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“Il governo ha bocciato gli emendamenti al DL Ricostruzione che prevedevano l’aumento da 6.000 a 30.000 euro del tetto previsto per i rimborsi dei beni mobili delle famiglie romagnole distrutti dall’alluvione"

 

“Il governo ha bocciato gli emendamenti al DL Ricostruzione che prevedevano l’aumento da 6.000 a 30.000 euro del tetto previsto per i rimborsi dei beni mobili delle famiglie romagnole distrutti dall’alluvione, il sostegno alle attività economiche e la messa in sicurezza del territorio": così in una nota il senatore del Movimento 5 Stelle Marco Croatti. Che continua: "Emendamenti che portavano la mia prima firma, richiesti con forza dal territorio e che erano stati sottoscritti da tutte le forze di opposizione. Provo rabbia e indignazione per questa decisione scellerata che politicamente significa una cosa precisa: il governo Meloni ha deciso di abbandonare i romagnoli, le cui vite sono state travolte dall’alluvione e le cui case sono state spazzate via dalla furia di fiumi, fango e pioggia".

Ed ancora: "Come può una famiglia riarredare una casa da zero con 6.000 euro? L’emendamento proposto, che prevedeva di stanziare 30.000 euro come tetto, era la risposta per garantire una ripartenza dignitosa a chi ha perso tutto. Ma questi emendamenti, così come i beni di quelle famiglie, sono stati gettati nel fango da questo governo inadatto e incapace che una volta di più dimostra di essere lontano dai bisogni delle persone, dalle necessità di chi è vulnerabile e debole. Un esecutivo che, insieme alle forze che lo sostengono, meriterebbe di essere travolto dall’indignazione dei romagnoli con la stessa forza con cui il fango del maggio 2023 ha travolto la nostra meravigliosa terra”.

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AL FRONTE - Sono impiegate sia da Zelensky che da Putin

LEGGI – Bombe a grappolo. Usa per Kiev stoccate in Germania. E in Italia? L’annuncio risale ad un anno fa, nei primi giorni del luglio 2023. Gli Stati Uniti ammettevano di aver preso in considerazione l’invio di “cluster bombs” – bombe a grappolo – all’Ucraina, per fronteggiare i russi. Una decisione che fece molto discutere: […]

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EGITTO. Marriott apre nel centro dove sono stati massacrati centinaia di migliaia di egiziani. E dov’è stato torturato e ucciso Giulio Regeni. Il racconto di Hossam: «Leggere che quel luogo diverrà un albergo è un insulto. Forse la stanza dove sono stato torturato diventerà una sauna. È qualcosa che mi tormenta»

Il 29 gennaio 2011 i manifestanti marciano da piazza Tahrir verso il compound dei servizi a Lazoughly e tentano di assaltarlo. La polizia li ferma foto di Hossam el-Hamalawy Il 29 gennaio 2011 i manifestanti marciano da piazza Tahrir verso il compound dei servizi a Lazoughly e tentano di assaltarlo. La polizia li ferma - Hossam el-Hamalawy

Piazza Lazoughly dista dodici minuti a piedi da piazza Tahrir, una decina dall’American University del Cairo. La statua dedicata a Mohamed Bey Lazoughly, dignitario di Mohammed Ali Pasha alla fine dell’Ottocento, in mano la spada e in testa il turbante, è sovrastata da due enormi edifici. Uno dei due passerà dall’essere il più angosciante incubo di ogni egiziano ad asettico sogno per turisti.

Secondo quanto riportato dalla stampa egiziana, la catena alberghiera Marriott International aprirà – insieme all’egiziana Reliance Ventures – un hotel nell’ex quartier generale del ministero degli interni e della sicurezza interna, l’ex Ssis, dissolta dopo la rivoluzione del 2011 per rispuntare come Homeland Security, o National Security Agency (Nsa).

