L’europarlamento vota a larga maggioranza l’utilizzo dei fondi del Pnrr per produrre armi. Schlein tenta di smarcarsi, il Pd si spacca e chiede al governo di non utilizzarli. Il dem Bartolo si astiene (con altri 3): «L’Ue ritrovi se stessa e lavori per la pace»
EUROPARLAMENTO. Destre a favore, ma il governo: non li useremo. Il Pd si spacca: 10 sì, 4 astenuti e un no. I dem sotto attacco di destre e terzo polo per difetto di atlantismo. Fratoianni: se si è contrari si vota contro
Il parlamento europeo - Ap
L’Europa corre verso un’economia di guerra. Il Parlamento europeo ieri ha approvato a larga maggioranza (446 sì, 67 no e 112 astensioni) il regolamento Asap (Act in Support of Ammunition Production) voluto dal commissario al mercato interno Thierry Breton.
NESSUNA SUSPENCE sull’esito del voto che apre il negoziato con i 27 paesi per arrivare a luglio al voto finale che consentirà ai paesi Ue di utilizzare anche i fondi del Pnrr e di Coesione per produrre munizioni e armi. Oltre alla minima dotazione prevista dal regolamento (500milioni) la novità è che i paesi potranno dirottare miliardi del Pnrr (che era stato pensato per il welfare e la transizione ecologica dopo la pandemia) sulla produzione di armi.
ANCHE IL GRUPPO SOCIALISTA, dopo che gli emendamenti voluti dal Pd per escludere il Pnrr dai fondi cui attingere per gli armamenti erano stati bocciati, ha dato indicazione per il sì al regolamento. Un sì motivato anche dalla necessità, hanno spiegato, di continuare a fornire armi all’Ucraina e, nel contempo, riempire arsenali sempre più vuoti. Tra i socialisti ci sono stati 95 sì, 10 no e 20 contrari. Segno che, anche tra chi vuole sostenere Kiev, cominciano ad emergere dubbi sulla forsennata corsa al riarmo.
TRA I PARTITI ITALIANI, le destre e l’ex terzo polo hanno votato convintamente a favore (e contro le modifiche chieste dai dem), no da Verdi e M5S. Il Pd si è spaccato rumorosamente: 8 hanno votato sì, e tra loro il capogruppo Brando Benifei e la vicepresidente del parlamento Pina Picierino, oltre alle deputate Tinagli e Gualmini e all’ex ministro De Castro. Sei gli astenuti, tra loro Camilla Laureti della segreteria di Schlein (è responsabile agricoltura) , Pietro Bartolo e l’ex pm antimafia Franco Roberti. Mentre Alessandra Moretti e Patrizia Toia, che risultavano astenute, hanno poi spiegato che si è trattato di un «errore materiale» e che il loro era un voto a favore.
UN SOLO CONTRARIO, Massimiliano Smeriglio, che spiega: «Cresce l’area del dissenso sulla trasformazione dei fondi del Pnrr e di coesione in armi. Un atto sbagliato che riarma 27 eserciti con soldi per le politiche sociali e ambientali senza far fare un passo in avanti alla difesa comune europea. E per il governo Meloni un assegno in bianco per modificare il Piano di ripresa a proprio piacimento. Lavoriamo per ribaltare questo esito con il voto finale sull’atto previsto a luglio. Bene anche il dissenso che si è espresso tra le fila del Pd».
I 5 STELLE RIVENDICANO il loro no: «Siamo convinti che questa folle corsa al riarmo non è assolutamente la strada giusta per costruire un futuro di pace in Europa e nel mondo». Nicola Fratoianni definisce «indecente» la decisione europea. «La guerra porta con sé l’economia di guerra, spinge la corsa della spesa militare, e lo fa a scapito del futuro», spiega il leader di Si che ha partecipato con i Verdi a un flash mob davanti a Montecitorio. Quanto al Pd, ragiona, «se si è contrari a una scelta si vota contro. Essere contrari e votare a favore non funziona».
I DEM ORA PUNTANO sull’evitare che il governo italiano utilizzi i fondi del Piano di ripresa. Ieri in Senato hanno presentato una interrogazione al ministro Raffaele Fitto, chiedendo che il governo escluda l’uso di quei fondi per le armi. «La facoltà di poter accedere a queste risorse non è in alcun modo all’ordine del giorno», la risposta del ministro di Fdi.
