Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Centrosinistra Conte attacca per il sì a Strasburgo sulla proroga del Pnrr che apre alle spese in difesa. Zingaretti: «Abbiamo votato contro l'utilizzo dei fondi per le armi, ma a favore della proroga del Recovery Fund per completare le opere». Parteciperanno al corteo pacifista del 21 giugno Tarquinio e Scotto, assenti i big del Nazareno

Riarmo, nuovo scontro Pd-5S. I dem a ranghi ridotti in piazza Una manifestazione contro il riarmo – Ansa

Dopo il successo della manifestazione per Gaza promossa da Pd, M5S e Avs, il tema delle armi torna a dividere il campo giallorosso. Su due fronti: la partecipazione alla manifestazione «no riarmo» di sabato 21 a Roma e il voto di ieri al Parlamento Ue sulla possibilità di utilizzare i fondi del Pnrr per la difesa.

SUL PRIMO PUNTO, il Pd ha fatto una marcia indietro. Non ci sarà una delegazione ufficiale, come pure era successo il 5 aprile alla manifestazione contro il riarmo indetta dei 5S. Alcuni esponenti parteciperanno a titolo personale, come Arturo Scotto (che ha concordato la sua decisione con Schlein) e l’europarlamentare indipendente Marco Tarquinio, molto vicino ad alcune associazioni cattoliche che fanno parte della Rete pace e disarmo. Di altri nomi dem a oggi non si ha notizia. Anche Laura Boldrini, la più pacifista tra i dem, ha comunicato che sarà impegnato per un incontro per la Giornata mondiale del rifugiato. E così, tra impegni politici e personali, la lista dei dem in piazza per il disarmo sembra già finita.

A COMPLICARE LE COSE, e anche i rapporti tra gli alleati di centrosinistra, ieri c’è stato anche un voto all’europarlamento sulla relazione (approvata a larga maggioranza) sull’attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Pnrr. Nel documento, concordato tra socialisti e popolari, ci sono alcuni paragrafi che aprono a una «valutazione» sulla possibilità di utilizzare l’uso di quei fondi per «consentire investimenti mirati nelle catene di approvvigionamento della difesa, nelle scorte strategiche e nell’innovazione nel settore della difesa dell’Ue, garantendo l’allineamento con i più ampi obiettivi di sicurezza europei».

Il Pd ha votato contro questo paragrafo (il 43) della relazione, e anche ai paragrafi 15 e 18 dove pure c’erano riferimento all’utilizzo dei fondi per la difesa. Però ha approvato il documento nel suo complesso (con l’astensione di Marco Tarquinio), che conteneva anche questi passaggi, «perché l’obiettivo della relazione è chiedere alla Commissione Ue una proroga di 18 mesi per l’utilizzo dei fondi Pnrr», spiega al manifesto il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti. «Vogliamo evitare che, anche a causa dei ritardi del governo italiano, milioni di investimenti in opere pubbliche nei territori vengano bloccati. È la richiesta che arriva da molti sindaci e amministratori locali».

DAL M5S, CHE HA VOTATO contro, insieme agli eletti di Avs, sono arrivate bordate. «Il Parlamento europeo ha votato a favore della possibilità di usare per spese militari e riarmo i fondi del Recovery Fund», attacca Giuseppe Conte. «Il M5S si è opposto. Per ottenere quei 209 miliardi all’Italia per infrastrutture, scuola, sanità e lavoro noi abbiamo dato l’anima. Appoggiare questa follia è un tradimento di quella battaglia e degli sforzi di tanti italiani. Stanno ipotecando il futuro dei nostri ragazzi con una economia di guerra che avrà bisogno di sempre nuovi conflitti ed escalation».

«È grave il voto a favore di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Pd: si dà l’ok all’uso del Recovery Fund per il riarmo europeo. Così facendo, offrono al governo Meloni il pretesto perfetto per dirottare fondi europei verso la difesa, facendo un favore a Giorgetti e Crosetto», mette verbale la delegazione 5s a Bruxelles.

«Consideriamo irresponsabile anche solo ipotizzare che le risorse non ancora utilizzate del Pnrr possano essere destinate a nuove spese militari, alimentando un’economia di guerra che getta benzina su un mondo già in fiamme, mentre si taglia sui beni essenziali», hanno spiegato i deputati Leoluca Orlando, Cristina Guarda, Mimmo Lucano, Ignazio Marino, Ilaria Salis e Benedetta Scuderi.

