«Una persona è stata uccisa per questo sacco di farina». Un giovane palestinese insiste per mostrare gli schizzi di sangue sulla iuta. Vuole raccontare a chi lo riprende con un telefonino l’ultima strage degli affamati. Dal massacro alla rotonda Nabulsi a Gaza City, 120 uccisi a fine febbraio, la conta è quasi quotidiana.
Siano bombe su magazzini di beni alimentari dell’Unrwa o spari su chi si arrampica sui camion. È successo di nuovo nella notte tra giovedì e venerdì, a nord di Gaza, alla rotonda Kuwaiti. Bilancio di almeno 25 uccisi e 155 feriti ma i medici dello Shifa Hospital sono certi che il numero crescerà: molte le ferite gravi, pochi i mezzi a disposizione.
STAVOLTA, denunciano le migliaia di palestinesi presenti, a sparare è stato un elicottero dell’aviazione israeliana. «Ci hanno massacrato, hanno ucciso mio fratello – racconta Mohammed all’agenzia Middle East Eye – Non hanno pietà. Tutto questo per un po’ di farina». I cani randagi, la mattina dopo, si sono radunati intorno ai resti dei corpi che non erano stati portati via.
Secondo il corrispondente di al Jazeera, Hani Mahmoud, i tank israeliani hanno impedito per ore di recuperare i cadaveri. E i feriti: «Erano lì a dissanguarsi e probabilmente ormai sono morti».
Amjad Ahmed, un altro testimone, parla di elicotteri che volavano sopra la folla. Lui, dice, ha perso un cugino. Un medico dello Shifa racconta di feriti colpiti allo stomaco, di altri schiacciati dalla folla nel panico.
Nel pomeriggio di ieri l’esercito israeliano ha negato di aver sparato, dicendo che il fuoco è partito dai palestinesi e accusando Hamas di voler infiammare gli animi. Il ministero degli esteri dell’Autorità palestinese ha sbottato, simili crimini vengono commessi «quasi ogni giorno davanti agli occhi della comunità internazionale». Sono più di 400 i palestinesi uccisi nelle ultime settimane mentre cercavano di procacciarsi del cibo, soprattutto nel nord di Gaza dove ormai la carestia è realtà. E sono 56 quelli uccisi in 48 ore in centri di distribuzione del cibo, tra Rafah e il campo di Nuseirat.
DIFFICILE STIMARE i morti per la fame, il bilancio accertato è di 27, ma le organizzazioni umanitarie lamentano la mancanza di informazioni dalla parte di Striscia a nord di Wadi Gaza, sotto il controllo dell’esercito israeliano. Secondo le Nazioni unite, il livello di fame nell’enclave palestinese è totale: non c’è nessuno che non la soffra.
E mentre il bilancio degli uccisi a Gaza dal 7 ottobre sfiora i 31.500 (a cui si aggiungono migliaia di dispersi), ieri fonti di Hamas hanno detto di aver presentato una nuova proposta di cessate il fuoco in tre fasi, 42 giorni ciascuna: nella prima Israele dovrà ritirarsi al di là di Gaza City permettendo il ritorno degli sfollati e rilasciare 50 prigionieri palestinesi per ogni donna israeliana ostaggio; nella seconda sarà stabilito un cessate il fuoco permanente e il rilascio dei soldati ostaggio; nella terza Israele dovrà cessare l’assedio di Gaza in atto dal 2007. Poche ore dopo, il primo ministro israeliano Netanyahu ha rigettato la proposta, definendola «assurda». Invierà comunque una delegazione di negoziatori in Qatar.
Un’«apertura» che si scontra con la seconda parte dell’annuncio di ieri: il premier ha approvato il piano di operazione militare contro Rafah, la città dell’estremo sud in cui hanno trovato rifugio 1,5 milioni di persone. Da settimane anche gli alleati di Israele si battono contro l’offensiva di terra su Rafah, temuto preludio a una carneficina.
