Ultimo spettacolo. Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano
Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano.
«Stiamo facendo la storia», ha detto l’altro giorno la premier ai Fratelli raccolti intorno alla loro leader, avvertendoli: «Non sono ammessi errori». Peccato – avrebbe potuto aggiungere – se questa grande epopea per ora è un po’ così, zoppicante, anzi fa acqua da tutte le parti, ma come si dice? Dagli errori proviamo a imparare… Niente di nuovo sotto la fiamma, invece. Il solito vittimismo, condito da un tocco di berlusconismo d’antan: a rovinare un eccellente lavoro al ministero della Cultura sono stati l’odio e il gossip.
La feroce sinistra però non ha nemmeno avuto il tempo di accorgersi di avere tanto potere, manifesto o occulto che sia. La ripartenza del governo dopo le vacanze di Giorgia Meloni è stata così precipitosamente rovinosa a causa degli errori inanellati dalla stessa premier -preoccupata di dare il via a uno di quei rimpasti che sai come comincia ma non come finisce – che gli animatori del famoso «sistema politico mediatico» ostile non hanno dovuto fare molto altro che prendere i pop-corn, come Maria Rosaria Boccia suggeriva su Instragram, e assistere a uno spettacolo pieno di colpi di scena.
Cade lo scudo di Meloni. Il ministro esce di scena
La premier che va in tv dal sussiegoso conduttore Mediaset per annunciare le meraviglie della ripresa autunnale e butta lì giusto una frasetta per chiudere il caso Sangiuliano che sta
Leggi tutto: Prendete i popcorn, il governo si autoaffonda - di Micaela Bongi
Commenta (0 Commenti)Il Nuovo Fronte Popolare è arrivato in testa alle legislative anticipate e 60 giorni dopo il voto, dopo settimane di indecisioni, voilà la surprise du chef: Emmanuel Macron ieri a metà giornata ha nominato primo ministro Michel Barnier, esponente di Lr, il partito che è arrivato praticamente ultimo alle elezioni, 6,5% al primo turno e 47 deputati. Indignazione a sinistra, «crisi di regime» per il socialista Olivier Faure, «voto rubato» per Jean-Luc Mélenchon, a favore di uno «xenofobo» secondo la France Insoumise, «gesto del braccio ai francesi» per il Pcf, «uno scandalo» per i Verdi, che ricordano che Barnier non ha preso posizioni a favore di un «fronte repubblicano» contro l’estrema destra. Ma anche «inquietudine» per Greenpeace e altre ong écolo. Freddezza a Renaissance, il partito di Macron, che rifiuta di «fare un assegno in bianco» al nuovo primo ministro. Per Marine Le Pen, invece, «sembra rispondere al primo criterio che abbiamo reclamato, cioè è un uomo rispettoso e capace di rivolgersi al Rassemblement National, che è il primo gruppo all’Assemblée Nationale, in modo eguale agli altri gruppi» (Rn ha appena bocciato un altro di destra, Xavier Betrand).
BARNIER ha due qualità agli occhi di Macron: potrebbe evitare di cadere a causa di una “censura” immediata all’Assemblée Nationale, perché il Rassemblement National ha dichiarato di avere una posizione attendista, «giudicheremo sul discorso di politica generale» dicono all’estrema destra. E poi, visto il suo background, non cambierà politica economica, anzi, non solo non disferà la scelta pro-business (e le pensioni, era per i 65 anni) ma con la finanziaria 2025 potrebbe anche imporre un giro di vite sulla spesa pubblica per far fronte al debito di 3160 miliardi e alla procedura per deficit eccessivo avviata a Bruxelles contro la Francia.
«Disprezzo totale per il voto di milioni di elettori»
La principale qualità di Barnier, 73 anni, è di essere un uomo che cerca il consenso, è lui che ha negoziato la Brexit: personalità liscia, calma, potrebbe portare in Francia il metodo di Bruxelles. «Essere settari è prova di debolezza» ha affermato al passaggio dei poteri a Matignon. Per evitare la caduta immediata c’è stata una trattativa dietro le quinte con l’estrema destra? Ci sono sospetti. Non dovrebbero però esserci ministri del Rassemblement National, ma potrebbero esserci promesse di vario tipo
Commenta (0 Commenti)Il rimpasto si chiama «perezavantazhennia»: dal governo dell’Ucraina si dimettono 5 ministri, vari boiardi e chissà chi altro ancora. Come l’incursione nel Kursk, è una fuga in avanti: pochi se ne andranno davvero. La guerra continua, senza sbocchi. E Zelensky con lei
Il gattopardo. Dopo giorni di indiscrezioni pubblicata la lista dei nuovi ministri, poche le reali novità. Continuano gli attacchi russi sulle città ucraine: a Poltava i morti sono arrivati a 53 e ieri a Leopoli ci sono state 7 vittime. I russi avanzano in direzione di Pokrovsk
Volodymyr Zelenskyy alla presentazione degli F16 ucraini - foto Ap
«Perezavantazhennia vlady» lo chiamano in ucraino. La prima parola significa «ricomposizione, reset» è la stessa che si usa quando si riavvia il telefono o il computer, oppure quando si vuole far ripartire qualcosa da zero. La seconda si riferisce al «potere» e dalla combinazione delle due si capisce chiaramente che l’apparato comunicativo di Volodymyr Zelensky ha scelto come concetto chiave non il «rimpasto di governo» ma il «nuovo inizio».