Ma i dem non sono convinti della buona fede dell’esecutivo. Per questo hanno chiesto un voto del Parlamento. «Le rassicurazioni del ministro non ci rassicurano, perché i gruppi della destra nel Parlamento europeo hanno votato contro gli emendamenti presentati dal Pd che prevedevano espressamente l’eliminazione della possibilità di utilizzo, attraverso fondi Pnrr, di risorse per l’acquisto di armi e munizioni», ha detto il capogruppo Francesco Boccia. «Per noi è necessario arrivare ad un voto in Aula su un atto di indirizzo che trasformi l’impegno assunto oggi dal ministro in atti non più reversibili».
Sul Pd piovono critiche da tutte le parti. Dal terzo polo e da +Europa l’accusa è di aver abbandonato l’atlantismo e di aver abboccato «alla propaganda pacifinta del M5S». Dal partito di Conte l’accusa opposta. «Il Pd alla fine ha votato sì ad un regolamento che apre alla possibilità di usare il Pnrr per il riarmo, quando si era detto contrario: comportamento per me incomprensibile», attacca il capogruppo Stefano Patuanelli
Arriva l’emendamento del governo che esclude dalle verifiche la magistratura contabile
La relazione semestrale 2023 sul Pnrr della Corte dei conti
Ma quale fioretto: meglio l’accetta. Dopo le critiche della Corte dei Conti sulla marcia del Pnrr e l’irritazione somma del pilota Raffaele Fitto l’intervento del governo per imbavagliare la Corte era prevedibile. Sino all’ultimo però sembrava che il governo volesse usare la mano morbida e in questo senso pareva andare anche l’incontro fissato per oggi a palazzo Chigi con una delegazione dei magistrati contabili. Il ministro Fitto non si è accontentato. Ha insistito per la linea dura e la premier ha scelto di appoggiarlo.
Raffaele Fitto:
Lo scontro si fa in due e io sfido a trovare una mia dichiarazione contro la Corte. Abbiamo il massimo rispetto per le istituzioni. Esigiamo lo stesso rispetto
IL GOVERNO HA PRESENTATO un emendamento al dl Pubblica amministrazione, in commissione alla Camera, che fissa due paletti. Il primo è la proroga al giugno 2024 dello scudo per il danno erariale del dirigente pubblico. Il secondo, ben più rilevante, limita il «controllo concomitante» in base al quale la Corte dei Conti, su richiesta delle commissioni parlamentari, può controllare in itinere i progetti volti a rilanciare l’economia nazionale e accertare «gravi irregolarità gestionali ovvero rilevanti e ingiustificati ritardi». Funzioni che la Corte potrà continuare a esercitare, salvo che in materia di Pnrr. L’emendamento esclude infatti dal controllo concomitante i progetti «previsti o finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza».
A SORPRESA, AL TERMINE della riunione della cabina di regia, proprio Fitto convoca sui due piedi una conferenza stampa, formalmente per illustrare la Relazione semestrale al Parlamento sull’attuazione del Piano. In realtà per rispondere alle critiche della Corte e giustificare la mano pesante. Scontro con la magistratura contabile? Ma quando mai: «Lo scontro si fa in due e io sfido a trovare una dichiarazione mia o del governo contro la Corte. Noi abbiamo il massimo rispetto per tutte le istituzioni. Certo esigiamo lo stesso rispetto».
La giustificazione addotta dal ministro è leguleia e puntigliosa. Lo scudo erariale è una norma del governo Conte già prorogata da quello Draghi. Perché dovrebbe fare scandalo un’ulteriore proroga? Il controllo concomitante, in vigore dal 2009, è rimasto nel cassetto fino al 2021: «Com’è che è stato tirato fuori dopo anni, sempre e solo a proposito del Pnrr e anche in violazione della norma per cui i controlli dovrebbero essere fatti dalla Corte dei Conti italiana insieme a quella europea?». E perché la Corte si permette di valutare gli obiettivi legati alla quarta rata quando la richiesta di quella rata non è stata ancora inoltrata?
