Terra rimossa Giunti al porto di Haifa i primi 70 bulldozer D9 richiesti da Netanyahu. Il campo di internamento di Rafah è sempre più concreto. Ieri varie fonti definivano vicino l’accordo per una tregua di 60 giorni e il rilascio degli ostaggi
Dopo un attacco israeliano alle tende per gli sfollati a Gaza City – Jehad Alshrafi/Ap
Quando, qualche giorno fa, durante una riunione del gabinetto di sicurezza israeliano, il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha chiesto se l’esercito sarà obbligato a «governare» due milioni di civili palestinesi a Gaza, il premier Netanyahu, secondo la stampa locale, avrebbe risposto: «Ti porterò dieci D9 per preparare lo spazio umanitario». I D9 sono le gigantesche ruspe della Caterpillar che le forze armate israeliane usano per spianare terreni e abbattere le case palestinesi. Lo «spazio umanitario» è invece la cosiddetta «città umanitaria» a Rafah: l’enorme campo in cui sarà rinchiusa la popolazione di Gaza, annunciato all’inizio della settimana dal ministro della Difesa Israel Katz. I primi settanta D9 ordinati da Israele agli Stati uniti e promessi da Netanyahu a Zamir sono da ieri al porto di Haifa.
DOPO MESI di ritardi, i bulldozer e altre attrezzature destinate alle forze di terra israeliane sono stati scaricati da un mercantile e, in queste ore, vengono trasferiti in centri specializzati per il blindaggio. Donald Trump, mentre intrattiene la comunità internazionale annunciando da settimane una «tregua imminente» a Gaza, fornisce le ruspe necessarie ai progetti del governo Netanyahu per realizzare l’«emigrazione volontaria» dei palestinesi.
Solo in una realtà distorta si può parlare di libero arbitrio in relazione a persone che hanno trascorso quasi due anni sotto continui bombardamenti aerei, in tende o tra le macerie, soffrendo la fame e la sete, senza cure mediche, senza elettricità e senza molto altro. A novembre, l’amministrazione Biden aveva bloccato la vendita dei D9 a causa del loro utilizzo da parte dell’esercito israeliano per radere al suolo le abitazioni di Gaza. Appena rientrato alla Casa Bianca, Trump ha rimosso il blocco, approvando inoltre la fornitura a Israele di altri 7,4 miliardi di dollari in bombe e missili. Il Times of Israel riferiva ieri che, dal 7 ottobre 2023, 870 aerei da trasporto e 144 navi hanno consegnato a Israele più di 100.000 tonnellate di armamenti e attrezzature militari, provenienti principalmente dagli Usa. Ieri il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato sanzioni americane contro la Relatrice dell’Onu Francesca Albanese che ha denunciato nel suo ultimo rapporto le aziende che «ricavano un profitto dal genocidio a Gaza».
«QUELLO CHE SI DEFINISCE l’unico paese democratico in Medio Oriente, grazie all’esercito ‘più morale del mondo’, sta ora progettando una ‘città umanitaria’ nella Striscia di Gaza. Non importa in quale cellophane orwelliano la stiano confezionando. Il primo ministro Benyamin Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz stanno apertamente portando avanti il progetto di accampare i cittadini di Gaza in campi profughi, in preparazione del loro trasferimento fuori dall’enclave». Comincia così l’editoriale pubblicato ieri dal quotidiano Haaretz, uno dei pochi media israeliani schierati contro le politiche del governo Netanyahu a Gaza. «Il fatto che Katz abbia svelato il suo piano per una città destinata a centinaia di migliaia di palestinesi, chiusi e sotto sorveglianza, senza possibilità di andarsene, come una ‘soluzione umanitaria’, non è altro che un’agghiacciante distorsione linguistica», ha aggiunto il quotidiano di Tel Aviv .