EPPURE qualcosa scricchiola in questa scelta lessicale, se si considera che ben 5 alti funzionari ucraini hanno rassegnato le proprie dimissioni ma non sono stati allontanati dal governo, anzi sono stati riassegnati ad altri incarichi, nello stesso esecutivo. Si tratta di Oleksandr Kamyshin, ministro responsabile della supervisione di armi per la guerra, Ruslan Strilets, ministro dell’Ambiente, Denys Maliuska, ministro della Giustizia, Olga Stefanishina, vicepremier ucraina per l’integrazione europea ed euro-atlantica e Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri. Inoltre, il capo del Fondo statale nazionale, Vitaly Koval, ha annunciato che prossimamente lascerà l’incarico. Cinque figure di primo piano nel giro di 24 ore e chissà quante altre in arrivo. È il famoso rimpasto annunciato – un po’ minacciato – dal presidente Zelensky in primavera che ora sta prendendo forma. Ma si preannuncia più mediatico che reale.
Secondo le prime indiscrezioni, i funzionari che hanno già consegnato la lettera di dimissioni, sarebbero stati iscritti a una lista di ministri e alti dirigenti che il governo di Kiev intende sostituire con figure, per usare le parole di David Arakhamia segretario del partito del presidente (Servitore del popolo), «più adeguate alle mansioni richieste dal governo». Secondo Arakhamia il rimpasto non è affatto finito e riguarderà quasi la metà dell’esecutivo, ma intanto il
Leggi tutto: Il rimpasto che non c’è. Kiev cambia i ruoli ma restano tutti - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Il governo Meloni continua a sciorinare i dati record sull’occupazione ma Eurostat certifica ben altro: il reddito disponibile delle famiglie è in calo e l’Italia è fanalino di coda in Europa (Grecia a parte): dal 2008 persi 6 punti mentre la media Ue è aumentata di 10
Reddito di Esclusione. I dati Eurostat smentiscono la retorica dell’esecutivo Meloni: in calo nell’ultimo anno, dal 2008 solo la Grecia fa peggio di noi. Nel «Quadro di valutazione sociale» la confutazione dei successi su occupazione e calo della povertà
I consumatori fanno molta attenzione ai prezzi nei supermercati - Foto LaPresse
«Record dell’occupazione», «calo della povertà». In questi mesi la gran cassa del governo Meloni continua a citare dati che delineano l’Italia come un eden in controtendenza con gli altri principali paesi europei. Ora arriva Eurostat – con i dati pubblicati nel “Quadro di valutazione sociale” che monitora il progresso sociale in tutta Europa – a confutare in gran parte questa narrazione. L’istituto statistico di comparazione europea mette nero su bianco numeri che certificano come il nostro paese sia in coda nel continente sia nell’ultimo anno che nell’ultimo decennio.
IL REDDITO DISPONIBILE REALE lordo delle famiglie nel 2023 diminuisce e si attesta oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. Se nei 27 paesi dell’Unione – prendendo come riferimento il 2008, l’anno della grande crisi – la media dei redditi disponibili nell’ultimo anno sale da 110,12 a 110,82, in Italia cala da 94,15 a 93,74. Rispetto alla media europea, dunque, in Italia il reddito disponibile reale risulta inferiore di oltre 17 punti, a dimostrazione di come le condizioni economiche delle famiglie siano gravi e continuino a peggiore, nonostante gli annunci del governo.
Per quanto riguarda il reddito l’Italia rispetto al 2008 ha fatto meglio solo della Grecia – qui nel 2022 il reddito lordo disponibile era al 72,1 rispetto a quello del 2008 – mentre resta lontana dalla Germania con il 112,59 nel 2023. La Francia supera il 2008 – 108,75 nel 2022 – mentre la Spagna è ancora indietro (95,85) ma è in fortissima ripresa.
«I DATI EUROSTAT confermano che il miglioramento degli indici del mercato del lavoro non rappresenta di per sé una buona notizia se non affiancato da qualità e stabilità dei rapporti di lavoro: l’occupazione è uno strumento di protezione dal rischio di povertà solo quando il lavoro è stabile, tutelato, sicuro e dignitoso. Per noi le priorità restano il contrasto ad ogni forma di precarietà, sfruttamento e illegalità nel lavoro e l’aumento delle retribuzioni – commenta la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli – . Le condizioni di discontinuità e povertà della condizione del lavoro, dovute ad esempio a part-time, appalti e subappalti, che si riscontrano in molti settori pubblici e privati, sono le condizioni che vanno rimosse per costruire una nuova cultura del lavoro con standard più alti: è la strada per colmare le distanze rispetto al resto dei paesi europei, soprattutto per giovani e donne», conclude Gabrielli.