Zingaretti respinge la versione di Conte: «È falso dire che il documento approvato a Strasurgo chieda un utilizzo dei fondi per la difesa, la verità è che se la proroga di 18 mesi non ci sarà, i singoli governi potrebbero utilizzare i soldi non spesi del Pnrr per quello che vogliono, comprese le spese militari. Soprattutto un paese come l’Italia che non ha intenzione di utilizzare gli altri strumenti a debito previsti dal piano Rearm Eu». «Come Pd, ribadiamo il nostro no all’idea di dirottare anche solo parte di quei fondi verso il riarmo nazionale, senza una strategia coordinata di difesa comune europea», gli fa eco Stefano Bonaccini.

IL COMMISSARIO UE Raffaele Fitto, che ha delega al Pnrr, ha già escluso – martedì in aula a Strasburgo – la possibilità di accogliere la richiesta del Parlamento di una proroga di 18 mesi per il completamento dei progetti. «La scadenza è a dicembre 2026, e non può essere modificata senza l’unanimità del Consiglio Ue e la ratifica dei parlamenti nazionali. Dunque bisogna accelerare per rispettare i tempi». Insomma, «la Commissione non cambia opinione». Il ministro degli Esteri Tajani la vede diversamente: «Se fosse indispensabile per causa di forza maggiore, chiederemo un prolungamento». L’unico effetto reale della discussione di ieri è una nuova crepa nel centrosinistra.

Commenta (0 Commenti)

«La mia pazienza con l’Iran è finita». Trump ha deciso: gli Usa entreranno in un’altra guerra al fianco di Israele. Bombardieri B-2 pronti nell’oceano indiano con il gigantesco ordigno anti bunker. Ma l’atomica di Teheran non c’è. Ora l’Aiea dice: «Mai pensato che fosse pronta»

La bomba che c'è Il presidente americano si schiererà pienamente con Israele, pronti i B-2 con le super-bombe per colpire gli impianti atomici di Fordow

Il fumo si alza dopo un attacco al quartier generale della polizia di Teheran in Iran foto Getty Images Il fumo si alza dopo un attacco al quartier generale della polizia di Teheran in Iran – foto Getty Images

Attacco o non attacco l’Iran? Lo faccio o non lo faccio? Il Medio Oriente, che segue con crescente preoccupazione gli esiti dell’attacco all’Iran ordinato da Benyamin Netanyahu, è in balia delle indecisioni di Donald Trump. In realtà, il tycoon ha già fatto la sua scelta: la potenza militare Usa sta per scendere in campo accanto a Israele. Non tanto per azzerare gli impianti nucleari iraniani, quanto per arrivare a un «cambio di regime» a Teheran e costruire il «nuovo ordine mediorientale» a guida israeliana.

«La mia pazienza con l’Iran è finita», ha proclamato ieri Trump durante un incontro con la stampa alla Casa Bianca. Alla domanda se avesse dato «un ultimatum all’Iran», ha risposto: «Si potrebbe dire di sì, un ultimatum definitivo». La posizione di Trump è ormai netta. A suo dire non c’è più tempo per colloqui che fermino la guerra voluta da Netanyahu. «Perché non avete negoziato con me due settimane fa? Avreste potuto cavarvela bene. Avreste ancora avuto un paese», ha affermato rivolgendosi agli iraniani. Trump adesso vuole la resa incondizionata dell’Iran. E rispondendo al rifiuto della Guida suprema iraniana Ali Khamenei, ha commentato: «Gli dico buona fortuna». Parole che sono state interpretate anche come un via libera all’intenzione espressa da Netanyahu di ordinare l’assassinio del leader iraniano.

PROPRIO ALL’AMICO Netanyahu, Trump ha rivolto il suo saluto: «Gli ho detto: vai avanti. Io parlo con lui ogni giorno, è una brava persona, sta facendo molto». A suo dire, il premier israeliano «viene trattato molto ingiustamente». «Sta facendo un buon lavoro, è un premier di guerra e deve anche affrontare questo nonsense, è ridicolo», ha aggiunto riferendosi al processo per corruzione a carico di Netanyahu.