Le forze israeliane, ha aggiunto Netanyahu, si stanno preparando a «evacuare la popolazione». Non ha dato dettagli ulteriori e il segretario di stato Usa Blinken ieri ha detto di non aver visto ancora alcun piano sulla sua scrivania (intanto Biden definiva «un buon discorso» l’attacco a Bibi del leader dem alla Camera, Chuck Schumer).
Rafah attende, terrorizzata. Ieri, primo venerdì di Ramadan, a centinaia si sono ritrovati tra le macerie delle moschee della città per pregare. Si è pregato anche sulla Spianata, a un centinaio di chilometri in linea d’aria. Secondo la Wafq islamica, 80mila fedeli hanno fatto ingresso ad al Aqsa, nonostante le restrizioni imposte dalle autorità israeliane.
CHE HANNO COLPITO non solo lo staff della Mezzaluna rossa, rispedito indietro davanti alle porte della Spianata, ma soprattutto chi tentava di arrivare dalla Cisgiordania, compresi anziani e donne. Fin dalle prime ore del mattino i checkpoint lungo il muro di separazione sono stati chiusi, insieme alle strade che dalla Cisgiordania occupata raggiungono Gerusalemme est. Di checkpoint ne sono apparsi anche di nuovi, volanti. A migliaia sono stati rimandati indietro sebbene in possesso del requisito «giusto»: l’età. La giustificazione: l’assenza di «permessi di preghiera», inventati lì per lì, che nessuno sapeva di doverne avere uno.
«Alla mia età, 71 anni, perché mi chiedono un permesso? È una delle politiche israeliane per impedirci di entrare ad al Aqsa con la scusa della sicurezza», ha detto l’anziano Sadiq del villaggio di Huwwara ai giornalisti di Middle East Eye. È la prima volta, dice, che non riesce ad andare a pregare
Seggi aperti in Russia da ieri fino a domenica (mai così a lungo, serve un plebiscito). E indovinate chi vincerà. Schegge di dissenso: inchiostro sulle schede, una molotov, qualche arresto… Ma nelle zone di guerra, ucraine o russe, piovono missili elettorali
TESTA A TESTA. Elezioni al via, da ieri a domenica. Putin farà un pienone. Schegge di dissenso. Centinaia di migliaia di giovani sono in fuga
Mosca, al voto in un seggio - Epa/Maxim Shipenkov
L’hanno chiamata in molti modi diversi, ma qui in Russia il nome più efficace è “Generazione P”, la generazione di quelli nati a partire dal 2000, l’anno in cui Vladimir Putin è salito per la prima volta al Cremlino. Nel corso della loro vita non hanno visto altro. Eppure alle elezioni cominciate ieri in Russia molti non prenderanno parte. Decine e decine di migliaia hanno lasciato il paese per evitare di combattere in Ucraina, per non essere coinvolti in quel che accade o semplicemente per non sentirsi complici.
«Io credo che non abbia alcun senso sistemarsi in fila indiana per mettere una croce su una scheda», dice uno di loro, un certo Dan Lipatskij, un tipo alto e loquace che avevo conosciuto a Mosca alla vigilia delle ultime presidenziali, nel 2018: allora, appena maggiorenne, aspettava di votare per la prima volta, e la cosa sembrava appassionarlo; adesso, a 24 anni, vive a Yerevan, in Armenia, lontano da casa e da tutto quello che la casa è diventata.
DI DAN LIPATSKIJ, come detto, ce ne sono decine di migliaia. Per ora alle autorità la categoria non sembra interessare troppo. La priorità è garantire che il sistema avanzi e non incontri spigoli, e quindi che la guida di Putin sia legittimata nuovamente. Alla vigilia del voto il capo del Cremlino in persona ha chiesto ai cittadini con un messaggio video la consueta prova di patriottismo. Che significa: voto di massa per il presidente, dato che rivali di fatto non
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"Non si costruisce il nuovo nelle aree allagate". Lo ha detto il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che era stamane a Ravenna per la prima tappa del tour nelle zone colpite dall'alluvione del maggio 2023.
"L'alluvione ci ha insegnato molto e le vecchie previsioni vanno aggiornate: gli strumenti urbanistici dovranno recepire le nuove carte che stiamo aggiornando insieme all'Autorità di bacino".