«Nel nostro paese c’è un’emergenza legata ai redditi ma resta anche quella del lavoro povero – spiega il segretario confederale della Uil Santo Biondo – . Non si rinnovano i contratti e quindi non si riesce a recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione. L’aumento dell’occupazione – sottolinea – non ci dà grandi input in
Leggi tutto: Altro che «ripresa», Italia fanalino di coda per redditi in Europa - di Nina Valoti
Commenta (0 Commenti)Centinaia di migliaia di israeliani sono tornati in strada ieri contro Netanyahu. Dolore e rabbia per i sei giovani ostaggi uccisi da Hamas a un passo dalla liberazione, dopo il sistematico sabotaggio del negoziato da parte del premier, che non cede: «Nessun ritiro da Gaza»
Muro del Pianto. Israele è stato paralizzato dallo sciopero contro il primo ministro e a favore di un accordo con Hamas per liberare gli ostaggi vivi.
Manifestazione a Tel Aviv contro Benyamin Netanyahu - Ap
Centinaia di migliaia di israeliani ieri sono scesi in strada contro Benyamin Netanyahu, replicando le manifestazioni oceaniche di sabato sera. Non è riuscito a fermarli neppure il tribunale del lavoro che, accogliendo il ricorso del governo per la natura politica e non sindacale della protesta, ha ordinato alle 14.30 la fine dello sciopero generale in Israele proclamato da Arnon Ben David, capo della centrale sindacale Histadrut. Lo stop al lavoro in svariati settori, dalle imprese private ed enti locali a scuole ed università, ha comunque raggiunto il suo scopo.
Netanyahu non può nascondere quanto sia ampia la contestazione alla sua linea di chiusura di fatto all’accordo di tregua con Hamas a Gaza che può portare alla liberazione di decine di ostaggi israeliani ancora in vita in cambio della scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi. Se da un lato gli israeliani condannano Hamas che ha giustiziato i sei ostaggi ritrovati alla fine della scorsa settimana in un tunnel a Rafah, dall’altro sanno che l’ostruzionismo del premier e la sua idea che solo la forza riporterà a casa i sequestrati, sono tra le prime cause della loro morte.
A maggior ragione dopo che si è scoperto che i nomi di alcuni degli uccisi figuravano nell’elenco dei 33 israeliani che Hamas si diceva pronto a liberare nella prima fase dell’accordo in tre fasi proposto a maggio da Joe Biden. Ieri sera Abu Obeida, il portavoce dell’ala militare di Hamas ha spiegato l’uccisione a sangue freddo dei sei ostaggi «con le nuove istruzioni date a coloro che sorvegliano i prigionieri dopo l’incidente di Nuseirat in caso di avvicinamento dell’esercito israeliano» (dove, l’8 giugno scorso, con una operazione costata la vita a oltre 200 palestinesi, l’esercito israeliano liberò 4 ostaggi). Abu Obeida ha voluto far capire che gli ostaggi saranno giustiziati se i soldati israeliani arriveranno ai loro luoghi di detenzione. «L’insistenza di Netanyahu nel liberare i prigionieri attraverso la pressione militare invece di concludere un accordo, significherà il loro ritorno alle famiglie dentro le bare».
Scioperanti e manifestanti israeliani ieri hanno scandito slogan di rabbia e sconforto mentre bloccavano strade e incroci in tutto il paese e la tangenziale Ayalon di Tel Aviv. Giunti in via Begin e poi in Piazza degli Ostaggi, vicino al quartier generale del ministero della Difesa, hanno invocato, al ritmo dei tamburi, un rapido accordo per il rilascio dei
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Ragazzi ballano durante il festival musicale Brave Factory a Kiev, in Ucraina @Evgeniy Maloletka, Ap
Oggi un Lunedì Rosso che esplora il tema della comunicazione virtuale. Grida alla censura il magnate di X Elon Musk, dopo la decisione di un giudice brasiliano di bloccare le attività del social nel paese, per la presunta diffusione di fake news e propaganda pro Bolsonaro.
Il caso si aggiunge al recente arresto del fondatore di Telegram e induce una riflessione sul ruolo della tecnologia. Come la combinazione di smartphone e social media abbia aperto uno squarcio epocale sulla tutela dei diritti all’espressione, alla privacy e all’informazione.
Tra tweet, messaggini e comunicati stampa si è mossa anche la accidentata linea comunicativa del governo durante l’estate. La premier dichiara e sottolinea che la maggioranza è unita, ma per portare a casa la manovra non basterà un post.
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