Palazzuolo Sul Senio (Firenze), 24 marzo 2025 – Una discarica di cui si era persa la memoria, nonostante la battaglia parlamentare condotta dall’ex sindaco di Imola Veraldo Vespignani, e la rivolta popolare che aveva bloccato gli sversamenti di rifiuti ad appena una settimana dall’inizio. A fare tornare brutalmente allo scoperto quel capitolo di storia è stata l’ondata di maltempo di una settimana fa, che lungo la strada del Passo della Sambuca, nel Comune di Palazzuolo sul Senio, nella Romagna Toscana, sul limitare tra i bacini di Arno e Reno, ha riportato alla luce le tonnellate di rifiuti solidi urbani che nel ‘71 la municipalizzata fiorentina portò da Firenze a Palazzuolo, per rovesciarli direttamente nell’alveo del torrente Rovigo, con l’assenso del Comune appenninico, come purtroppo accadeva in epoche nelle quali la legislazione in termini di rifiuti era radicalmente diversa.
Gli sversamenti furono brevi ma abnormi: Vespignani nella sua interrogazione parlamentare parlò di trecento tonnellate al giorno. Non a caso gli abitanti dei Comuni di Palazzuolo e di Firenzuola si ribellarono, arrivando addirittura a occupare i due municipi. Dalla cima del passo della Sambuca lo scenario è apocalittico: si notano i cumuli di rifiuti che costituiscono ormai la nuova sponda della vallata. Plastica, vetro, polistirolo, materassi, sacchetti, per mezzo chilometro da quota mille metri fino al livello del torrente, di cui appena si percepisce il fluire.
Da qui le acque discendono una vallata laterale del Santerno: sono le stesse in cui si tuffano i romagnoli, da generazioni, alla cascata di Moraduccio. Il fiume prosegue poi il suo corso in direzione della provincia di Ravenna: è uno degli ultimi affluenti del Reno. Nelle ore successive alla gigantesca frana, Arpa Toscana e il Comune di Palazzuolo si sono attrezzati per collocare delle paratie lungo il Rovigo, al fine di bloccare la corsa dei rifiuti verso valle. “Arpa ha effettuato delle analisi – dice il sindaco di Palazzuolo, Marco Bottino –. Stando ai monitoraggi, quelli rinvenuti risultano essere rifiuti urbani; nel momento in cui potremo raccoglierli, come tali andranno trattati. Quelli invece che saranno caricati dalle ruspe insieme alla terra che compone la frana saranno smaltiti come rifiuti speciali. Parliamo di rifiuti che sono riemersi dopo cinquantaquattro anni, e che è realistico pensare abbiano perso pericolosità. Abbiamo posizionato le reti, mi sento di tranquillizzare i toscani e i romagnoli. Purtroppo, quella discarica, anzi dovrei dire quello sversamento, nonostante la battaglia che lo accompagnò, era sparito dalla memoria: nella mappatura delle discariche effettuate dalla Regione Toscana non compariva”.
Quesiti su cui sarà forse la magistratura a esprimersi: nelle scorse ore i carabinieri forestali hanno effettuato dei controlli sul posto. La ferita ambientale che solca una vallata dove fra poche settimane sarebbero andati a rifugiarsi gli amanti delle domeniche al fiume, tuttavia, richiederà tempo per rimarginarsi.
“Per il momento, complice la stagione, non si pone il quesito di un divieto di balneazione – prosegue il sindaco Bottino –. Eventuali decisioni di questo tipo saranno legate alla analisi effettuate sul rio Rovigo e sul Santerno. Non appena potremo organizzare squadre di volontari entreremo in azione, siamo già d’accordo con Legambiente. Non sarà semplice: a oggi non esiste un modo per raggiungere il torrente che non sia risalirne il corso: ciò richiederà verosimilmente un grande numero di volontari, forse organizzati con catene umane. Dal torrente i rifiuti andranno accumulati in un rifugio poco distante, e da lì portati al livello della strada del passo, dove potranno essere scaricati nei cassoni”.