ALTRETTANTO esplicito il giudizio di Amos Goldberg, storico dell’Olocausto presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Il ministro Katz, ha detto Goldberg, citato dal Guardian, delinea piani per la pulizia etnica di Gaza e la creazione di «un campo di concentramento o di transito per i palestinesi» prima che vengano espulsi. «Non è né umanitario né una città», ha aggiunto, «una città è un luogo dove hai possibilità di lavorare, di guadagnare denaro, di stabilire relazioni e libertà di movimento. Ci sono ospedali, scuole, università e uffici. Non è questo che (Netanyahu e i suoi ministri) hanno in mente. Non sarà un luogo vivibile, proprio come le ‘aree sicure’ (per i civili di Gaza, ndr) sono invivibili ora». Quindi ha posto un interrogativo inquietante: «Cosa succederà se i palestinesi non accetteranno questa soluzione e si ribelleranno?». Poche altre le voci israeliane che si sono levate contro quelli che è impossibile non definire campi di internamento.
LA POSIZIONE del governo Netanyahu, e quella di un’ampia porzione dell’opinione pubblica, è stata rappresentata da Ron Ben Yishai, il più popolare degli analisti militari. «Gaza non è un ghetto, né un campo di concentramento», proclama perentorio in un podcast sul portale Ynet, lamentandosi poi per i limiti che l’offensiva israeliana incontra a Gaza. Per Ben Yishai, l’esercito combatte «con una mano legata dietro la schiena» perché sa che potrebbe colpire anche gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Da Doha intanto ripetono: «Intesa vicina».
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Giustizia L’opposizione attacca. Secondo le carte del tribunale dei ministri avrebbe ingannato l’aula
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio – Imagoeconomica
Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio le cose si stanno mettendo male per davvero. Se saranno confermate le indiscrezioni sull’indagine del tribunale dei ministri, trapelate ieri su Corriere e Repubblica, in attesa della verità giudiziaria ci sarà una certezza politica: il guardasigilli ha mentito al parlamento durante l’informativa sul caso Elmasry del 5 febbraio scorso.
PERCHÉ QUEL GIORNO ha detto all’aula che quando domenica 19 gennaio il capo della polizia giudiziaria libica è stato arrestato a Torino su mandato della Corte penale internazionale (Cpi), con accuse gravissime di crimini di guerra e torture, al ministero è stata trasmessa solo una «comunicazione assolutamente informale, di poche righe, priva di dati identificativi». Il «complesso carteggio» con tutte le informazioni sarebbe arrivato il giorno seguente. Ma le carte del tribunale dei ministri, che avrebbe chiuso le indagini pronto a inviare alla procura della capitale la richiesta di archiviazione o rinvio a giudizio, dimostrerebbero il contrario. Il ministero sapeva da subito quello che stava succedendo a Torino e chi era l’uomo ammanettato dalla digos.
«Ha mentito, si deve dimettere», hanno scandito le opposizioni per tutto il giorno. Tutte insieme a eccezione di Azione: Carlo Calenda ha sempre sostenuto che l’esecutivo ha sbagliato solo a non apporre il segreto di Stato e rivendicare l’operazione. «Mentire in parlamento significa mentire al paese e mentire al paese è una pratica che una democrazia non può mettere in atto senza che ci siano delle conseguenze. Ci aspettiamo che Meloni torni alle camere a chiarire una vicenda che sta fortemente danneggiando la credibilità e la dignità dell’Italia», dichiara la segretaria dem Elly Schlein. Per il leader pentastellato Giuseppe Conte: «È un governo di bugiardi. Sono stati bugiardi anche sul caso Elmasry. Abbiamo rimpatriato con un volo di Stato uno stupratore di bambini e adesso abbiamo le prove. Nordio deve dimettersi».
SULLA STESSA LINEA il segretario di Sinistra italiana e deputato Avs Nicola Fratoianni: «Cosa aspetta la presidente del Consiglio Meloni a farlo dimettere?». Per Riccardo Magi (+Europa): «Il ministro della Giustizia non ha più alibi: faccia un passo indietro prima di infangare ancora di più le nostre istituzioni». «Un governo che si fa ricattare dai torturatori libici. Un governo che si fa umiliare sulla scena internazionale come a Bengasi», sostiene il senatore Iv Matteo Renzi, che accusa la stessa presidente del Consiglio di aver mentito.