Al commissario Francesco Paolo Figliuolo, "stiamo dicendo inserirle nei Piani della ricostruzione così come stiamo dicendo ai nostri tecnici di far valere sempre il principio di precauzione". E "mi aspetto dai Comuni che siano i primi a farlo e aggiungeremo anche una norma di copertura, perché non vogliamo lasciare il cerino in mano a nessuno".
Sul tema torna anche l'assessore all'Ambiente e vicepresidente Irene Priolo: "Saremo un punto di riferimento nazionale per le nuove strategie in materia di difesa del suolo, ma i Piani speciali dovranno essere finanziati e, in questo senso, diventa dirimente anche il Decreto Pnrr di cui stiamo aspettando ancora di vedere la bozza.
Perché, solo se questi 1,2 miliardi di euro saranno realmente aggiuntivi, come promesso dal Governo, allora potranno davvero essere una prima fonte di finanziamento per i Piani speciali".
All'incontro erano presenti il presidente della Provincia di Ravenna, Michele De Pascale, sindaci e amministratori, rappresentanti delle parti sociali, delle imprese e delle realtà associative. Nella delegazione della Giunta anche il sottosegretario alla Presidenza, Davide Baruffi, e gli assessori Paolo Calvano (Bilancio), Andrea Corsini (Trasporti), Alessio Mammi (Agricoltura) e Paola Salomoni (Scuola).(SEGUE) (Red/ Dire) 16:36 14-03-24 NNNN
Commenta (0 Commenti)Salpati dalla Libia in 85, alla deriva per 7 giorni, raggiunti finalmente dalla Ocean Viking che ne salva 25. Gli altri tutti morti. È la stessa nave sotto processo a Brindisi e sequestrata da Piantedosi. Ora ha a bordo oltre 200 naufraghi e il governo la costringe a navigare fino ad Ancona
SOCCORRITORI DI FRODO. Ocean Viking era stata rimessa in mare dalla giudice il 20 febbraio. La causa decide il destino del decreto Piantedosi. Un caso giudiziario che può finire davanti alla Corte costituzionale
Assistenza medica sulla Ocean Viking - Johanna de Tessières
Poche ore dopo che la Ocean Viking di Sos Mediterranée aveva ripreso per i capelli la vita di 25 persone abbandonate in mezzo al mare su un gommone sgonfio, ma altre 60 erano già morte, e proprio mentre la guardia costiera italiana le chiedeva di soccorrere 200 migranti, ieri in un’aula del tribunale di Brindisi la stessa Ong ha dovuto difendere il suo operato. L’accusa? Aver salvato altri naufraghi senza obbedire ai libici. Che sia necessaria un’autorizzazione a evitare una strage non è scritto da nessuna parte, che Tripoli non sia un porto sicuro e la sua cosiddetta «guardia costiera» sia collusa con i trafficanti, invece, lo stabiliscono rispettivamente una recente sentenza della Cassazione e diversi rapporti Onu.
Sospeso il fermo della Ocean Viking. Primo colpo al decreto Piantedosi
IL GOVERNO ITALIANO, però, continua a bloccare le navi dei soccorritori con i tecnicismi più assurdi e a tenerle fuori gioco con le strategie più crudeli. Mentre le 85 persone partite poco più di una settimana fa dalle coste di Zawyia vagavano alla deriva nel Mediterraneo, morivano di fame e di sete, si lasciavano inghiottire dall’acqua salata ben tre navi umanitarie – Sea-Eye 4, Sea-Watch 5 e Humanity 1 – erano costrette in porto da qualche cavillo burocratico. E quando la finestra di beltempo ha fatto riprendere le partenze, circa 300 gli arrivi autonomi ieri a Lampedusa, nella rotta centrale non è rimasto nessuno: il Viminale ha spedito la Ocean Viking a 1.400 chilometri di distanza, nel porto di Ancona, con i
Leggi tutto: L’Ong salva oltre 200 naufraghi. Ma è a processo a Brindisi - di Giansandro Merli
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Il presidente del Veneto Luca Zaia e Matteo Salvini - foto Ansa
La Lega tira diritto e si lancia a tutta velocità contro un muro presentando nell’aula del Senato l’emendamento sul terzo mandato per i governatori già bocciato in commissione. Le speranze di vederlo approvato sono sotto zero e infatti l’aula respinge con maggioranza bipartisan di stampo bulgaro: votano contro tutti tranne Iv, col suo emendamento tanto fotocopia che i due testi vengono votati e affossati insieme. Il governo, come già in commissione, si era rimesso al parere dell’aula, limitando così il danno d’immagine per la plateale spaccatura. Tosato, per il Carroccio, ringrazia e spiega che la Lega ha scelto il voto, pur nella certezza di una bocciatura, «in nome dei cittadini che vogliono avere la libertà di votare amministratori capaci senza imposizioni». Gasparri, per Fi, fa il conciliante e assicura che il piccolo dissidio non incide affatto sulla compattezza della maggioranza: pareri diversi, tutti leciti. Nulla di più.