“Siamo rimasti basiti – ammette Alberto Baldazzi, sindaco di Castel del Rio –. Nessuno in Comune sapeva dell’esistenza di una discarica a pochi chilometri dal confine regionale. Il sindaco di Palazzuolo è stato parzialmente rassicurante, soprattutto per quel che riguarda il percolato, visto che le prime analisi dell’Arpa sono rassicuranti. Resta da capire se sono state realizzate le opere previsionali promesse, per evitare lo sversamento di materiale solido nel Santerno”.
Nella foto: Celebrazioni del Nowruz, a Istanbul, Turchia Ap Oggi un Lunedì Rosso dedicato al velo sugli occhi. Lo indossa l'Europa per attenuare le immagini che arrivano dall’altro lato del Mediterraneo. Israele ha ripreso a bombardare i sopravvissuti, tra quel poco che resta in piedi della Striscia di Gaza. Un velo fragilissimo che a stento copriva la divergenza profonda tra l’eredità politica della premier e le radici dell’antifascismo italiano, Meloni lo ha strappato con il suo discorso contro il Manifesto di Ventotene. Il velo che consente di ignorare la deriva libica, dove milizie e bande armate spartiscono potere e territorio, all’ombra degli accordi con Italia e Ue. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni. |
https://ilmanifesto.it/newsletters/lunedi-rosso
Commenta (0 Commenti)
Crisi ucraina La coalizione dei "volenterosi" cerca una quadra. L’Onu in campo piace anche all’Italia . «Non basta», si lamenta Zelensky. Prossimo vertice giovedì a Parigi. Meloni ci sarà
La coalizione di volenterosi è già riconvocata a Parigi il prossimo giovedì, per una riunione a cui è atteso anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma il gruppo guidato dal premier britannico Starmer e dal presidente francese Macron deve fronteggiare più di un problema. Il primo riguarda la missione principale della coalizione, ovvero quella di inviare truppe di terra in Ucraina una volta concordati i termini per un cessate il fuoco che possa aprire la strada alla fine delle ostilità.
NUMEROSI PAESI EUROPEI sono contrari e la possibilità è stata respinta da Mosca, che non vuole neppure iniziative targate Nato. Quante truppe servirebbero, dove sarebbero dispiegate, quale compito dovrebbero svolgere: sono tutte domande a cui non è stata data ancora una risposta definitiva, almeno finora.
Qualcosa nelle ultime ore sembra però esserci mosso in direzione di una definizione più chiara del futuro «boots on the ground» auspicato dai volenterosi. Ne è un segnale la notizia che Pechino sta prendendo in considerazione l’ipotesi di unirsi alle forze di peacekeeping in Ucraina. Come rivela l’edizione domenicale del quotidiano tedesco Die Welt, i diplomatici di Pechino starebbero sondando l’orientamento di Bruxelles in merito. E una fonte diplomatica Ue spiega il perché al quotidiano tedesco: «Incorporare la Cina nella coalizione di volenterosi aumenterebbe il livello di accettazione da parte della Russia».
Il fatto è che trovare una quadra ai mille distinguo messi in campo dai leader europei non è facile, ma diventa possibile se si considera una missione Onu. La Russia stessa dovrebbe dare il suo placet, dato che l’invio dei caschi blu sarebbe il risultato di un voto in Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dove Mosca è membro permanente. Chi mantiene una buona dose di scetticismo è il presidente ucraino Zelensky, quando avverte che l’Onu «non basta a proteggerci da Putin», e che i caschi blu non rappresentano un’alternativa al dispiegamento di truppe straniere sul terreno. Eppure proprio per questo le «garanzie di sicurezza» richieste da Kiev potrebbero trovare forma in una soluzione che parte dall’invio di un contingente Onu, pur non esaurendosi con questo.
DA PARTE LORO, i volenterosi stanno lavorando già da giorni a un piano di interposizione che fa perno sull’intervento delle Nazioni unite. Il primo slittamento dell’astratta chiamata a raccolta di soldati è emerso con lo schema che va sotto il nome di Multinational Force Ukraine (Mfu). Le truppe di terra cambierebbero denominazione e di conseguenza funzione, diventando «forze di rassicurazione», anziché di peacekeeping. Circa ventimila i militari schierati a protezione di città porti e infrastrutture, cioè diecimila in meno di quanto inizialmente previsto da Parigi e Londra. In ogni caso si tratterebbe di un contingente limitato. Resta al momento aperta la discussione sulla difesa aerea e sulla sicurezza della navigazione nel Mar Nero, che dovrebbe prevedere una missione specifica.