INSOMMA, SOSTIENE tra le righe il ministro, non è il governo che sconfina per limitare i poteri della Corte ma la Corte stessa che esorbitava dai propri compiti. Con finalità politiche, fa capire anche in questo caso senza dirlo, Fitto. Però, scontri a colpi di regolamenti a parte, lo stato del Piano qual è? Qui il ministro, ma anche la premier Giorgia Meloni nella premessa alla Relazione semestrale, sono molto più vaghi. I rapporti dei singoli ministeri sulle modifiche da apportare al Piano nei settori di loro competenza non sono stati completati e l’unica data certa resta quella ufficiale del 31 agosto: «Non significa però che saremo pronti solo la sera del 30. Faremo prima, molto prima». Quanto prima non si può dire. Come non si può quantificare la percentuale degli obiettivi del Pnrr che dovranno essere sacrificati o radicalmente modificati. E la stessa situazione dei target da raggiungersi per la quarta rata, quella del 30 giugno, è a propria volta ancora incerta: «Faremo una valutazione attenta anche perché ci sono obiettivi intermedi a cui si deve rinunciare per raggiungere quelli finali», insomma scavallare la data del 30 giugno per quanto riguarda gli asili nido, giura il ministro, non significa rinunciare agli asili ma mettersi in condizione di centrare l’obiettivo. Piano poi con l’accusa di essere in ritardo: i conti vanno fatti nel contesto europeo, tenendo conto di quanto ha chiesto l’Italia e quanto meno tutti gli altri. Si fa presto a dire «ritardo».
LA PREMIER AMMETTE che «la maggior parte delle amministrazioni ha registrato un livello di spesa inferiore alle previsioni». Colpa della guerra, sostiene, e degli shock energetici che «hanno fatto emergere nuove priorità e la conseguente necessità di aggiornare il Piano». Nessun problema davvero grave insomma. Soprattutto senza più le cornacchie della Corte dei Conti a menare gramo
Le immagini spaventose, i 15 morti e i danni alle colture hanno acceso l’attenzione sulle piogge in pianura. Ma per pianificare bisogna ripartire dalle montagne collassate sul paesaggio più cementificato d’Italia. «Questa regione è un condominio con il tetto bucato». Il territorio non va solo ricostruito, ma riprogettato
Le alluvioni e le frane della Romagna sono state causate dalla crisi climatica ma amplificate da un territorio in cui la montagna più abbandonata del centro nord è collassata sul territorio più cementificato.
L'adattamento richiesto dalla crisi climatica dovrà combinare ingegneria con ecologia, i fiumi dovranno avere più spazio naturale intorno, altrimenti faranno come in Romagna: se lo riprenderanno con la forza.
Governi e amministrazioni locali devono superare la logica dell'emergenza continua e del commissariamento, ai territori serve la pianificazione di una nuova normalità. Le aree colpite non vanno ricostruite, vanno riprogettate.
«Questo territorio non va ricostruito, va riprogettato». In questa frase di Alessandro Liverani, tecnico forestale ed ex membro della Protezione civile, c’è tutto quello che non stiamo comprendendo di quanto accaduto a maggio in Romagna, a nessun livello, da quello regionale a quello del governo, un paese che ignora non solo la crisi climatica ma anche la sua geografia, prima dei disastri e anche dopo i disastri.
Quello in Romagna va diviso in due capitoli: le alluvioni in pianura, le frane in collina e in bassa montagna. Delle alluvioni si è parlato di più, per i 15 morti, per le immagini spaventose, per le decine di migliaia di sfollati e per il disastro economico. Ma è dalle frane che bisogna partire per avere un
Scritto da Giuditta Pellegrini, BOLOGNA su il manifesto
Catena di solidarietà autorganizzata che nell’ultima settimana ha portato l’aiuto di centinaia di persone volontarie sulle terre devastate, le realtà promotrici, come Bologna For Climate Justice, la Colonna Solidale Autogestita e la Piattaforma di intervento sociale Plat
L’assemblea in piazza Maggiore a Bologna - Giuditta Pellegrini
«Non è un perimetro organizzativo ma uno spazio di convergenza, di insorgenza, di costruzione di un immaginario collettivo e di classe dirigente dal basso» avevano scritto le realtà organizzatrici dell’assemblea convocata per ieri a Bologna in piazza Maggiore per costruire un percorso critico e di mobilitazione nel contesto seguito dall’alluvione. E così è stato.
Partendo dalla catena di solidarietà autorganizzata che nell’ultima settimana ha portato l’aiuto di centinaia di persone volontarie sulle terre devastate, le realtà promotrici, come Bologna For Climate Justice, che riunisce i movimenti ecologisti del capoluogo emiliano, la Colonna Solidale Autogestita e la Piattaforma di intervento sociale Plat, composta dalle diverse realtà sociali e politiche della città e che sta coordinando dal 17 maggio gli spostamenti dei gruppi di volontari e di aiuti verso i territori alluvionati, ha subito ricevuto l’adesione pressoché totale delle tantissime sigle che coltivano percorsi critici nel nostro Paese. Per ribadire che «alla solidarietà si affianca la rabbia di sapere da anni che la crisi climatica avrebbe prodotto questo tipo di eventi estremi e che un territorio cementificato ne avrebbe moltiplicato gli effetti dannosi, eppure si è continuato ad agire come se non fosse così», afferma Marco di Bologna for Climate Justice.