IN QUELL’EDIFICIO sono stati detenuti e torturati centinaia di migliaia di egiziani. In quell’edificio, nella stanza 13, è stato torturato e ucciso Giulio Regeni. «(Il teste epsilon) ha visto lì Regeni con due ufficiali e due agenti, c’erano catene di ferro, lui era mezzo nudo e aveva segni di tortura, delirava nella sua lingua. Un ragazzo molto magro, sdraiato per terra, con il viso riverso con manette che lo tenevano a terra, segni di arrossamento sulla schiena. Non l’ha riconosciuto subito ma 4-5 giorni dopo vedendo le foto sui giornali ha capito che era lui».

Con queste parole il 10 dicembre 2020 il sostituto procuratore Sergio Colaiocco dava conto alla Commissione parlamentare d’inchiesta dei nove giorni trascorsi dal ricercatore italiano nelle mani dei suoi aguzzini, dal 25 gennaio al 3 febbraio 2016, quando il suo corpo massacrato fu ritrovato lungo l’autostrada tra Il Cairo e Alessandria.

Forte di testimonianze come quelle di «epsilon», per 15 anni dentro l’Nsa, la Procura di Roma ha potuto chiudere le indagini preliminari e rinviato a giudizio i quattro agenti ritenuti responsabili della sparizione, le torture e l’uccisione di Regeni e oggi a processo in contumacia: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif.

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SANITÀ. La Camera ha approvato con 171 sì e 122 no. Schlein: «Non sarà uno spot pre elettorale a limitare 10 milioni di prestazioni inevase»

 La corsia di un ospedale a Milano - Lapresse

Il decreto che punta a ridurre le liste d’attesa per visite e interventi medici è legge. Dopo l’ok del Senato, ieri la Camera ha approvato la conversione con 171 sì e 122 no. Il provvedimento punta a ridurre i tempi di attesa per i cittadini con l’estensione delle prenotazioni ai fine settimana e l’unificazione dei Cup, che dovranno prendere appuntamenti anche per le strutture private. Il decreto prevede incentivi fiscali per i medici che svolgeranno ore aggiuntive e abbatte alcuni tetti di spesa imposti alle Regioni. Infine, istituisce un osservatorio di monitoraggio delle liste d’attesa, anche se toccherà alle Regioni prendere l’iniziativa nei casi di inadempienza rispetto ai tempi stabiliti per legge per l’erogazione delle prestazioni.

PIÙ SODDISFATTO che creativo il ministro Schillaci: «Diamo risposte concrete ai cittadini e maggiore efficienza al servizio sanitario nazionale». La voglia di ombrellone è palpabile. Il rischio di una maratona agostana però è stato evitato. L’iter del provvedimento è stato più lineare di quanto temeva Palazzo Chigi. Non c’è stato bisogno di porre la questione di fiducia per la cinquantanovesima volta per rispettare la scadenza del 6 agosto, ultimo giorno utile per non far decadere il decreto. Dopo le scaramucce iniziali agitate dai governatori leghisti, le Regioni si sono accontentate del passo indietro del governo sui poteri ispettivi, che non verranno più avocati a Roma. Ma hanno messo da parte i malumori sullo scarso finanziamento del decreto, la questione che più impatta sui servizi ai cittadini.

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LE REGIONI potranno infatti acquistare prestazioni supplementari dai privati, chiedere gli straordinari ai medici e assumere nuovi medici, ma all’interno del perimetro fissato dal Fabbisogno Sanitario Nazionale di circa 130 miliardi assegnati dalla legge di bilancio e rimasti invariati. Come ha fatto notare più di un governatore, per tagliare le liste d’attesa sarà dunque necessario impoverire altri servizi, un gioco a somma zero con la salute. «Semmai aumenta la burocrazia, non prevede nuove risorse, nessun piano di assunzioni. È solo un grande bluff» dice Luana Zanella di Avs. «Pretende di risolvere le liste d’attesa senza spendere un euro». Lo conferma l’agitazione degli infermieri proclamata dal sindacato Nursind, che per bocca del segretario Andrea Bottega parla di «mancata attenzione riservata nel decreto» e annuncia uno sciopero in autunno.

