Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha annunciato ieri che l'Italia ha aderito ufficialmente all'Alleanza Europea per il Nucleare, il gruppo di 13 Paesi (Italia, Francia, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia) creato dalla Francia un paio d’anni fa per coordinare attività di rilancio dell’energia nucleare in Europa. E ha dichiarato – a margine della riunione lussemburghese dei ministri europei responsabili dell’energia – «un impegno» a «proseguire tutte le azioni che ci possono portare, anche tecnologicamente, alla produzione di energia nucleare in ambito europeo ed integrare quella che è la produzione delle energie rinnovabili» (La Stampa, 16/6).
Il ministro rilancia il nucleare in Italia ma «dimentica i referendum con cui la maggioranza dei cittadini si è espressa contro tale scelta», attaccano, in una dichiarazione del 16 giugno, Vittorio Bardi e Alfiero Grandi (della presidenza nazionale dell’associazione “Si alle energie rinnovabili, no al nucleare”). Il ministro e il governo, accusano, «si comportano come se le leggi in vigore non esistessero e fingono che ci siano già nuove normative», accarezzando gli interessi di aziende che premono per il ritorno del nucleare in Italia, «malgrado due referendum abrogativi lo abbiano bocciato».
Secondo l'associazione, si legge nella nota dei due firmatari, l’adesione italiana all’Alleanza nucleare è un fatto molto grave, perché avvia una procedura di partnership, «con conseguente scambio di informazioni, di impegno comune nella ricerca, nella sperimentazione e nella produzione di reattori nucleari», scavalcando di fatto il Parlamento, che ancora non è stato chiamato a discutere il progetto di legge governativo che il Consiglio dei Ministri ha approvato oltre 3 mesi fa. Inoltre, aggiungono Bardi e Grandi, «il governo non contesta alla Lombardia i protocolli firmati con l’Agenzia Internazionale sul Nucleare sul quale la Regione non ha poteri, che spettano al governo. In sostanza è una forma di autonomia regionale differenziata camuffata che si fa beffe delle sentenze della Corte costituzionale sulla legge Calderoli».
Infine, il problema delle scorie radioattive: anche su questo fronte il ministro parla di ripensare «la scelta dei depositi nazionali delle scorie radioattive (uno a basso-media radioattività e uno ad alta pericolosità), ignorando le leggi che dovrebbe rispettare e che hanno istituito la Sogin con il compito di smantellare le vecchie centrali nucleari in Italia e di costruire i 2 depositi per mettere in sicurezza tutte le scorie nucleari esistenti».
Insomma, pare proprio che il governo intenda cambiare le regole del gioco senza passare per le vie ufficiali. Delle due l’una: se non si fanno nuove leggi, sottolineano i due, il governo «deve rispettare quelle che ci sono. Imitare Trump non è possibile».
Tra le regole del gioco che il governo è chiamato a rispettare c’è anche la sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale, secondo la quale il governo non può, sul nucleare, introdurre «novità tali da non rientrare negli effetti di ben 2 referendum abrogativi che hanno deciso l’uscita dell’Italia nel 1987 dal nucleare civile, confermata nel 2011».
Le dichiarazioni e le azioni del governo e del ministro Pichetto Fratin sul nucleare, secondo Bardi e Grandi, servono «solo a coprire ritardi e manchevolezze del governo nell’autorizzare gli investimenti nelle fonti rinnovabili, le uniche che garantiscono l’autonomia dell’Italia, a differenza delle fonti fossili. Nel 2030 non raggiungeremo gli obiettivi di decarbonizzazione previsti dal governo stesso». Intanto, «la situazione energetica dell’Italia è preoccupante, il governo deve togliersi dalla testa che sia possibile iniziare a discutere di nuovo nucleare senza avere prima risolto il problema delle scorie radioattive, tanto più che il nuovo nucleare ne creerebbe altre in aggiunta».
Insieme per la pace- La via maestra Ravenna sarà a Roma con un pullman per la manifestazione nazionale “Stop Rearm Europe - No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo - Per Gaza” che si terrà a Roma il 21 giugno, alla vigilia del vertice della Nato.
Fra due settimane, all’Aja, i paesi dell’Unione Europea accoglieranno la richiesta della Nato di armarsi e di prepararsi a combattere sul suolo europeo entro cinque anni.