IN REALTÀ FDI HA ACCOLTO con irritazione la decisione, presa da Salvini in persona. «Spiace creare spaccature su temi che non sono nell’agenda del centrodestra. Speravamo che l’emendamento non arrivasse in aula», commenta avvelenato il vicecapogruppo Speranzon. Nel pranzo dei leader di lunedì scorso la premier aveva chiesto, con l’occhio puntato sulle difficili elezioni in Basilicata, di non dare segnale alcuno di divisione. Non si può dire che Salvini la abbia ascoltata. Al contrario, la Lega, a sorpresa, aveva portato in aula anche un secondo emendamento per cancellare il ballottaggio nell’elezione dei sindaci ove uno dei candidati superasse il 40%. L’improvvisata ha mandato fuori dai gangheri l’opposizione: «Uno sfregio alle più basilari regole democratiche» la definisce furibonda Schlein. Non è piaciuta affatto neppure al governo però, che ha chiesto alla Lega di ritirare l’emendamento e l’invito in questo caso è stato accolto, con la trasformazione del testo in semplice odg, poi approvato.
Sul terzo mandato invece Salvini è andato fino in fondo, nonostante fosse svanito il sogno di trovare una sponda nel Pd. Prima delle elezioni in Sardegna e Abruzzo la rivolta degli amministratori permetteva ancora di carezzare quel miraggio. Ma ora, dopo la vittoria sarda e il successo del partito in Abruzzo, Schlein è troppo forte per essere sfidata. Tutto quel che gli amministratori hanno ottenuto è un ordine del giorno che impegna il governo a lavorare di concerto con l’Anci e la Conferenza delle Regioni per studiare una riforma complessiva degli enti locali. Si sono dovuti accontentare.
LA BATTAGLIA LEGHISTA, peraltro, non è stata a costo zero. Diplomatici, gli alleati avevano sin qui giustificato il loro no all’emendamento solo con l’inopportunità di procedere sui due piedi con un vero e proprio blitz, senza entrare troppo nel merito. Un modo chiaro, anche se poco sincero, per lasciare almeno formalmente aperta la possibilità di accogliere il terzo mandato più avanti, dopo le europee, magari calendarizzando il ddl leghista che alla Camera propone le stesse cose bocciate ieri nell’emendamento. Ieri invece la bocciatura è stata motivata non tecnicamente ma politicamente, con Rampelli che impugnava la necessità del «ricambio generazionale», impedito da mandati eterni, e le prese di posizione apertamente contrarie sia dei tricolori che degli azzurri.