I partiti di opposizione hanno poi invocato una nuova informativa urgente sulla vicenda. Tanto al Senato, quanto alla Camera. Ma il ministro per i Rapporti con il parlamento Luca Ciriani ha lanciato la palla in tribuna quasi subito: «Non sarà domani (oggi, ndr), il governo sta valutando, ci vuole del tempo per organizzare un’informativa». Significa che l’esecutivo è in difficoltà che presto potrebbero aumentare.
INTANTO L’AVVOCATA Giulia Bongiorno starebbe valutando una denuncia contro ignoti per la divulgazione di atti coperti dal segreto, pubblicati prima del deposito e della notifica alle parti. La senatrice leghista difende i quattro indagati nella vicenda: Nordio, Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Per tutti le ipotesi di reato sono favoreggiamento e peculato, solo per il guardasigilli anche omissione d’atti d’ufficio.
Sempre ieri un’altra notizia che riguarda Elmasry è arrivata dalla Libia: dopo la rimozione del vincolo procedurale sull’ex ufficiale di polizia, la procura di Tripoli ha avviato un procedimento penale in base alla legge nazionale. L’uomo era stato interrogato una prima volta il 28 aprile, quando gli erano state notificate le ipotesi di reato. Che sono state costruite sulla base di quanto affermato dalla Cpi nell’ordine di arresto eluso dall’Italia.
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Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina oggi a Roma, 100 governi e 2.000 aziende studiano come farsi pagare da un paese in bancarotta che dovrà vendersi tutto. L’Europa e anche il papa appoggiano Zelensky, ma deve saldare. Ieri il più grande attacco russo di tutta la guerra
Conto aperto Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, gli invitati (Italia in testa) si fregano le mani. Ma gli Usa potrebbero prendere tutto
Volodymyr Zelensky, e Leone XIV a Castel Gandolfo – Foto AP
Per Volodymyr Zelensky è l’appuntamento decisivo. Mentre gli altri invitati alla Conferenza di Roma sulla ricostruzione dell’Ucraina penseranno a come lucrare al meglio sulle future ceneri del suo Paese, per il presidente si tratta di ottenere armi e soldi ora. Oggi incontrerà Keith Kellogg, l’inviato speciale di Donald Trump per l’Ucraina, l’ex generale che la Russia non ha mai voluto sul suo territorio perché considerato troppo «filo-ucraino». All’uomo di Washington Zelensky ribadirà ancora una volta che l’unico modo per ottenere un cessate il fuoco in Ucraina è armarla, altrimenti la Casa bianca continuerà a farsi prendere in giro da Vladimir Putin, come è avvenuto durante la telefonata di giovedì scorso. La rabbia di Trump sembrava aver facilitato il compito della vigilia per la delegazione kievita. Il presidente Usa si è affannato a tentare di dimostrare che lui (!) non ne sapeva niente dell’interruzione di contraerea e munizioni, che era stata una decisione del capo del Pentagono Pete Hegseth e che gli invii sarebbero ripresi subito. Ieri la nuova giravolta di fronte ai giornalisti che lo pressavano fuori dallo Studio ovale: «hanno chiesto un sistema di difesa Patriot. Valuteremo. È molto costoso».
Ma come, fino a un giorno fa non era a conoscenza del costo delle sue stesse armi? O forse, ipotesi più probabile, si è trattato dell’ennesima mossa mediatica. Da quando Trump si è insediato il nuovo motto degli Stati uniti dovrebbe essere «dipende», stampato vicino alla bandiera a stelle e strisce invece di E pluribus unum. Dipende da come gira il vento, da come si mettono le cose, dai fattori esterni (Israele soprattutto)… anche quando si danno certezze poi si ritratta. E se qualcuno gli fa presente che è scorretto allora partono gli insulti.