Nelle settimane passate, i giornali israeliani analizzavano i rapporti non proprio idilliaci tra la Casa Bianca e il governo israeliano. E invece, dietro le quinte, Trump e Netanyahu avevano già preparato le valigie per una nuova luna di miele, dopo quella del primo mandato presidenziale del tycoon. Quando Israele ha scelto la guerra, Trump ha abbandonato le sue iniziali esitazioni per avvicinarsi alle posizioni di Netanyahu.

Il New York Times raccontava ieri che il premier israeliano voleva la guerra sin dallo scorso dicembre per approfittare di condizioni favorevoli. E nonostante la comunità d’intelligence statunitense sostenesse che l’Iran non fosse prossimo a dotarsi di armi nucleari, come invece proclamava Israele, Trump ha addirittura ignorato le valutazioni della direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard. «Non mi interessa cosa ha detto», ha tagliato corto. «Penso che gli iraniani fossero molto vicini ad avere (le armi atomiche)», avrebbe detto il presidente secondo il Nyt.

LA SVOLTA DECISIVA, ha aggiunto il giornale, è avvenuta l’8 giugno, quando Trump ha riunito il suo gabinetto di sicurezza a Camp David. La valutazione della Cia era chiara: Israele era pronto a colpire l’Iran, con o senza l’appoggio statunitense. E il presidente Usa, mentre fingeva di lasciare aperto uno spiraglio negoziale, in segreto si preparava a

Commenta (0 Commenti)

Medio oriente Prima qualche equilibrismo, poi Trump dice di evacuare Teheran. E Pechino sbotta

Il Presidente cinese Xi Jinping Il Presidente cinese Xi Jinping – EPA

Marzo 2023. A Pechino, Iran e Arabia saudita firmano l’accordo che fa ripartire le relazioni bilaterali. Un successo diplomatico con pochi precedenti per la Cina, che si proietta nel Medio oriente con maggiori ambizioni. Vengono ospitate le diverse fazioni palestinesi per trovare unità, addirittura ci si propone di mediare tra Israele e Palestina. Poi arrivano gli attacchi di Hamas, le bombe su Gaza e ora la guerra lanciata da Netanyahu contro l’Iran.

La Cina osserva con sgomento il disfacimento della stabilità regionale, auspicata per motivi politici, economici e strategici. «Condanniamo la violazione da parte di Israele della sovranità, della sicurezza e dell’integrità territoriale dell’Iran, esortando a cessare immediatamente ogni avventurismo militare», ha detto subito dopo le prime bombe Fu Cong, rappresentante cinese alle Nazioni unite. Nel fine settimana il ministro degli esteri Wang Yi ha parlato con gli omologhi dei due paesi. In un esercizio di complicata diplomazia, ha confermato il sostegno a Teheran nella difesa dei suoi diritti sovrani, pur invitando alla moderazione.

Dall’altra parte, ha detto a Israele che l’uso della forza è inaccettabile, ma ha anche riconosciuto la necessità di una stabilità regionale che garantisca a Tel Aviv di non dover convivere con l’«ansia della guerra». Una diplomazia bifronte con cui si cerca di mantenere credibilità con entrambe le parti.

Ieri, il cambio di passo. Da Pechino il portavoce del ministero degli esteri Guo Jiakun ha accusato Donald Trump di «gettare benzina sul fuoco», dopo il post su Truth con cui il presidente americano ha avvertito gli iraniani di evacuare Teheran.

«Alimentare il fuoco e minacciare non farà che intensificare e ampliare il conflitto», ha aggiunto Guo, riprendendo diversi punti retorici usati sull’Ucraina. Poche ore dopo ecco l’intervento di Xi Jinping. Parlando da Astana, dove ha presieduto ieri il secondo summit con le cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, il presidente cinese si è detto «profondamente preoccupato» per l’azione militare di Israele, dicendosi contrario «a qualsiasi atto che violi sovranità, sicurezza e integrità territoriale di altri paesi». I riferimenti agli Usa arrivano sul commercio: «La guerra sui dazi non ha vincitori. L’umanità deve svilupparsi con un destino condiviso e non con la legge della giungla», ha detto ai leader di Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tajikistan e Turkmenistan, prima di firmare un trattato di «amicizia permanente».