È POSSIBILE CHE SALVINI abbia deciso di procedere su una strada senza sbocchi per dimostrare a Zaia e al partito del nord, che minaccia di defenestrarlo, la sua inossidabile lealtà. È anche possibile che, sfidando il diktat della premier che obbligava a evitare lacerazioni, il leader leghista abbia voluto inviare un segnale, facendo sapere che sul Veneto il Carroccio non è disposto a cedere: «Il Veneto è e rimarrà orgogliosamente leghista», aveva dichiarato il giorno prima. Senza terzo mandato, certo, Zaia è fuori gioco ma resta la possibilità di lasciare che sia lui a scegliersi il successore, permettendo così a Salvini di lasciare la bandiera sulla roccaforte. Sempre che Giorgia Meloni si convinca a cedere e per ora nulla indica che sia su quella strada. Ma sul Veneto rischia grosso perché quella è una piazza che non il solo Salvini ma l’intera Lega non può permettersi di perdere
Commenta (0 Commenti)ITALIA/MEDIO ORIENTE. Nuovi dati sull'export militare italiano, scovati da Altreconomia. Da ottobre alla fine del 2023, esportato materiale per quasi 15 milioni di euro
Il ministro degli esteri Tajani lancia «Food for Gaza», l’11 marzo - Ansa
L’inchiesta di Altreconomia avviata da Duccio Facchini ha aggiornato ieri i dati Istat riferiti alle esportazioni di armamenti italiani verso Tel Aviv. Dati agghiaccianti che parlano di un commercio militare florido tra il nostro paese e lo stato ebraico, nonostante il genocidio a Gaza prosegua senza tregua e nonostante gli appelli costanti della società civile italiana per il cessate il fuoco.
OLTRE UN MILIONE di fatturato soltanto nel mese di dicembre, un ventaglio sempre più ampio di forniture militari e di armi a uso difensivo personale. Armi ad uso e consumo dei coloni armati in Cisgiordania, dove i palestinesi uccisi dal 7 ottobre sono 432, di cui 115 bambini (dati: Al Jazeera english), ma anche forniture di armamenti pesanti: sebbene i dati in chiaro si riferiscano prevalentemente a munizioni e ad armi di piccolo calibro (destinati quindi all’uso privato), incrociando i dati e tenendo conto del tipo di industria e della provenienza di quei guadagni possiamo facilmente immaginare che si tratti di investimenti militari nei settori dell’aeronautica e del materiale bellico.
Preziosissima ancora una volta è l’analisi di Giorgio Beretta, analista di Opal e di Rete Pace e Disarmo, riportata da Altreconomia, che afferma come nella categoria merceologica «Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi», durante il periodo compreso tra ottobre e dicembre 2023, sono stati esportati verso Israele materiali del valore complessivo di 14.800.221 euro.
Di tale importo una quota superiore alla metà, pari a 8.795.408 euro, è stata fornita dalla provincia di Varese. È la provincia che ospita Alenia Aermacchi, una società che fa parte del gruppo Leonardo,responsabile della produzione dei trenta aerei addestratori militari M-346. Queste velivoli sono stati selezionati dal ministero della difesa di Israele nel febbraio 2012 e successivamente acquistati ed esportati al fine di addestrare i piloti dell’Israeli Air Force (impegnata nei bombardamenti su Gaza). La triste classifica delle esportazioni vede Lecco al primo posto, sede della Fiocchi munizioni, un podio conteso da Brescia (Beretta), al terzo posto Roma e infine Genova, teatro di varie proteste dei lavoratori portuali.
Una violazione della legge 185 del 1990 che impedisce di inviare armi a paesi coinvolti in conflitti militari e in abusi dei diritti umani. Questo coinvolgimento si accompagna a uno zeitgeist anti-palestinese: mentre per un soffio il cittadino palestinese Anan Yaeesh residente a L’Aquila non è stato estradato verso Israele e il ministro Salvini fa una proposta di legge sull’antisemitismo in cui chiede di restringere la possibilità di manifestare contro Israele, confondendo antisionismo e odio razziale, a Gaza è iniziato il Ramadan, ma il digiuno va avanti oramai da mesi.
LA POPOLAZIONE stremata, ridotta alla fame, viene uccisa mentre si raduna attorno ai pochi camion della farina: in questi giorni il digiuno non è più una scelta volontaria e l’iftar sembra non arrivare mai.
Nella Striscia la luna che annuncia la celebrazione della Rivelazione non è mai sembrata così lontana. A illuminare la notte soltanto i missili, le bombe e le scintille delle mitragliatrici. Che portano il nostro nome
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