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Premio Nobel per la chimica, delusione per Balzani - Cronaca ...

Il progetto ENI di costruire a Ravenna il più grande centro mondiale per lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CO2) è un enorme rischio finanziario senza certezze dal punto di vista climatico e ambientale

Nella conferenza stampa tenuta al termine degli Stati generali dell’Economia a Roma, il presidente Conte ha annunciato che fra le azioni per risolvere il problema energetico nascerà a Ravenna il più grande centro al mondo di cattura e stoccaggio di CO2.

Come è noto, la CO2 è un gas generato dall’uso dei combustibili fossili che, immesso nell’atmosfera, contribuisce a creare l’effetto serra e il conseguente cambiamento climatico. Secondo gli scienziati dell’IPCC (un comitato che agisce sotto il patrocinio dell’ONU), per evitare un catastrofico cambiamento climatico, definito il pericolo più grave per l’umanità, è necessario azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. Questo è quanto prevede l’Accordo di Parigi, al quale hanno aderito praticamente tutte le nazioni del mondo, compresi gli Stati Uniti che poi, con Trump presidente, sono usciti dall’accordo. Le azioni sono urgenti, perché lo “spazio” rimasto per nuove emissioni è limitato, quindi si debbono realizzare entro il 2030 piani di riduzione delle emissioni nette.

La strada maestra per raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050 è la progressiva riduzione dell’uso dei combustibili fossili da attuare con una graduale transizione alle energie rinnovabili (Sole, vento e acqua) che non producono né CO2 né sostanze inquinanti. Le compagnie petrolifere invece, prima fra tutte ENI, stanno intensificando le ricerche in tutto il mondo e, con il loro grande potere, operano a tutti i livelli e con ogni mezzo per evitare che i combustibili fossili vengano messi al bando entro il 2050.

Secondo le compagnie petrolifere si può continuare ad usare i combustibili fossili evitando che la CO2 prodotta sia immessa in atmosfera e, addirittura, anche prelevando dall’atmosfera la CO2 già emessa. Queste operazioni, indicate con la sigla CCS (Carbon Capture and Sequestration), implicano la cattura della CO2 emessa o già in atmosfera e il suo immagazzinamento in caverne sotterranee. Questo processo, oltre ad essere poco logico, poiché si versano in atmosfere quantità sempre maggiori di CO2

per poi ricatturarle e sequestrarle, è complesso dal punto di vista ambientale; molto costoso; e richiede un forte sviluppo perché è ancora a livello di ricerca.

Infine, è solo una parte del complesso mosaico di interventi necessari per mantenere l’aumento di temperatura entro 1.5 (o 2) °C. Deve essere armonizzato con tutte le azioni che riguardano la pianificazione energetica e l’uso efficiente dell’energia.

L’adozione delle tecnologie CCS è critica per diversi motivi:

  • lo stoccaggio nel sottosuolo è rischioso perché non sono noti i suoi effetti sismici. Tale rischio è ancora maggiore in una zona fragile come la costa di Ravenna, dove sono in corso significativi fenomeni di subsidenza.

  • teoricamente può compensare le emissioni derivate dalla produzione di energia da fonti fossili, mantenendo quasi invariata l’attuale proporzione tra fonti energetiche rinnovabili e fossili. Tuttavia, i combustibili fossili sono limitati, quindi questa soluzione non può essere strutturale, ma solo temporanea, rendendo estremamente critici gli aspetti economico-finanziari dell’investimento.

  • la cattura di CO2 all’interno degli impianti di produzione di energia da fonti fossili riduce le prestazioni del 10%-20%. I costi di produzione dell’energia sarebbero sostanzialmente raddoppiati. In alternativa, si può catturare la CO2 dall’aria, anche se non esistono tecnologie mature e verificate. Oppure, si può catturare la CO2 all’interno di impianti di conversione di biomasse in energia. Quest’ultima opzione avrebbe un forte impatto sull’uso del suolo agricolo e sulle emissioni di metano e NOx.

  • oggi non esistono progetti industriali maturi relativi al CCS; si è ancora alla fase di ricerca. In Norvegia, che è il maggiore produttore europeo di idrocarburi, un report indipendente commissionato da Governo ha analizzato la possibile realizzazione di un impianto di stoccaggio di CO2 nei giacimenti esauriti del Mare del Nord. Tale progetto è stato valutato un potenziale disastro finanziario e il Governo sta valutando di sospendere il progetto stesso.

In conclusione, riteniamo non opportuno investire ingenti risorse pubbliche nella realizzazione di un sistema di stoccaggio di CO2, perché i risultati non sono garantiti, né dal punto di vista della sicurezza, né dal punto di vista climatico.

Le stesse risorse debbono essere investite sulle energie rinnovabili, sugli impianti di accumulo di energia elettrica, sull’efficienza energetica degli edifici e delle attività produttive e commerciali, settori con alta intensità di occupazione. Ovvero, debbono essere investite su tecnologie mature e disponibili che garantiscono una rapida riduzione delle emissioni a effetto serra, tecnologie che attendono solo di essere utilizzate.

 

Vincenzo Balzani

Coordinatore Energia per l’Italia Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.