PER ANNUNCIARE IL NO del Pd in aula è intervenuta la segretaria Elly Schlein, che ha ricordato il tempismo del decreto partorito nella settimana dalle europee. «Non sarà uno spot pre-elettorale – ha detto – a contenere 10 milioni di prestazioni inevase ad aiutare 4 milioni di persone che aspettano di curarsi». A smentire il ministro della Salute che parla di «misure che affrontano tutti i fattori che hanno contribuito a un aumento intollerabile delle liste d’attesa» ci pensa Giovanni Migliore, segretario della Federazione delle Aziende sanitarie ospedaliere, secondo cui il decreto non affronta il problema degli esami inutili che allungano i tempi: «È necessario lavorare con più determinazione per migliorare l’appropiatezza delle richieste di visite ed esami specialistici» sottolinea.

A FAVORE DEL GOVERNO c’è però la situazione di partenza: un’asticella bassissima che farebbe sembrare un successo anche il ripristino di condizioni appena dignitose. Ad esempio, non deve essere difficilissimo garantire un’ecografia all’addome in meno 498 giorni, ovvero quanto si attende oggi nella Asl di Udine secondo il periodico monitoraggio di CittadinanzAttiva. Il rapporto pubblicato ieri dall’associazione presenta diversi casi limite: in Liguria per una visita cardiologica non urgente si aspettano 427 giorni. Ma anche per le visite urgenti, dove l’impatto degli esami inutili è minore, le cose vanno male. A Bari il 91% delle visite in classe B (da erogare entro 10 giorni) avviene fuori tempo massimo. Nella Asl Napoli 1 l’86% di quelle oncologiche.

DA NORD A SUD, non mancano però le macchie di leopardo di colore opposto: in Calabria, ad esempio, prenotare una visita in tempi celeri è facilissimo, secondo i dati forniti dalla Regione. Merito dei medici cubani? CittadinanzAttiva ha qualche dubbio: «Ci si chiede se l’attendibilità della piattaforma sia reale o se siano necessari ulteriori approfondimenti»

 

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CRISI UCRAINA. Usa occupati dalle elezioni, il ministro degli esteri di Zelensky va tre giorni a Pechino

«Disposti a negoziare»: in Cina uno spiraglio tra Kiev e Mosca I ministri degli esteri cinese e ucraino, Wang Yi e Dmytro Kuleba, a Pechino

«La parte ucraina è disposta e pronta a condurre il dialogo e i negoziati con la parte russa se questa è in buona fede». Una frase del genere, pronunciata dal ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba in visita a Pechino, è da considerare come un vero punto di svolta per l’evoluzione del conflitto in Ucraina. Non che sia successo ancora nulla, ma negli ultimi due anni mai un alto rappresentante de governo di Kiev si era espresso in questi termini.

Al contrario, il governo di Zelensky ha sempre opposto una durissima resistenza a ogni dialogo con Mosca. Tanto da approvare, il 4 ottobre 2022, «l’impossibilità di intrattenere negoziati con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin». Quella legge è stata più volte usata dal Cremlino come pretesto per accusare l’Ucraina di non essere interessata alla pace e anche ieri, una fonte governativa citata da Ria Novosti ha dichiarato «se Kiev volesse davvero i negoziati annullerebbe il decreto che li vieta».

MA TUTTO, nella visita di Kuleba in Cina, contribuisce a dimostrare l’esistenza di un piano inedito che potrebbe sparigliare le carte in tavola. In primis per la disobbedienza di Kiev alle linee programmatiche emerse dall’ultimo summit della Nato a Washington. La Russia è il nemico di oggi, la Cina quello di domani si legge tra le righe della relazione finale della tre giorni statunitense. E ancora: «Pechino dovrebbe contribuire ad appianare i conflitti in corso e non schierarsi dalla parte dell’invasore, fornendogli armi e logistica».

Persino il vice di Trump, JD Vance, nella sua prima uscita pubblica la settimana scorsa ha dichiarato che «bisogna fare in modo che la guerra in Europa dell’est finisca il più in fretta possibile e concentrarsi sul vero nemico: la Cina». E se uno dei fedelissimi di Zelensky starà a Pechino tre giorni, è fuori questione che si tratti di un’iniziativa personale. Dunque l’Ucraina sta cercando un terreno di confronto con la Russia di Putin, la stessa federazione e lo stesso presidente che da due anni e mezzo a oggi sono sempre stati definiti come il male assoluto con il quale è inutile trattare «perché con i dittatori non si tratta».