La Cina è molto preoccupata per la nuova guerra. L’Iran è un tassello importante nella Nuova Via della seta e, nel 2021, è stato firmato un accordo di cooperazione strategica ventennale da 400 miliardi di dollari. Inclusi energia, infrastrutture, trasporti, telecomunicazioni e difesa. La Cina è il principale acquirente di petrolio iraniano, spesso attraverso canali informali che aggirano le sanzioni. Con un approccio debole, il ruolo di “portavoce dei paesi musulmani”, che Pechino si è auto-assegnata nell’insistere per la soluzione dei due stati in Palestina, potrebbe indebolirsi. Secondo il Wall Street Journal Teheran avrebbe recentemente ricevuto da aziende cinesi componenti per missili balistici come il perclorato d’ammonio. Ma è difficile immaginare un sostegno diretto: la Cina non vuole rischiare di alienarsi l’Occidente.

Sullo sfondo, però, i nazionalisti più ottimisti intravedono delle opportunità. Non solo il sostegno a Israele può essere utilizzato per smentire il presunto “pacifismo” di Trump, ma un eventuale coinvolgimento americano potrebbe ridurre l’attenzione sull’Asia orientale, garantendo maggiore libertà di manovra alla Cina. Giappone, Filippine e Taiwan temono uno spostamento di mezzi militari dal Pacifico al Medio oriente. Un processo già iniziato con delle unità missilistiche Patriot rimosse dalla Corea del sud e, da ultimo, con la portaerei Nimitz che ha abbandonato le calde acque del mar Cinese meridionale.

Commenta (0 Commenti)

Trump esige la resa totale dell’Iran ed è pronto a entrare in guerra al fianco di Netanyahu. A Tel Aviv pregustano la spallata finale. Europa non pervenuta. A far rumore è il cancelliere tedesco Merz in versione bocca della verità: «Grazie Israele, fa il lavoro sporco per noi»

Usa e Iran Le parole del presidente Usa lasciano pochi dubbi. E Israele vuole il «cambio di regime». Nella regione ci sono i caccia F-22, F-35 e anche i B-2 capaci di trasportare le bombe bunker buster

Donald Trump è pronto a unirsi alla guerra all’Iran Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – Epa

Dietro il caos di dichiarazioni a raffica fatte ieri da Donald Trump, che dicono tutto e il contrario di tutto nel giro di poche ore, è emersa in modo palese la continuazione del progetto concordato con Israele dal presidente americano: l’annientamento della Repubblica islamica e la creazione di un Iran amico, come ai tempi dello Shah, magari governato da un presidente sfiatato e compiacente come il siriano Ahmad Shara.

«L’Iran non può avere un’arma nucleare… Non sto puntando a un cessate il fuoco, stiamo cercando di fare meglio di un cessate il fuoco, una fine vera della guerra tra Iran e Israele», ha avvertito il presidente americano parlando ai giornalisti a bordo dell’Air Force One dopo essere atterrato a Washington, di ritorno dal G7 in Canada. Dietro quelle parole sulla fine della guerra non c’è un intento pacifista, piuttosto sono la conferma che gli Usa sono vicini a unirsi all’attacco israeliano. Il sempre ben informato sito Axios ha riferito ieri sera che Trump è pronto a bombardare i siti nucleari iraniani, a cominciare da quello di Fordow.

Al presidente, mentre tornava dal G7, è stato chiesto se il possibile coinvolgimento americano porterà alla distruzione del programma nucleare iraniano. Ha risposto: «Non ho alcun desiderio di negoziare con loro (gli iraniani). Spero che il programma venga distrutto prima di essere coinvolti». Poco dopo ha reso ancora più espliciti i suoi propositi. «Noi abbiamo il controllo dei cieli sopra l’Iran», ha scritto su Truth Social senza Israele. Quindi ha definito la Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, «un bersaglio facile», ma ha aggiunto: «Lì è al sicuro. Non lo elimineremo, almeno non per ora».