AGLI ANTIPODI di quanto chiedeva la Difesa di Kiev – «Abbiamo bisogno di organizzarci, ci serve continuità e programmazione». Nulla di tutto ciò è stato possibile. Nemmeno il «più massiccio attacco russo dall’inizio della guerra» è bastato a convincere il tycoon. È vero che questa frase ultimamente la sentiamo una volta ogni tre giorni, pronunciata spesso dall’Aeronautica militare ucraina, ma ciò che rischia di sembrare una boutade è solo l’evoluzione della guerra. 738 droni e 13 missili in una sola notte, come ieri, non sono equivocabili. Mosca l’ha detto: «continueremo fino al raggiungimento dei nostri obiettivi» e gli analisti occidentali ritengono che, malgrado difficoltà crescenti, i russi possano permettersi questa guerra per almeno altri due anni.
NON È COSÌ PER KIEV, che oltre a non avere più molti sistemi di difesa aerea, non ha neanche uomini da inviare al fronte per
Leggi tutto: Zelensky gioca il tutto per tutto: a Roma per armi e fondi subito - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Gaza Improbabile l’uso del farmaco come arma di guerra: «L’overdose richiede alti dosaggi». Potrebbe essere un «occultamento» per il contrabbando
Ossicodone nascosto negli aiuti alimentari
Nel corso della storia si è parlato diverse volte del possibile uso di droghe come arma di guerra. Ovvero dell’impiego di sostanze psicoattive per indebolire il nemico, creare dipendenza, fiaccarne il morale, alterare lo stato psico-fisico di forze combattenti o popolazioni civili.
A METÀ del 19esimo secolo l’impero britannico venne accusato di aver reso dipendente dall’oppio l’esercito cinese (e fette importanti della popolazione), portando alle due Guerre dell’oppio. Durante la Guerra fredda la Cia sperimentò l’Lsd (una sostanza psichedelica semisintetica) anche su civili inconsapevoli, per testarla a scopo bellico contro i sovietici. Secondo documenti declassificati, in caso di invasione dell’Urss immaginavano di diffonderla negli acquedotti delle città. L’ultima accusa di questo tipo in ordine di tempo risale a pochi giorni fa e arriva dalla Striscia di Gaza. Lo scorso 27 giugno sul canale Telegram dell’ufficio stampa del governo di Gaza, quindi di Hamas, è stata denunciata «la scoperta di pillole narcotiche di ossicodone all’interno di sacchi di farina che hanno raggiunto i cittadini dai cosiddetti ‘centri di aiuto Usa-Israele’, noti come ‘trappole della morte’».
La Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), l’organizzazione privata alla quale dal 18 maggio il governo Netanyahu ha affidato in esclusiva la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia, ha respinto l’accusa quel giorno stesso in un post su X: «La farina che distribuiamo viene confezionata commercialmente e non è prodotta o gestita dal personale della Ghf. Disponiamo di protocolli di sicurezza secondo i quali qualsiasi scatola di aiuti aperta prima della distribuzione non può essere distribuita».
L’ufficio stampa del governo di Gaza, ovviamente, non ha dubbi: «Riteniamo l’occupazione israeliana pienamente responsabile di questo atroce crimine (…) un crimine di guerra e una grave violazione del diritto umanitario internazionale». E il 2 luglio ha poi diffuso un’immagine nella quale si vedono tre compresse di colore bianco e altrettante più piccole rosa disposte sopra un foglio marrone chiaro: «Pubblichiamo una nuova foto che mostra pillole narcotiche scoperte da un cittadino palestinese a Deir al-Balah all’interno di un sacco di farina proveniente dagli aiuti americano-israeliani».
