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Le contradditorie dichiarazioni del ministro della transizione ecologica che fanno trasparire le sue vere passioni energetiche.

L’uomo giusto al posto giusto… più si ascoltano le dichiarazioni del ministro Cingolani e più torna alla mente questa considerazione. Ironica, perché il Ministro della Transizione Ecologica pare non credere più di tanto all’intestazione del suo stesso ministero.

Riferendo a fine maggio alla Commissione Ambiente della Camera ha infatti annunciato che entro il 2024, ci saremo liberati dei 29 miliardi di metri cubi di gas russo che compravamo ogni anno, grazie a 25 miliardi di gas naturale comprato altrove e la miseria di 4 miliardi rimpiazzati da rinnovabili e risparmio energetico.

Se così sarà avremo un altro bel colpo a clima e ambiente, soprattutto per quello che invece il ministero di Cingolani avrebbe dovuto fare: sfruttare questo eccezionale momento storico per un fortissimo rilancio delle energie rinnovabili in Italia, all’altezza della sfida epocale che ci si trova davanti.

In altre parole, se veramente rinnovabili e risparmio avranno quel ruolo da comprimari, avremo sostituito uno spacciatore di gas naturale inaffidabile e pericoloso come la Russia di Putin, con altri che potrebbero rivelarsi altrettanto

deleteri.

In realtà le energie rinnovabili potrebbero darci, e probabilmente daranno, un contributo più importante di quello che il ministro prevede.

Anche senza tirare in ballo le promesse di Elettricità Futura di installare 60 GW di rinnovabili in tre anni, e così fare a meno di 18 mld di mc di metano, che forse sono un tantino esagerate, lo stesso annuncio del ministro che nel 2022 si installeranno oltre 5 GW di rinnovabili, sembrano contraddire il suo scetticismo.

Presumibilmente nel 2023 se ne installeranno molti di più, grazie alla completa messa in funzione dei decreti semplificazione di quest’anno, al diffondersi delle comunità energetiche, agli interventi del 110% e dei tanti altri per autoconsumo che privati e aziende stanno prenotando dopo aver ricevuto le superbollette elettriche, oltre ai primi progetti del Pnrr. Un trend che dovrebbe crescere ulteriormente nel 2024.

Potremmo arrivare a oltre 20 GW di nuovo installato in questi tre anni (un po’ più di quello realizzato tra il 2009 e 2012).

Facciamo due calcoli. Per produrre un TWh di elettricità servono circa 200 milioni di mc di metano. Con nuovi 20 GW di rinnovabili produrremmo circa 30 TWh di elettricità (considerando un fattore di capacità di 1500, visto che il mix sarà dominato dal FV): quindi il risparmio sarà almeno di circa 6 mld di mc di metano, a cui aggiungere poi quelli delle altrettanto importanti misure di risparmio.

Un contributo che sarebbe stato ancora più ampio, se il ministro non avesse mostrato pubblicamente e con particolare costanza di non considerare rinnovabili e risparmio una vera soluzione al problema energetico e climatico.

Si è infatti recato con il ministro degli esteri Di Maio, con fanfara mediatica al seguito, a fare la questua del gas in vari paesi del mondo, compresi alcuni come Angola e Congo che non risultano al momento capaci di esportare quantità significative di metano via nave.

Non abbiamo però notizia di sue visite per verificare come funzionino i sistemi a fonti rinnovabili nei paesi che ci hanno puntato fortemente negli anni scorsi, e che ora vedono scendere moltissimo, fino a raggiungere prezzi negativi, il supercosto dell’elettricità, quando soffia il vento o splende il Sole, mentre il Pun italiano è ormai il più alto del continente.

Sarebbe stato invece molto istruttivo visitare le centrali eoliche offshore britanniche, danesi o tedesche, che ormai si installano a zero incentivi, oppure i grandi impianti FV che la Spagna ha installato negli ultimi tre anni semplificando le regole e superando così anche l’Italia.

Invece, Cingolani alla Camera ha detto che in Italia le rinnovabili non possono espandersi troppo, perché prima bisogna mettere a punto la rete di trasmissione elettrica.