«L’unico modo per cambiare realmente le cose è agire dal basso» hanno ricordato due operai della Ex Gkn, che ha lanciato la sfida della convergenza e ribadito la distanza delle istituzioni alle reali soluzioni della crisi ambientale e sociale in atto. «Da noi la presenza delle stato si è vista anche troppo» afferma Guido arrivato dalla Valsusa, alludendo alla forte repressione che da tempo si ripercuote sul movimento No Tav.
«In questi giorni ho sentito molte parole belle dal mondo della politica verso i volontari, ma non ho sentito nessuno chiederci scusa e dirci che avevamo ragione nel mettere in guardia su come i territori siano stati massacrati». A prendere il microfono è un ragazzo di Bologna Solidarietà Attiva, appena arrivato da Faenza con la tuta completamente infangata. «Non riusciamo a liberarci dalla sensazione di dover agire in qualsiasi modo per proteggere il nostro futuro dal ripresentarsi di simili eventi». Gli fa eco con veemenza un attivista di Extinction Rebellion. «Le istituzioni si occuperanno a malapena dell’emergenza e quando avranno ricostruito la loro illusione di normalità, ricominceranno a vendercela nella speranza che per allora ci saremo dimenticati della sofferenza che abbiamo visto e delle storie che abbiamo ascoltato, ma soprattutto che la rabbia che ci ha portato in questa piazza si sia sopita, ma non sarà così» grida, rilanciando l’opposizione a una delle grandi opere in questo momento più criticate a Bologna, l’allargamento del tratto di tangenziale e autostrada a 18 corsie denominato passante di mezzo. I lavori, già iniziati, hanno provocato nei giorni dell’alluvione il cedimento di una parte del tratto stradale del Parco del Paleotto, dove l’abbattimento di 1.200 alberi ha agevolato martedì scorso l’esondazione del torrente Savena.
Ma, come ha ricordato l’Associazione Per la Sovranità alimentare Campi Aperti, «l’unica grande opera ora è la cura che dobbiamo avere verso il territorio». Per ribadirlo, molti sono stati gli appuntamenti lanciati, ma quello principale a cui hanno aderito tutte le realtà presenti, è la grande manifestazione che si terrà a un mese dall’alluvione, il 17 giugno, sempre a Bologna, per dire no alla cementificazione, per una ricostruzione che non sia più incentrata sull’emergenza, ma sulle esigenze reali del territorio e di un futuro possibile
MALTEMPO. Montagne di immondizie: un palazzo grande come un campo da calcio e alto 25 piani, prigioniero del fango rappreso
Stoccaggio dei rifiuti dell'alluvione a Faenza - foto di Linda Maggiori
La “Graziola” è diventata dalla prima alluvione del 3 maggio una immensa discarica. È un parcheggio alle porte di Faenza, ora la chiamano “il cimitero dei ricordi”, tutti quelli che la fiumana ha portato via dalle case. Montagne di rifiuti alte tre metri in continua espansione: il sindaco Massimo Isola parla di 30mila tonnellate. I camion vanno e vengono di continuo. Un camionista dice che li stanno portando a Ostellato e in altri impianti, dove saranno triturati e poi avviati a discarica o inceneritore. L’assessora all’ambiente della Regione Emilia-Romagna, Irene Priolo è stata a Faenza nei giorni scorsi per verificare di persona la drammaticità della situazione: «Abbiamo deciso di mandare l’esercito per aiutare, non possiamo lasciare sola Faenza come altri comuni».
La pulizia della città è iniziata da qualche giorno secondo un piano condiviso tra Comune, Protezione civile e esercito. Con grandi mezzi si raccolgono i rifiuti stoccati ai lati delle strade, zona per zona, vietandone l’accesso anche ai volontari per sicurezza. Ma tanti oggetti restano ancora per terra, mischiati al fango ormai solidificato. La città è una desolazione.
IERI E OGGI nuova allerta per rischio alluvione. «Se torna la fiumana dove finiranno questi rifiuti?» si chiede una signora delle case popolari di Via Lacchini, davanti ai cumuli non ancora portati via, proprio vicino al fiume. È una corsa contro il tempo.