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«NATURALMENTE i negoziati devono essere razionali e avere un significato pratico, devono essere volti a raggiungere una pace giusta e duratura», ha aggiunto Kuleba, citato dalla portavoce del ministero degli esteri cinese Mao Ning. Ma come immaginare l’improvvisa scoperta di un terreno comune tra due nemici giurati che non fanno altro che darsi del nazista a vicenda dal 24 febbraio del 2022? Forse una prima risposta potrebbe nascere proprio dalla delicatissima fase degli equilibri internazionali. Se è vero che la Nato si è mostrata compatta e decisa a fornire sostegno all’Ucraina «per tutto il tempo necessario», è altrettanto vero che l’azionista di maggioranza dell’Alleanza atlantica sono gli Stati Uniti.

Dopo l’attentato a Trump e la rinuncia di Joe Biden alla candidatura, anche a Kiev devono aver iniziato a temere seriamente il ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Se il sostegno di Washington dovesse venir meno, o essere ridimensionato significativamente, la situazione per i soldati ucraini sul campo precipiterebbe in breve tempo. E ciò non è materia da indovini, ma prova empirica data dalle enormi difficoltà che i reparti ucraini hanno riscontrato nei mesi in cui gli aiuti straordinari promessi da Biden erano bloccati al Congresso a causa dell’ostruzionismo dei repubblicani.

MUNIZIONI SCARSE, crisi energetica dovuta ai bombardamenti russi delle infrastrutture energetiche e il duro inverno alle porte fanno sì che novembre (il mese delle elezioni negli Usa) sia ormai il mese più terribile per Zelensky. Da questi timori derivano i tentativi di convocare una seconda conferenza di pace, dopo quella infruttuosa in Svizzera, alla quale questa volta siano presenti anche Russia e Cina. La visita di Kuleba a Pechino probabilmente serve proprio a questo, a sondare il terreno per trovare un mediatore, anche se evidentemente sbilanciato verso Mosca. Può darsi che la visita a sorpresa di Kuleba e Olena Zelenska a Belgrado lo scorso 12 maggio, quattro giorni dopo la trasferta del presidente cinese Xi Jinping, sia stata la prima tappa di un avvicinamento culminato nella tre giorni iniziata ieri – e il manifesto lo aveva pensato già quel giorno.

Il momento potrebbe essere propizio, dato che la Cina ha tutto l’interesse ad accreditarsi come risolutore delle controversie internazionali, erodendo l’influenza degli Usa e ponendo fine al ruolo di arbitro che, dal dopoguerra a oggi, Washington ha avuto in tutte le controversie internazionali

 

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USA/ISRAELE. Discorso-fiume del premier israeliano che attacca tutti: Iran, Corte penale, manifestanti. Ma ad ascoltarlo sono sempre di meno
Netanyahu al Congresso tra defezioni e proteste: «Criminale di guerra» Spray al peperoncino sui manifestanti pro-palestinesi riuniti fuori dal Campidoglio Epa/Jim Lo Scalzo

Arrivando a Washington, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha trovato Capitol Hill blindato, centinaia di persone arrestate durante le manifestazioni contro di lui e un clima non proprio festoso per il discorso al Congresso che è stato invitato a tenere.

NEL SUO LUNGHISSIMO intervento, ripetendo le sue affermazioni sul diritto di Israele a difendersi, ha cercato di cementare il sostegno degli Usa alla sua lotta contro Hamas e i gruppi armati sostenuti dall’Iran. Di fronte a un pubblico di repubblicani entusiasti, il premier ha detto che «la vittoria è in vista» e «la sconfitta di Hamas da parte di Israele sarà un duro colpo per l’asse del terrore iraniano».