Giustissimo, ma forse il suo ministero potrebbe allora accelerare con più decisione nella direzione che – va ammesso – è stata segnata negli ultimi decreti, cioè quella di definire regole per far installare le rinnovabili vicino ai luoghi di maggior consumo, per esempio favorendo l’installazione di FV galleggiante nei bacini idroelettrici, che sono quasi tutti al nord, oppure pensando a speciali facilitazioni o incentivi per chi installa nei pressi di reti ad alta tensione già esistenti, come nei pressi delle centrali termoelettriche.

Ma il nostro ministro rilascia spesso dichiarazioni contraddittorie e forse ha la testa altrove, troppo distratto da grandi tecnologie e massimi sistemi, per pensare a misure tanto banali.

Al Festival dell’Economia di Trento ha ribadito quale sia il suo vero amore in campo energetico: “Per il futuro abbiamo bisogno di fonti energetiche verdi programmabili… serviranno quindi cattura del carbonio, fusione nucleare e piccoli reattori atomici… poi dopo il 2060-65 potremo avere la fusione nucleare come fonte di energia per il pianeta”.

Allora perché perdere tempo con sole, vento geotermia o biomasse, se dietro l’angolo ci sono il “nucleare piccolo che è bello” e poi “l’energia delle stelle”?

Peccato che la seconda opzione sia ancora piena di incertezze: funzionerà mai e servirà davvero?

Mentre sul mini-nucleare, avverte l’ingegnere energetico Lindsay Krall, della Stanford University in California in un articolo apparso su Pnas, non solo dissemineranno impianti delicati e pericolosi per il mondo, ma a causa della loro bassa efficienza (c’è una ragione, ignota evidentemente a Cingolani, per cui le centrali nucleari sono diventate sempre più grandi) produrranno elettricità molto cara e cinque volte più scorie radioattive delle grandi centrali; fra queste, 30 volte di più quelle con una lunga vita che richiedono ancora depositi sotterranei, ad oggi inesistenti. Un vero toccasana per economia e ambiente, insomma.

In definitiva la strategia del ministro che dovrebbe creare il “mondo nuovo dell’energia” in Italia, sembra basarsi sul minimo sindacale per le rinnovabili. Meglio impegnarsi invece a fondo nella ricerca di combustibili fossili in giro per il mondo, e sognare il momento in cui saranno atomi di uranio, deuterio e trizio a produrre i kWh di cui avremo bisogno.

Ma intanto la colletta del gas naturale per sostituire quello russo sta funzionando?

A vedere i dati Snam di maggio non sembrerebbe, anche se un singolo mese non può dirci molto.

Rispetto al maggio 2021, in quello appena trascorso l’Italia ha consumato più o meno la stessa quantità di metano, 33 GWh (solo l’industria ha ridotto i consumi di circa 1 GWh), ma tagliando l’import di ben 15 GWh, quasi tutto gas russo, -14 GWh rispetto ai 21 GWh del 2021.

Stranamente, però, abbiamo ridotto anche l’import dall’Algeria (-4 GWh), che doveva essere il nostro “salvatore”, aumentando un po’ quelli da Libia e Azerbaijan (+2,6 GWh).

E neanche il GNL ha compensato il gas russo (13 GWh nel maggio di quest’anno contro i 11,3 GWh nel 2021) e tantomeno la produzione nazionale (2,7 GWh quest’anno, 2 GWh nel 2021).

Ma allora da dove l’abbiamo preso il metano consumato? Semplice, non stiamo riempiendo i sistemi di stoccaggio: nel maggio 2021 vi avevamo immesso 24 GWh di metano, ma nel 2022 siamo scesi a 13 GWh.

Una strategia pericolosa che ora ci permette di fare bella figura presentando all’opinione pubblica un taglio netto del gas russo, ma che potrebbe farci arrivare in inverno con i depositi non abbastanza pieni così da compensare eventuali scherzi del meteo o della geopolitica. L’Ue vuole che siano pieni al 90% (in Italia per 12 mld di mc in totale), mentre al momento sono circa al 30%.

Vedremo se i fiumi di gas che il mondo avrebbe promesso di darci, secondo il governo, si concretizzeranno nei prossimi mesi e se i prezzi scenderanno abbastanza da invogliare gli operatori a riempire ora gli stoccaggi per vendere poi quel gas da ottobre in poi, guadagnandoci.

Altrimenti saranno guai, che forse un’azione preventiva e molto più decisa sulle rinnovabili ci avrebbe in parte evitato.