IMPOSSIBILE conoscerne il reale contenuto e soprattutto l’origine, ma i dubbi sono tanti. «Se voglio usare gli oppioidi come arma di guerra non uso l’ossicodone, un farmaco comunque gestibile che richiede alti dosaggi per causare la morte per overdose», obietta subito Salvatore Giancane, medico tossicologo, autore di diverse pubblicazioni sugli oppiacei, con oltre trent’anni di esperienza nel trattamento delle dipendenze. A suo dire, un governo «userebbe il fentanyl», cinquanta volte più potente dell’eroina e 250 più della morfina, «che se si libera nell’aria fa effetto anche solo per inalazione». Ma anche ammesso sia stato scelto l’ossicodone, l’antidolorifico oppioide tra i più utilizzati al mondo, avrebbe poco senso inserirlo nella farina sotto forma di pillole, peraltro nemmeno tritate. «Inoltre l’ossicodone non è termostabile», continua Giancane, e la farina bisogna cuocerla per farne un alimento. Insomma, anche lui, come altri esperti, ritiene possa trattarsi semmai di «un metodo di occultamento». In altre parole contrabbando ai fini della sua eventuale vendita sul mercato nero a scopo ‘ricreativo’ o come antidolorifico, «anche perché l’ossicodone agisce come la morfina, che attualmente non c’è».
PRIMA di questa ennesima guerra, i pochi dati disponibili sull’uso di sostanze psicoattive a Gaza parlavano di un consumo tra la popolazione soprattutto di cannabis e tramadolo, un altro oppiaceo ancora più blando dell’ossicodone. Il 26 giugno scorso, il giorno prima del comunicato sul presunto ritrovamento delle pillole, un’unità Arrow (la polizia di Hamas) avrebbe catturato nella Striscia 17 «ladri di farina», con successiva distribuzione della stessa nei pressi delle rotatorie di Bani Suhaila e di Al-Saniya, oltre che ad Al-Bahr Street. Tra le bande accusate di rubare gli aiuti c’è quella guidata da Yasser Abu Shabab, la milizia che il governo Netanyahu starebbe sostenendo in funzione anti-Hamas. Un clan attivo nell’area di Rafah, il cui omonimo valico con l’Egitto e le gallerie sotterranee sono state usate per traffici clandestini di ogni tipo, compresi quelli di droga e farmaci psicoattivi. Dei quali è accusato da tempo anche il gruppo di Abu Shabab. E secondo alcuni media i sacchi di farina in questione provenivano proprio dai depositi di questa milizia.
Commenta (0 Commenti)Senza tregua Nuovi ordini di evacuazioni a sud della Striscia
I resti della scuola di Al-Bureij, colpita nella notte di martedì da un raid israeliano – Zuma/Belal
Abu Amer
Erano passate poche ore dalla cena in cui Benjamin Netanyahu e Donald Trump hanno discusso di come procedere con la commissione di un crimine contro l’umanità (la pulizia etnica di Gaza) quando Avichay Adraee, il portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano, annunciava l’ennesimo ordine di espulsione da un pezzo di Striscia. Gli ordini che Adraee pubblica sul suo profilo X sono amaramente noti, l’asettica comunicazione a migliaia di persone di abbandonare i propri temporanei rifugi.
L’ordine di ieri si riferiva a nove aree di Khan Younis, seconda città di Gaza per grandezza, oggi ombra irriconoscibile di sé stessa.
L’85% della Striscia è sotto ordine di evacuazione forzata, dicono i dati Onu e le mappe israeliane, reticoli di quadratini incomprensibili, su cui i palestinesi dovrebbero basarsi per cercare un luogo sicuro dove ripararsi, sapendo che di luoghi così non ne esistono.
L’ESERCITO EMETTE ordini senza dare spiegazioni militari, seppur fittizie. Un «gioco» crudele che ieri ha spinto la portavoce di Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Tamara al-Rifai a dire che «non c’è niente di umanitario o di umano nel cercare di confinare prima 600mila persone e poi l’intera popolazione di Gaza in spazi controllati dalle forze israeliane». Il riferimento è all’annuncio di un altro crimine di guerra: due giorni fa il ministro della difesa Katz, come fosse normale, ha parlato del concentramento di 600mila palestinesi dentro una Rafah ridotta a macerie e ordigni inesplosi, in vista dell’espulsione. A ventidue mesi dal 7 ottobre 2023 non esiste più alcuna finzione: l’obiettivo di Israele è svuotare Gaza, il più possibile, e lasciare chi resta in uno spazio devastato, senza infrastrutture né dignità, totalmente dipendente dalla forza occupante. Una violazione nella violazione, spiega all’emittente qatarina al-Jazeera il giurista Ralph Wide: «Israele non ha nessun diritto di stare a Gaza e in Cisgiordania. Qualsiasi cosa faccia là è illegale perché è la sua presenza a essere illegale (…) È anche genocidio: è parte del processo in corso di infliggere al popolo palestinese condizioni di vita volte a distruggerlo in tutto o in parte».