Herambiente è il gestore dei rifiuti per la città di Faenza e per altri comuni alluvionati nel ravennate. «Chiediamo alla gente, per quanto possibile, di separare ingombranti, Raee (frigoriferi, pc, forni, televisioni) e tutto ciò che è indifferenziato, tenendo a parte anche bombole del gas e oggetti che contengono batterie, per prevenire rischi di scoppio e incendio – spiega Andrea Ramonda, Amministratore Delegato di Herambiente – Stiamo lavorando senza sosta, nei comuni alluvionati ci sono più di centomila tonnellate di rifiuti, un volume pari a un palazzo di 25 piani su una superficie di un campo da calcio, una quantità che normalmente nelle stesse aree viene raccolta in dieci mesi». A questi volumi impressionanti si sommano le 15mila auto alluvionate e destinate alla rottamazione.
NEL FORLIVESE è invece Alea che gestisce la raccolta dei rifiuti: «Nei nostri 14 comuni prima dell’alluvione avevamo un tasso di raccolta differenziata oltre l’80% , facevamo raccolta porta a porta con tariffa puntuale da anni – spiega Gianluca Tapparini, direttore generale di Alea – tutti i comuni del forlivese producevano meno di 100 chili l’anno procapite di rifiuti totali, eravamo un esempio virtuoso. Ora stimiamo oltre 20mila tonnellate di rifiuti, facciamo il possibile per differenziare, ma tantissimo finirà nelle varie discariche».
LA GENTE PROVA a recuperare, lavare, pulire davanti ai cortili delle case: «Chi ha una idropulitrice?” è la domanda che rimbalza nei social e nelle chat. Il fatto di vivere in una società del consumo e dell’usa e getta ha peggiorato le dimensioni del disastro: «Non ti accorgi di quante cose hai se non quando devi buttarle. Ti accorgi che i mobili di compensato acquistati a basso costo letteralmente si sbriciolano con l’acqua», scuote la testa una signora.
IL FANGO PORTA con sé benzina, gasolio e olio combusto, provenienti dalle auto e dai distributori danneggiati, microplastiche dei pannolini e pannoloni, gommapiuma dei divani e un’infinità di altri materiali sbriciolati. Tutto finisce nei tombini delle “acque chiare”, quindi nei canali, sommandosi ai rifiuti che il fiume in piena ha portato al mare. Il fango anche a livello sanitario non è un toccasana, c’è il rischio che ci siano anche reflui delle fogne, le Ausl raccomandano prudenza ai volontari che puliscono, senza però scatenare il panico nella popolazione.
«ERAVAMO UN TERRITORIO già inquinato, ora lo siamo ancora di più – riflette amaramente Corrado Oddi, della Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna (Reca) – Purtroppo quando si agisce così nell’emergenza si può fare davvero poco. Il dissesto idrogeologico, il consumo di suolo e il cambiamento climatico sono le cause principali di questa alluvione. Noi, additati come gli “ambientalisti del no” avevamo presentato più di sei mesi fa quattro proposte di legge di iniziativa popolare su acqua, rifiuti, energia e consumo di suolo. A più di sei mesi di distanza, non è neppure iniziata la discussione in commissione, rischiando che tutte le nostre proposte siano votate in aula, senza discussione, e vengano bocciate. Questa regione sa solo correre dietro alle emergenze, senza prevenirle».
Scritto da Giuditta Pellegrini, Lorenzo Tecleme, BOLOGNA su il manifesto
LA TRAPPOLA DEGLI AIUTI. Trovata la 17ma vittima dell’alluvione. Mentre altra pioggia si abbatte sulla regione
Conselice - Getty Images
Alla fine l’alluvione ha restituito un altro corpo. Fiorenzo Sangiorgi era un agricoltore sessantottenne di Fusignano, un piccolo comune in provincia di Ravenna. Mercoledì 17, nel pieno del nubifragio, si trovava nelle campagne di Belricetto, dove aveva i suoi campi. Non è chiaro perché fosse lì quel giorno. Quel che è certo è che la piena lo ha portato via: è stato visto scendere dal furgone ormai bloccato e cedere alla forza dei flutti. Per una settimana è stato dato per disperso, poi il ritrovamento del cadavere ha fugato anche gli ultimi dubbi sulla sua sorte. È la quindicesima vittima dall’inizio dell’emergenza.