In Israele ora c’è fiducia. La decisione di scendere in guerra spetta solo a Trump, lo sanno tutti. È opinione diffusa anche tra la gente comune che il presidente ordinerà l’ingresso in guerra alla prima occasione. Come un rifiuto iraniano – se mai riprenderanno i colloqui con Teheran che il tycoon vorrebbe affidare al vicepresidente Vance e all’inviato speciale Witkoff – di accettare tutte le condizioni degli Stati Uniti, a partire dall’interruzione piena dell’arricchimento dell’uranio. A invocare l’intervento in guerra degli Usa c’è anche la

Commenta (0 Commenti)

Bombe in libertà Netanyahu: «Assassinare la Guida suprema aiuterà la pace». I raid aerei bersagliano anche la tv di Teheran. Almeno 21 le vittime israeliane dei lanci di missili. Quattrocento quelle iraniane.

Tel Aviv vuole Khamenei. Escalation tra Israele e Iran Bnei Brak colpita ieri da un missile iraniano – Ilia Yefimovich/dpa/AP

Un messaggio in farsi, giunto da Israele, si è diffuso ieri nell’intrico di ospedali, ministeri, cinema e alberghi del Distretto 3 di Teheran: evacuare «subito» per mettersi in salvo dai bombardamenti aerei che si abbatteranno contro presunti depositi di munizioni e missili e le basi dei Guardiani della rivoluzione. Non è Gaza, è l’Iran. Non c’è stata però la fuga in massa che Israele con i suoi avvertimenti probabilmente voleva innescare. Un certo numero di famiglie, comunque, si sono riversate sulle arterie stradali, allungando le lunghe file alle pompe di benzina dove si ammassano coloro che lasciano la capitale per sottrarsi ai raid aerei nient’affatto «chirurgici» come vogliono far credere il governo Netanyahu e i comandi israeliani.

Le bombe sganciate dagli F-15 raid ieri pomeriggio hanno bersagliato anche la sede della radio e della tv pubblica iraniana durante una diretta: la conduttrice è scappata mentre il fumo invadeva lo studio televisivo. Un attacco annunciato dal ministro della Difesa israeliano Israel Katz: la televisione e la radio di Stato iraniane stanno «per scomparire», ha avvertito poco prima dell’attacco. I morti iraniani, in gran parte civili dicono ong locali, sarebbero almeno 400 mentre i dati ufficiali del ministero della sanità sono fermi a 224. Nelle stesse ore a Tel Aviv, Haifa e altri centri sono risuonati più volte gli allarmi aerei per i missili balistici iraniani. Teheran a sua volta ha intimato agli israeliani di scappare dai centri urbani, annunciando l’attacco missilistico più ampio dall’inizio della cosiddetta «guerra preventiva» scatenata la scorsa settimana da Benyamin Netanyahu.

Ordini simmetrici, specchio di un’escalation che presto potrebbe coinvolgere gli Stati uniti: l’esito che Israele desidera per realizzare il suo piano di «cambio di regime» a Teheran. A Donald Trump, che ieri si è di nuovo rivolto all’Iran per spingerlo a trovare un accordo sul nucleare – alle condizioni Usa, ossia rinunciando completamente all’arricchimento dell’uranio nei suoi impianti nucleari -, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Aragchi ha detto che «Se il presidente americano è sincero riguardo alla diplomazia e interessato a fermare questa guerra, allora Israele deve fermare la sua aggressione altrimenti o le nostre risposte continueranno. Basta una telefonata da Washington per mettere a tacere qualcuno come Netanyahu. Questo potrebbe aprire la strada a un ritorno alla diplomazia».

Teheran si sarebbe rivolta ad alcuni paesi alleati degli Usa, come il Qatar, per ristabilire i contatti con Washington. L’Amministrazione Usa in ogni caso non intende attivare un negoziato vero e proprio, piuttosto porrà un aut aut agli iraniani, almeno questo è ciò che rivelava ieri sera il Jerusalem Post.  All’orizzonte al momento non c’è un nuovo negoziato bensì la Uss Nimitz. La portaerei statunitense a propulsione nucleare e il suo gruppo navale hanno lasciato il Mar cinese meridionale per andare ad ovest, verso il Golfo. A loro si sta unendo il cacciatorpediniere lanciamissili Uss Gridley. E trenta aerei cisterna militari per il rifornimento in volo sono decollati in direzione del Medio oriente. Intanto Benyamin Netanyahu dietro le quinte preme per il coinvolgimento diretto degli Usa nell’attacco all’Iran e pubblicamente minaccia di uccidere Ali Khamenei, la Guida suprema iraniana. Se domenica aveva smentito a Fox News un veto di Trump all’eliminazione di Khamenei, ieri intervistato dalla Abc, il premier israeliano ha detto di non escludere l’assassinio del leader religioso iraniano. «Ucciderlo non aggraverà il conflitto, ma vi porrà fine», ha affermato dopo aver elencato gli obiettivi raggiunti dagli attacchi israeliani all’Iran e al suo apparato nucleare.