Ma lo schema Mfu si inserisce all’interno di un piano più articolato. È quello fatto circolare nelle ultime ore da fonti della stessa coalizione dei volenterosi, che prevede quattro linee di difesa che partono dal fronte in territorio ucraino. Il contingente Onu sarebbe la forza di interposizione schierata nella parte orientale dell’Ucraina in modo da garantire il rispetto della tregua. Le forze militari si allargherebbero poi progressivamente seguendo tre altri anelli concentrici. Il secondo sarebbe formato dalle armate di Kiev, il terzo sarebbe appunto l’Mfu, mentre l’ultimo sarebbe rappresentato dai militari Usa, anche se in questo caso tutto dipende dalla volontà di Trump di far parte del piano.
IN ITALIA IL COINVOLGIMENTO di una forza multinazionale sotto l’egida dell’Onu piace al ministro della Difesa Crosetto, che non esclude la partecipazione di truppe tricolori. Giorgia Meloni ha annunciato, stavolta senza troppi tentennamenti, che giovedì prossimo al vertice dei volenterosi ci sarà.
Commenta (0 Commenti)Trecentomila in piazza a Istanbul, proteste nel resto della Turchia: fronte comune contro l’arresto del sindaco Imamoglu e i tentativi di Erdogan di eliminare il rivale alle presidenziali. I giovani figli di Gezi Park sfidano il blocco dei social e la repressione della polizia
Turchia Trecentomila persone a Istanbul contro l’arresto del sindaco. Centinaia i fermati, dieci giornalisti feriti, social rallentati e siti indipendenti inaccessibili. Il partito d’opposizione Chp terrà comunque oggi le primarie. E il candidato resta Ekrem Imamoglu
La protesta di massa a difesa del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu – Ap/Francisco Seco
Da quattro giorni in Turchia centinaia di migliaia di persone scendono in piazza contro il governo centrale, con la rabbia rivolta principalmente verso la magistratura e il presidente Recep Tayyip Erdogan. Le proteste sono state accolte con violenza dalla polizia, che ha identificato e fermato oltre trecento manifestanti e avviato inchieste su quaranta persone per post sui social. Eppure ogni sera, davanti al Palazzo di Città di Istanbul a Saraçhane, centinaia di migliaia di persone si radunano dopo l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu e di altre cento persone il 19 marzo.
LE MANIFESTAZIONI si ripetono quotidianamente in tutto il paese, con una forte partecipazione giovanile. Il 21 marzo gli studenti universitari di Istanbul hanno organizzato una manifestazione nazionale e dichiarato il boicottaggio accademico, mentre migliaia di studenti degli atenei di Ankara, Izmir, Adana ed Eskisehir hanno combattuto contro la violenza della polizia.
Lo stesso giorno, a Istanbul, almeno trecentomila persone hanno partecipato a una protesta guidata dal principale partito d’opposizione, il Partito Popolare della Repubblica, Chp, di cui Imamoglu è membro. Un numero enorme, considerando che i ponti sul Corno d’Oro erano chiusi, i bus avevano cambiato percorso e molte strade erano bloccate dalla polizia per impedire l’accesso al punto di ritrovo. La stessa sera il leader del Chp, Özgür Özel, ha lanciato un appello: «Invito 86 milioni di cittadini a scendere in piazza il 23 marzo contro la dittatura».