Netanyahu ha ripetuto di continuo che è in corso una lotta dei buoni contro i cattivi e che gli Usa, a fianco di Israele, sono dalla parte della «civilizzazione» e del «bene». «I nostri nemici sono i vostri nemici, la nostra lotta è la vostra battaglia e la nostra vittoria sarà la vostra vittoria», ha detto Netanyahu, che ha ringraziato Biden per essersi definito un sionista, ma più di tutti Donald Trump per le misure adottate a sostegno di Israele durante la sua presidenza, tra cui il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan occupato. Si è poi rivolto agli studenti americani che protestano contro di lui, accusandoli di essere dalla parte di Hamas, «del male», degli «stupratori e degli assassini».

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QUELLO CHE DOVEVA essere un discorso di unificazione è stato tutto tranne che questo. Netanyahu ha gridato per la maggior parte del tempo e ha concluso il discorso-fiume chiedendo aiuti militari più rapidi. Ha ricordato che gli Usa hanno fornito a Israele «generosa assistenza militare» per decenni e che Israele ha ricambiato con informazioni cruciali che «hanno salvato molte vite». Ora aiuti militari statunitensi «rapidi» potrebbero «accelerare drasticamente» la fine della guerra a Gaza e prevenire una guerra più ampia in Medio Oriente.

FUORI DAL CAMPIDOGLIO c’erano migliaia di manifestanti arrivati dalla mattina, a scandire slogan pro Palestina e contro Netanyahu. La tensione è salita con il passare delle ore fino a sfociare in scontri con la polizia che ha usato spray urticante e lacrimogeni. Cinque persone sono state arrestate dentro il Campidoglio per aver tentato di interrompere il discorso del primo ministro mentre al di fuori, a qualche isolato di distanza, si sono tenute le proteste organizzate dai manifestanti israeliani ed ebrei americani, per veicolare gli stessi messaggi di condanna. «Per noi è importante essere qui oggi – ha detto uno degli organizzatori – per dire che Netanyahu non rappresenta Israele e che sta facendo tutto il possibile per sabotare l’accordo per la propria sopravvivenza politica».

CHI NON HA ACCOLTO Netanyahu è stata la vicepresidente e probabile nuova nominata democratica per la corsa alla Casa bianca, Kamala Harris, che ha preferito tenere un comizio elettorale a Minneapolis. Il quesito di questi giorni è quale sarà la sua posizione su Israele. In questi mesi Harris ha criticato più volte le scelte israeliane nella guerra contro Hamas, ma lo ha fatto da vice presidente. Troppo presto per capire le sue posizioni da candidata.

Harris non è stata la sola a disertare l’intervento di Netanyahu. A non presentarsi sono stati 80 deputati democratici e almeno sei senatori democratici, tra cui la deputata socialista Alexandria Ocasio-Cortez, che ha più volte definito Netanyahu «un criminale di guerra», e il senatore socialista ed ebreo Bernie Sanders, che ha dichiarato: «Sono d’accordo con la Corte penale internazionale e con la commissione indipendente dell’Onu sul fatto che Benjamin Netanyahu e Yahya Sinwar siano dei criminali di guerra».

Una delle assenze più notevoli è stata quella dell’ex speaker democratica della Camera Nancy Pelosi. Il portavoce di Pelosi ha fatto sapere che la ex speaker avrebbe incontrato le famiglie israeliane delle vittime degli attacchi e dei sequestri di Hamas. Un modo per essere vicina al popolo israeliano prendendo le distanze da Bibi. Non c’era nemmeno J. D. Vance, candidato Gop alla vicepresidenza. Mentre Chuck Schumer, leader dem al Senato, non ha stretto la mano al primo ministro israeliano.

Le contestazioni sono giunte anche da un gruppo di alti esponenti israeliani che, prima dell’arrivo di Netanyahu, ha inviato alla leadership del Congresso una lettera in cui lo hanno accusato di essere una minaccia per la sicurezza nazionale israeliana e statunitense.

MA GUAI a parlarne male: dal Congresso la polizia ha allontanato anche familiari di ostaggi israeliani. Indossavano t-shirt con scritto «Accordo subito»

 
 
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