Il quarto giorno di guerra ieri si era aperto con un pesante attacco missilistico lanciato da Teheran contro Haifa, Tel Aviv, Petah Tikvah, Bnei Brak e Ramat Gan e altre città israeliane mentre l’aviazione dello Stato ebraico prendeva di mira i centri iraniani. Si sono contate vittime su entrambi i lati. I missili hanno colpito aree residenziali israeliane causando almeno otto vittime, tra cui due minori, e decine di feriti. Uno degli ordigni ha danneggiato l’edificio del consolato statunitense a Tel Aviv. Il bilancio totale degli attacchi iraniani dal 13 giugno è salito ad almeno 21 morti (altre fonti riferiscono 24) e oltre 600 feriti. Centinaia di migliaia di persone nella zona centrale di Tel Aviv e nell’area di Haifa passano gran parte delle ore del giorno e della notte nei rifugi.

L’Iron Dome e gli altri sistemi antiaerei israeliani intercettano una parte significativa dei lanci, ma alcuni missili balistici iraniani riescono a penetrare il muro difensivo. Probabilmente i comandi israeliani non si aspettavano che l’Iran fosse in grado rispondere in modo tanto letale agli attacchi aerei. Questo mentre il portavoce militare afferma che l’aviazione israeliana avrebbe distrutto oltre 120 rampe di lancio di missili – un terzo del totale – e Israele avrebbe ormai raggiunto la «piena superiorità aerea su Teheran». Ma i numeri parlano chiaro: gli iraniani hanno già sparato verso Tel Aviv e la costa israeliana 350 missili a lunga gittata, scegliendo di farlo la notte quando le rampe di lancio sono meno visibili.

Secondo il Ministero della Salute iraniano, i raid israeliani avrebbero già causato la morte di almeno 224 persone – 45 delle quali donne e bambini nelle ultime 24 ore – tra cui un numero crescente di civili, e oltre mille feriti. Il ministro israeliano Katz nega ancora che Israele stia deliberatamente prendendo di mira i civili iraniani. Ma ha anche candidamente sostenuto che l’intensità dei bombardamenti potrebbe causare «danni collaterali significativi». Poco prima aveva minacciato che «gli abitanti di Teheran pagheranno il prezzo, e presto» dei lanci di missili.

La contaminazione da radiazioni resta una dei pericoli più seri causati dagli attacchi israeliani agli impianti atomici iraniani. Tuttavia, Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ha ridimensionato il rischio affermando che sebbene le centrifughe siano andate in gran parte distrutte, non vi sono segni di ulteriori danni nei siti di arricchimento dell’uranio di Natanz e Fordow colpiti dall’aviazione israeliana. Quindi il pericolo delle radiazioni è molto limitato. Grossi ha aggiunto di voler riprendere le ispezioni non appena sarà possibile. Il parlamento iraniano però ieri si è riunito per discutere dell’uscita del Trattato di non proliferazione nucleare. In quel caso la collaborazione con l’Aiea si interromperebbe

Commenta (0 Commenti)

- RIPRODUZIONE RISERVATA

I leader del G7, compreso Donald Trump, sollecitano la de-escalation nel conflitto tra Israele e Iran e la tregua a Gaza: lo afferma un comunicato dei sette, che aggiunge anche che "l'Iran non potrà mai avere l'arma nucleare".

 

 

Inoltre il G7 afferma che "Israele ha il diritto di difendersi".

 

 

"Resteremo vigili sulle implicazioni per i mercati energetici internazionali e pronti a coordinarci" si legge ancora nel comunicato congiunto. Infine i leader del G7 riuniti in Canada hanno sottolineato l'importanza di proteggere i civili nei conflitti in corso.

Commenta (0 Commenti)