, è stata tutta l’area centro-orientale del paese a essere presa di mira (soprattutto le grandi città, tra Kharkiv, Dnipro, Cherson e Zaporizhzhia) ma un’offensiva così sanguinosa nella capitale non si vedeva dalla scorsa estate.

LA TEMPISTICA punta in una direzione piuttosto chiara. Il presidente ucraino, che nel frattempo si era recato in Sudafrica per un incontro con il suo omologo Cyril Ramaphosa (visita che è stata ridotta per via delle stragi in patria), ha commentato in maniera amaramente sarcastica: «Abbiamo assistito a uno degli attacchi più complessi e sfacciati da parte di Mosca. A cosa sarà mai collegato? Di certo non ai miei impegni diplomatici qui in Sudafrica».

Dure condanne anche da parte europea, a partire dall’alta rappresentante Kaja Kallas. A quel punto pure la Casa bianca – che, per quanto accondiscendente col Cremlino e ruvida verso Kiev, cerca comunque di presentarsi come “mediatore” – si vede costretta a fare marcia indietro.

Le dichiarazioni di Trump, a dire il vero, suonano quasi come un belato rivolto al leader russo: «Non sono contento del bombardamento di stanotte – ha scritto su Truth Social – Non necessario, e in un brutto momento. Vladimir, smettila!». A cascata, però, arrivano alcune indiscrezioni di Bloomberg secondo cui gli Stati uniti rivedranno i punti del loro piano di pace.

Mosca dovrebbe accettare che Kiev mantenga e strutturi le proprie forze di difesa (richiesta che va contro le pretese di «smilitarizzazione» qua e là avanzate dal Cremlino) e ci sarà una maggiore insistenza sul ritiro delle truppe di Putin da alcune piccole aree di territorio occupato nonché sulla cessione del controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia (che probabilmente Washington punta ad amministrare).

A MENO DI ULTERIORI colpi di scena, l’inviato speciale Usa Steve Witkoff è atteso nei prossimi giorni in Russia per discutere di queste proposte. Ma il caos che si è prodotto nelle ultime ore potrebbe aver gettato sui negoziati un’ombra destinata a durare a lungo e inficiare qualsiasi altro tentativo.

O meglio, tra bombardamenti continui e comportamenti ondivaghi dei diversi attori in campo la “pace” immaginata da Trump rivela tutta la debolezza dei suoi presupposti: il Cremlino è ben disposto a concedere aperture retoriche e magari anche ad accaparrarsi qualche accordo che lo avvantaggi (come l’allentamento delle sanzioni), salvo poi mettere in chiaro sul campo di battaglia che le proprie intenzioni restano sanguinose; la Casa bianca, pur giocando una partita di ristrutturazione delle proprie alleanze e dell’ordine globale, non sembra forse pronta per sterzate così brusche e clamorose quale sarebbe l’abbandono completo dell’Ucraina (forse anche per resistenze negli apparati interni); Kiev fa quel che può, impegnandosi in controffensive di persuasione diplomatica (come la già citata visita a Ramaphosa, la prima di Zelensky in un paese africano) e siglando memorandum di intesa economica con Washington, ma mantenendo ferme le «linee rosse» dell’integrità territoriale (da cui il rifiuto categorico di cedere la Crimea).

In questo “stallo”, che comunque costa continue morti e distruzione, l’Europa mostra fermezza promettendo sanzioni contro la Russia fino alla fine del conflitto. Ma il progetto della «coalizione dei volenterosi» per inviare forze militari di peacekeeping o di supporto in Ucraina, unica “carta” concreta in mano a Bruxelles che potrebbe potenzialmente deviare le sorti della guerra (non per forza per il meglio, dati i rischi), è poco più che un’opzione teorica. A scanso di equivoci, arrivano le minacce del generale russo Sergej Shoigu: «Pronti a usare l’atomica, se aggrediti dall’occidente».