IERI I GIORNALISTI palestinesi hanno raccolto le voci di tante donne e uomini, un coro unico e tenace per Trump e Netanyahu: nessuno se ne andrà dalla propria terra. Lo facevano mentre seppellivano 80 persone, uccise dall’alba al tramonto. Cinque morti nel raid israeliano su una tenda a Zeitoun; lo stesso ad al-Rimal, cinque vittime, e al Mawasi, nove uccisi; altri sei ammazzati dai cecchini vicino al centro di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation di Rafah (tra loro tre bambini); tredici nel bombardamento su una casa a Gaza City dove avevano trovato rifugio alcune famiglie.
ISRAELE PRENDE di mira quasi esclusivamente aree residenziali, siano esse abitazioni ancora in piedi, scheletri di palazzi sventrati o tendopoli. Una strategia che si lega al blocco degli aiuti imposto dal 2 marzo da Israele all’assistenza umanitaria di Onu e ong internazionali, con il cibo «consegnato» solo dalla Ghf con un meccanismo perverso e mortifero e con il resto (acqua potabile, medicine, benzina) tagliati fuori.
SUCCEDE COSÌ, scrive il giornalista Tareq Abu Azzoum, che l’ospedale al-Aqsa, «uno dei pochi parzialmente funzionanti al centro» di Gaza, «esaurirà il carburante entro poche ore portando alla sospensione di una serie di servizi medici». A poca distanza la clinica di Zeitoun cessava di operare: i bombardamenti hanno reso impossibile portare assistenza «a migliaia di pazienti, in un’area sempre più sovraffollata di rifugiati dalla zona est di Gaza a causa degli ordini di evacuazione», comunica la Mezzaluna rossa. Un circolo vizioso di espulsione e morte.
Commenta (0 Commenti)Espulso da Bengasi per «gravi violazioni del protocollo e della sovranità nazionale». Il ministro Piantedosi vola in Libia in cerca di intese per fermare i migranti insieme ai colleghi di Grecia e Malta e al commissario Ue Brunner. Ma questa volta la «persona non grata» è lui
Foglio di via Il ministro Piantedosi e il commissario Brummer dichiarati «persone non gradite» da Bengasi
Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli con il generale Khalifa Belqasim Haftar – Ansa
L’obiettivo era quello di cercare in Libia nuove intese per fermare i flussi dei migranti in vista dell’estate, provando così a prevenire una situazione che, spiegava ieri mattina il ministro Matteo Piantedosi, «con la stagione estiva rischia di peggiorare».
Proprio per questo da giorni l’Unione europea stava lavorando a una missione ad alto livello che facesse tappa sia a Tripoli che a Bengasi. Missione che però è fallita ieri quando il Team Europe guidato dal Commissario europeo per le migrazione Magnus Brunner con i ministri dell’Interno italiano e i colleghi di Malta e Grecia, dopo un incontro a Tripoli con il premier del Governo di unità nazionale Abdelhamid Dabaiba è stato bloccato una volta arrivato all’aeroporto Benina di Bengasi, in Cirenaica, e invitato a lasciare subito il paese. «Persone non gradite» e, come tali, respinte.
Ad annunciare la misura, inedita, è stato il governo dell’Est guidato dal primo ministro Osama Hamad, esecutivo non riconosciuto internazionalmente ma con il quale sia l’Italia che l’Ue hanno da tempo avviato relazioni. Giusto un mese fa, per dire, proprio Piantedosi ha ricevuto al Viminale il generale Saddam Haftar, figlio di Khalif Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, con cui ha
Leggi tutto: L’Europa prova a sbarcare in Libia ma viene respinta - di Marina Della Croce
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