IERI LA ROMAGNA si è ritrovata per piangere i suoi morti. A Russi, nel ravennate, quattrocento persone hanno assistito ai funerali dei coniugi Delio Foschini e Dorotea dalle Fabbriche. 71 anni lui, 73 lei, erano anche loro agricoltori. Pure per l’anziana coppia la data fatale è stata il 17 maggio. Sono morti nella loro casa allagata. In chiesa, oltre alla cittadinanza riunita, anche la ministra Anna Maria Bernini in rappresentanza del governo.
L’Emilia-Romagna non smette di aver paura dell’acqua. Sia di quella accumulata da una settimana e ormai stagnante, che rischia di diventare il perfetto brodo di coltura per batteri e muffe. Sia di quella che nuove perturbazioni devono ancora scaricare sul terreno.
CONSELICE, PROVINCIA di Ravenna, è uno dei posti in cui gli allagamenti non possono dirsi conclusi. Non solo cantine e garage interrati, ma intere strade sono ancora sommerse. Una situazione che rischia di diventare un problema di carattere sanitario. L’acqua dei rubinetti scorre ed è potabile, fanno sapere dal Comune. Ma non sono altrettanto sicure le pozze che ancora bloccano il paese. L’Ausl parla di pre-allarme: ancora non si registrano infezioni, ma è necessaria la massima prudenza.
Un vademecum diffuso dalle autorità sanitarie raccomanda di evitare in ogni modo il contatto con l’acqua stagnante e invita a entrare in luoghi chiusi e allagati solo protetti da mascherine e occhiali – oltre che guanti e scarponi. L’amministrazione, intanto, si prepara ad offrire gratuitamente il vaccino antitetanico a chiunque ne farà richiesta. Lucia Vastano, giornalista che ha casa proprio a Conselice, ci dà conto della preoccupazione dei residenti.
«Nelle pozze si iniziano a vedere infestanti. Le persone sono spaventate, l’informazione viaggia ancora molto spesso per passaparola». La stampa locale parla della possibilità che i residenti vengano evacuati per il rischio di epidemie. Un’ipotesi che però non ha ancora avuto conferme ufficiali. In paese sono entrate in azione le idrovore, e il livello dell’acqua è iniziato a calare.
IN SERATA, INTANTO, un’ondata di maltempo proveniente da nord è tornata a colpire la regione. Nuova pioggia che si abbatte su terreni fradici, infrastrutture fragili, comunità stanche e spaventate. A Monterenzio, in provincia di Bologna, un ponte è crollato lasciando alcune case isolate. Si tratta di uno dei comuni più colpiti in assoluto dalle frane: oltre 150 nelle ultime settimane. Nella cittadina di Pavullo, in provincia di Modena, sono tornate le esondazioni. Un canale tombato, il Cogorno, ha sommerso alcune strade. Per ora niente morti e feriti, ma la paura è tanta.
Mentre la situazione meteorologica e sanitaria evolve, le persone continuano a convivere con i problemi che da giorni segnano tutta la regione: fango e frane. A Faenza la melma ha lasciato spazio alla polvere. Col caldo il fango si secca ed è più difficile spalarlo via. «Quando non lavoriamo aiutiamo chi ha bisogno con i collegamenti elettrici» ci dicono due elettricisti locali. Come loro sono molti gli artigiani che stanno mettendo a disposizione gratuitamente le proprie competenze. Giordano e Giorgio hanno una ditta di infissi e alluminio. Ora hanno fermato l’attività per lavorare con chi è in emergenza. «Dobbiamo veramente ringraziare i giovani che ci stanno aiutando in maniera determinante ogni giorno» spiegano.
LE FRANE PREOCCUPANO più in altura. Fino a due giorni fa la Regione parlava di un migliaio di smottamenti accertati in tutta l’Emilia-Romagna, di cui trecento attivi. Ieri Paride Antolini, presidente dell’ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, ha dato in diretta televisiva cifre ben peggiori. «Sono assolutamente molte di più, nell’ordine di migliaia».
Nella cittadina di Modigliana, inerpicata sull’appennino in provincia di Forlì-Cesena, una prima strada è appena stata riaperta. «Si passa una macchina per volta e con prudenza, ma si passa» ci dice una residente. Una svolta per gli abitanti del luogo, che fino a pochi giorni fa erano collegati al resto del mondo solo grazie agli elicotteri. Per oggi Arpae e Protezione Civile hanno diramato una nuova allerta rossa. In Emilia-Romagna ci si prepara e si incrociano le dita