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L'ANALISI. In Ucraina (sono circa cento i super-ricchi) controllano l’80% delle ricchezze di un paese che, ancora nel 2019, era tra i più arretrati dell’ex Urss. Con gli aiuti militari sempre più consistenti siamo ormai dentro la spirale di una guerra lunga e dolorosa. Che mostra la crisi della politica e della democrazia

Gli oligarchi sono l’élite del capitalismo, a est come a ovest

 

Per oligarchi si intendono i padroni, i tycoon, gli amministratori delegati e manager di grandi aziende. Si distinguono da altre categorie di super ricchi per il controllo che esercitano sull’economia e per il rapporto privilegiato con le istituzioni statali. Compongono, insomma, l’élite finanziaria e imprenditoriale del capitalismo. Usare il termine per indicare, in tono spregiativo, soltanto i miliardari russi è mistificante. La peculiarità russa, se vogliamo cercarla, consiste nell’anarchia economica e nella rapidità con cui, dopo il crollo dell’Urss, è avvenuta la privatizzazione dell’economia. Che si è tradotta, com’è noto, in un gigantesco furto di risorse e di beni comuni da parte di uomini senza particolari meriti e, spesso, provenienti dall’apparato.
I governi americani ed europei hanno salutato come una vittoria del «mondo libero» la caduta dell’Unione sovietica e sono stati ben contenti di stringere accordi con i nuovi padroni.

In Ucraina le cose sono andate, più o meno, allo stesso

modo. Gli oligarchi (circa cento) controllano l’80% delle ricchezze di un paese che, ancora nel 2019, era tra i più arretrati dell’ex Urss. In un report del Parlamento europeo dell’11 febbraio 2021, sono documentati i motivi che rendono difficile, in tempi brevi, l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Si parla di illegalità, dell’influenza degli oligarchi sulla politica, di corruzione, di mal funzionamento della giustizia, di mancanza di libertà di stampa, di campagne d’odio e fenomeni d’intolleranza verso femministe, Lgbt, rom. Non siamo proprio davanti a un modello di democrazia, senza nulla togliere naturalmente alla solidarietà nei confronti del popolo ucraino, vittima dell’aggressione della Russia di Putin.

Nell’immaginario collettivo, aerei privati e yachts super lussuosi, ville e residenze esclusive, rappresentano lo status simbol degli oligarchi. Ma riusciamo a vedere solo lo strato superficiale di un immenso tesoro accumulato e ben nascosto nei paradisi fiscali. La smisurata quantità di denaro posseduta deforma, in molti di loro, la percezione della realtà. Pensano di poter sopravvivere a qualsiasi tracollo finanziario o a qualsiasi guerra. Vivono fuori dal tempo. Alcuni, Elon Musk e Jeff Bezos, investono nella ricerca aereo-spaziale, d’accordo con la Nasa, forse immaginando di costruire rifugi sicuri fuori dal nostro pianeta. Segnando così la distanza abissale che li separa dai comuni mortali. Super uomini che sognano di dominare il mondo dall’alto. A queste stravaganze e abiezioni ci ha portato «il punto di vista» che trasforma ogni cosa in economia e misura il valore delle persone dalla consistenza dei patrimoni.

Il potere degli oligarchi è tanto più forte quanto più deboli sono la democrazia e la politica. Silvio Berlusconi, classificabile a buon diritto nella schiera degli oligarchi, è entrato nell’agone politico in un momento di massima crisi dei partiti, per meglio difendere e allargare il campo dei suoi affari. Sono numerosi gli oligarchi che puntano a governare direttamente i loro paesi. Una volta al potere, si avvalgono della collaborazione, ben remunerata, di ex premier, ex ministri, ex parlamentari, abbassatisi al ruolo di lobbisti, mediatori o faccendieri. Le sanzioni nei confronti degli oligarchi russi incidono poco proprio per le difficoltà di recidere l’enorme grumo di interessi e di relazioni opache che li circonda.

Aiuti militari sempre più consistenti stanno prendendo il sopravvento sulle sanzioni. Siamo ormai dentro la spirale di un conflitto lungo e doloroso. Una guerra che non è «la continuazione della politica con altri mezzi», come sosteneva il generale von Clausewitz. Sottolinea, semmai, le difficoltà della politica, il restringimento degli spazi di democrazia, i pericoli di recrudescenze nazionaliste e reazionarie. Dà fiato alla corsa agli armamenti. Alimenta una visione manichea, del bene contro il male, che non aiuta a comprendere di chi siano le responsabilità dell’emergenza globale in cui viviamo: i cambiamenti climatici, i rischi per la salute pubblica e, ora, la guerra.

Lo scenario dello «scontro di civiltà», delineato da Joe Biden, non promette nulla di buono. Di quale civiltà parliamo? Di quella creata, in trenta anni di egemonia liberista, con lo smantellamento dello Stato sociale, con la riduzione delle tutele sindacali, con il saccheggio dei paesi poveri, con l’acuirsi delle disuguaglianze e delle tensioni geopolitiche? E di quale democrazia parliamo? Di quella dell’assalto a Capitol Hill, con cui si è conclusa la presidenza Trump, che ha messo in evidenza la fragilità e la vulnerabilità delle istituzioni democratiche, anche nei paesi occidentali? E’ tempo di rovesciare il «punto di vista» dominante.

E di trasformare lo scontro di civiltà ideologico, evocato dal presidente americano, in uno scontro di civiltà reale. Un mondo più giusto, in cui non comandino le oligarchie, è possibile. La sinistra ha l’occasione, il dovere innanzitutto, di costruire un movimento largo e unitario che tenga insieme i temi della pace, della salvaguardia dell’eco-sistema, del rafforzamento della sfera dei diritti collettivi e individuali.