La risposta di Ankara è arrivata subito, con toni criminalizzanti verso i manifestanti e il Chp. Il presidente ha definito la proposta di Özel una «via senza uscita» e i manifestanti «difensori dei ladri». Il ministro degli interni, Ali Yerlikaya, ha dichiarato «illegali» le manifestazioni sin dal primo giorno, nonostante il diritto di protesta sia
Leggi tutto: Polizia e censura, ma le piazze della Turchia non si svuotano - di Murat Cinar
Commenta (0 Commenti)Striscia continua Distrutto l’istituto ricostruito nel 2017. Bombe sulle sedi Onu. Le panetterie chiudono, palestinesi in fila per il pane che non c’è. Il ministro della difesa Katz annuncia: se Hamas non rilascerà gli ostaggi, l’esercito occuperà permanentemente pezzi di Gaza
L’ospedale Turkish-Palestinian Friendship già in macerie prima dell’esplosione di ieri – Getty/Hamza Qraiqea
Una gigantesca esplosione ha ridotto in polvere l’enorme struttura dell’ospedale dell’Amicizia turco-palestinese, nel centro di Gaza. Si trattava dell’unica clinica oncologica pubblica della Striscia, ricostruita nel 2017 grazie a 34 milioni di dollari donati da Ankara. Medici senza Frontiere ne aveva denunciato la chiusura il primo novembre 2023, a causa degli attacchi israeliani e della mancanza di carburante e forniture mediche determinate dall’assedio.
SITUATO NEI PRESSI del corridoio Netzarim (che taglia in due Gaza, da est o ovest), l’ospedale era stato occupato dai soldati israeliani che lo avevano convertito in un centro militare. Ieri ne hanno minato le fondamenta e lo hanno fatto saltare in aria. Solo un giorno prima, la ong Human Rights Watch aveva pubblicato un rapporto in cui accusava Israele di crimini di guerra per aver causato morte e sofferenza dei pazienti palestinesi durante le occupazioni delle strutture sanitarie. E si ripetono oggi gli orrori già documentati ieri.
Ma stavolta sappiamo quello che accadrà, ne conosciamo già tutti i passaggi. Quella comunità internazionale che dopo il 7 ottobre 2023 assisteva con sbigottimento alla violenza senza limiti degli attacchi israeliani, oggi sa cosa aspettarsi. E forse intuisce anche che Tel Aviv non si fermerà, perché niente e nessuno l’ha fermata prima.
Non sono bastati 50mila uccisi (senza contare i corpi ancora sotto le macerie), gli appelli delle Nazioni unite, i 18mila bambini ammazzati, i mandati di arresto della Corte penale internazionale, gli attacchi agli operatori umanitari, agli ospedali, alle scuole-rifugio. Ci ritroviamo di nuovo a raccontare tutto questo, seicento vittime da martedì, di cui duecento bambini. Altri due operatori umanitari sono stati uccisi in meno di quattro giorni, almeno sette feriti, di cui cinque in maniera grave.
Medici senza Frontiere ha annunciato la morte del decimo membro del suo staff, Alaa Abd-Elsalam Ali Okal, ucciso martedì da un attacco aereo israeliano a Deir el-Balah. Nella stessa zona, ieri, il bombardamento a un edificio dell’Onu ha ferito gravemente due cittadini francesi. Martedì un operatore era stato ucciso e cinque feriti in un altro edificio Onu. Almeno 280, secondo il segretario generale Antonio Guterres, i membri delle Nazioni unite ammazzati da Israele a Gaza dal 7 ottobre 2023.
Tel Aviv conosce l’esatta posizione di ogni edificio Onu, spostamenti e attività del personale che lavora a Gaza. Dove si bombarda tra le macerie. I filmati che arrivano mostrano i razzi cadere ed esplodere nel mezzo di quartieri devastati, spettrali, già pallidi e smorti, spremuti fino all’ultima goccia di sangue.
I CARRI ARMATI sono entrati senza preavviso a Rafah, nel sud, e a Beit Lahiya, nel nord, preceduti da bombardamenti a tappeto. Non hanno trovato resistenza, a differenza di quanto avvenne alla fine di ottobre del 2023. Gli abitanti hanno raccontato di essere stati sorpresi dall’invasione, avvenuta senza lancio di volantini o avvertimenti di evacuazione. Centinaia di persone sono state nuovamente sfollate da Shujayea e Beit Hanoun. I militari hanno ordinato ai residenti di dirigersi verso lo stadio Yarmouk di Gaza City, un’area sovraffollata di tende e di profughi, dove a migliaia vivono in condizioni disperate.
Più della metà delle ambulanze della Striscia è fuori uso a causa della mancanza di carburante e di attrezzature. La Croce rossa internazionale ha fatto sapere che per il personale della Mezzaluna palestinese sta diventando sempre più difficile fornire cure salvavita e garantire il servizio di trasporto per le emergenze.