Dovremo spendere il 5% del PIL in armi, rafforzare del 400% la difesa aerea e missilistica, produrre migliaia di carri armati e milioni di proiettili. E preparare la cittadinanza alla guerra, far entrare l’esercito nelle scuole, aumentare i soldati, militarizzare cultura e società.
Intanto, si continua ad armare Israele e il genocidio a Gaza, e si prosegue ad alimentare con armi sempre più letali la guerra in Ucraina.
La maggioranza del popolo italiano, nonostante la propaganda guerrafondaia, continua ad essere contro la guerra. Ha diritto ad essere rappresentata, ha diritto a trovare uno spazio largo, accogliente, ospitale dove poter esprimersi e partecipare, per fermare insieme questo tempo nero.
Un’alternativa alle guerre esiste, la pace va costruita con scelte politiche e azioni diplomatiche serie e credibili. Abbiamo bisogno urgente di politiche per l’ambiente, la partecipazione democratica, il welfare e l’istruzione.
Ufficio stampa: Alberto Mazzotti, 338 8556129
Tra i 35 e 54 anni i “working poor” superano il 30%. Il Paese è sempre più in difficoltà: al Nord esplode l’indigenza, emergenza casa e sanità, il welfare non basta
In Italia crescono sempre di più gli uomini e le donne che sono poveri anche lavorando. È uno dei dati più preoccupanti emersi dal rapporto annuale della Caritas. Nella fascia di popolazione tra i 35 e 54 anni, la percentuale dei “poveri che lavorano” supera perfino il 30%. La ricerca, in generale, disegna il quadro di un Paese più povero.
Partendo dall’inizio, sono in aumento i cittadini che si rivolgono ai centri Caritas in tutto il territorio, per chiedere assistenza e aiuto. Nel 2024, spiega l’indagine, le persone sono state quasi 278.000, il 3% in più del 2024 e il 62% in più rispetto a dieci anni fa.
La Caritas fa l’identikit dei suoi assistiti: l’età media è 47,8 anni ma cresce la presenza degli anziani: nel 2015 gli over 65 erano solo il 7,7%, oggi rappresentano il 14,3% (il 24,3% tra gli italiani). Permangono le difficoltà strutturali delle famiglie con figli, che rappresentano il 63,4% degli assistiti.
L’occupazione è molto fragile: il 47,9% è disoccupato, mentre il 23,5% ha un lavoro che “non costituisce un fattore protettivo rispetto all’indigenza”. Tra i 35-54enni la percentuale dei working poor supera il 30%.
Un aumento della povertà davvero rilevante si registra nel Nord Italia (+77%), seguito dai territori del Mezzogiorno (+64,7%). Il sostegno raggiunge tanti nuclei famigliari, nel complesso circa il 12% di quelle in povertà assoluta (che sono 5,7 milioni di individui).
Aumentano anche le situazioni di povertà intermittente o di lunga durata. Si consolidano i casi di povertà cronica: oltre un assistito su quattro (26,7%) vive in una condizione di disagio stabile e prolungato.
Il disagio più comune è quello sanitario e abitativo, riferisce sempre la Caritas. Tra gli assistiti, uno su tre (il 33%) manifesta almeno una forma di difficoltà legata all’abitare. Nel dettaglio, il 22,7% vive una “grave esclusione abitativa” (persone senza casa, ospiti nei dormitori o in condizioni abitative insicure o inadeguate); il 10,3% presenta difficoltà legate alla gestione o al mantenimento della casa stessa, perlopiù sul pagamento di bollette e affitti.
Il 15,7% degli assistiti presenta “vulnerabilità sanitarie”, spesso collegate a malattie gravi o scarse risposte del sistema pubblico. Tanti chiedono farmaci, visite mediche o sussidi per prestazioni sanitarie; in generale il fenomeno della rinuncia alle cure è “sottostimato”, dice il rapporto.
Va poi sottolineato che la povertà sanitaria “si intreccia quasi sempre con altre forme di bisogno (nel 58,5% se ne cumulano 3 o più) in un circolo vizioso: casa, reddito, salute, istruzione e relazioni si condizionano a vicenda, rendendo difficile ogni percorso di uscita”.
“Il profilo di chi ha bisogno si è dunque profondamente trasformato – afferma quindi la Caritas -, riflettendo una povertà sempre più trasversale, complessa e spesso non intercettata o adeguatamente supportata dal welfare”.