L’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei profughi palestinesi, ha annunciato che entro sei giorni non avrà più farina da distribuire e che sei delle venticinque panetterie sostenute dal Programma alimentare mondiale sono già state chiuse, mentre le rimanenti non riescono a soddisfare le necessità degli abitanti, che restano per ore in fila nella speranza di poter ricevere un pezzo di pane.
IN QUESTA SITUAZIONE disperata, il ministro della difesa Israel Katz continua con le sue minacce alla popolazione assediata, annunciando che se Hamas non rilascerà tutti gli ostaggi, l’esercito espanderà l’invasione di Gaza, cacciando gli abitanti e occupando permanentemente aree molto più ampie, che verranno annesse a Israele.
Tel Aviv userà «tutte le pressioni militari e civili», ha dichiarato Katz, compreso il piano di pulizia etnica del presidente degli Stati uniti. L’esercito in serata ha lanciato un «ordine finale» agli abitanti della costa nord, perché abbandonino tutto e vadano via prima che cominci quello che si prospetta essere un pesante attacco aereo.
Commenta (0 Commenti)Basta Spinelli La mobilitazione pacifista per fermare il piano von der Leyen e rilanciare l'Europa sociale
Manifestazione per la pace – Andrea Sabbadini
«Ci opponiamo al piano dell’Unione europea di spendere 800 miliardi di euro in armi. Saranno 800 miliardi rubati. Rubati alle spese sociali, alla salute, all’educazione, al lavoro, alla costruzione della pace, alla cooperazione internazionale, alla transizione giusta e alla giustizia climatica. Saranno un beneficio solo per i produttori di armi in Europa, negli Stati uniti e in altri paesi. Renderanno la guerra più probabile, e il futuro più insicuro per tutti e tutte. Genereranno più debito, più austerità, più confini. Approfondiranno il razzismo. Alimenteranno il cambiamento climatico». Comincia con queste parole l’appello «Stop ReArm Europe» al quale da ieri è possibile aderire (tutti i riferimenti e gli aggiornamenti della campagna si trovano all’indirizzo www.stoprearm.org). Tra i primi supporter dell’iniziativa figurano Transnational Institute, Women’s International League for Peace and Freedom, Attac Italia, Arci, Transform Europe, International Peace Bureau, Ferma il riarmo e Stop the war coalition.
«Non abbiamo bisogno di più armi – prosegue il testo – Non abbiamo bisogno di preparare altre guerre. Abbiamo bisogno di un piano totalmente differente: sicurezza reale, sociale, ecologica e comune per l’Europa e il mondo intero. Organizziamo un movimento europeo contro ReArm Europe! Facciamolo insieme!». L’iniziativa riprende anche il percorso fatto negli anni scorsi dalla piattaforma Europe for peace, che culminò con la conferenza di Vienna del giugno di due anni fa per chiedere il cessate il fuoco in Ucraina.
È parte anche dell’intervento immaginato qualche giorno fa da Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci, quando riflettendo con questo giornale sulla scelta della sua organizzazione di non partecipare alla piazza del 15 marzo per l’Europa indetta da Michele Serra aveva auspicato che fosse necessario riprendere la mobilitazione, proprio su scala europea, per fermare il bellicismo e rilanciare il dialogo tra movimenti e società civile di diversi paesi.
Oggi, intanto, si dovrebbero avere maggiori dettagli sull’assemblea annunciata dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini per il prossimo 29 marzo, che si terrà al centro congressi di via Frentani a Roma. «Gli investimenti bisogna farli per creare quell’Europa che ancora non c’è, non per il riarmo e gli eserciti di ogni singola nazione», aveva detto Landini. L’incontro è aperto e servirà, appunto, a rilanciare i temi della pace e dei diritti in chiave europea. «Vogliamo dare vita a un percorso di riflessione e mobilitazione sul no agli armamenti, il rifiuto della guerra – spiega Sergio Bassoli, che della Cgil è responsabile tematico per la pace – E vogliamo intrecciarlo con la necessità di lanciare in tutta l’Ue il welfare, la solidarietà la partecipazione e la democrazia».
Commenta (0 Commenti)