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DIETRO FRONTE. Il capo della Wagner, nascosto chissà dove, all’attacco dei vertici militari russi. Il presidente risponde, fiacco, in serata: «Il leader sono io». Il ministro Shoigu riappare al fronte. Poco chiaro il destino degli ammutinati: nell’esercito o a Minsk

 Miliziani della Wagner a Rostov prima del ritiro - Ap

Dopo l’eclissi della «marcia della giustizia» di Evgenij Prigozhin, le autorità russe cercano di riportare il paese alla normalità. Il compito più difficile per il Cremlino è spiegare alla popolazione il senso di quanto avvenuto nel fine settimana: implicherebbe mettere mano a numerose questioni sollevate dal clamoroso ammutinamento, che per ora si vogliono evitare.

Così, dopo il breve appello di sabato alla nazione, Putin ha taciuto fino a lunedì sera quando ha rivolto un altro laconico messaggio.

Contrariamente a quanto annunciato dal portavoce Peskov («Determinerà i destini della Russia»), il discorso è stato alquanto generico: il presidente ha ringraziato i militari e il popolo russo per l’unità e la fermezza dimostrata di fronte alla minaccia esistenziale posta dalla fronda interna.

Putin ha affermato che all’accaduto non sono stati estranei «il regime di Kiev e i suoi sponsor occidentali», alludendo come la sua leadership non sia mai venuta meno durante le ore convulse di sabato così da evitare la tragedia nazionale ricercata dai nemici della Russia.

In precedenza, simili messaggi erano venuti dal ministro degli esteri Lavrov che ha in particolare sottolineato la questione di eventuali coinvolgimenti dei servizi d’intelligence occidentali nei torbidi del 24 giugno, su cui l’Fsb starebbe indagando.

Speculazioni sul tema sono state avanzate da numerose fonti ostili alla politica occidentale e ovviamente benvenute a Mosca per occultare le responsabilità del regime nella creazione del fenomeno Prigozhin. Lavrov ha anche sfatato le accuse di isolamento sulla scena internazionale in seguito alla crisi, affermando come molti suoi colleghi abbiano espresso solidarietà alla Federazione russa, «ma alcuni hanno chiesto di non parlarne pubblicamente».

Dal lato governativo da segnalare, infine, l’apparizione al fronte del ministro della difesa Shoigu. L’uomo indicato da Prigozhin quale principale causa degli insuccessi militari del paese è stato così per il momento confermato nel suo dicastero. Dal lato degli ex ammutinati la situazione non è più chiara.

Il ministro della difesa Shoigu con il generale Nikiforov (Foto: Ap)

Contrariamente a quanto annunciato sabato, l’imputazione per organizzazione di ribellione armata (art. 279 del codice penale) contro Prigozhin non è stata archiviata e l’Fsb sta seguendo il caso.

Secondo gli accordi verbali intercorsi con il presidente bielorusso Lukashenko, l’imprenditore della violenza si trova al momento a Minsk, in attesa che sia definito il suo destino. Ieri Prigozhin, che di nuovo non è stato nominato da Putin, ha fatto circolare un audio-messaggio di 11 minuti in cui ha ribadito la sua versione.

Dopo le decisioni governative relative all’integrazione dei mercenari nell’esercito regolare, nonostante la maggioranza degli uomini della Wagner rifiutasse una soluzione che considerava la fine della propria eccellenza bellica, la compagnia di ventura era pronta a consegnare gli armamenti pesanti alla Difesa.

È stata invece bombardata e 30 suoi uomini uccisi: «Questo ha scatenato la nostra mobilitazione immediata». Prigozhin continua vantando le prodezze dimostrate dai suoi sabato, rinnovando gli affondi contro i suoi rivali militari.

La «marcia per la giustizia» avrebbe evidenziato i gravi problemi di sicurezza della Russia. Prigozhin aggiunge beffardo: «Se l’operazione speciale contro l’Ucraina fosse stata affidata a noi sarebbe probabilmente durata qualche giorno».

Atteggiandosi a capo-popolo, ha anche sottolineato la simpatia con cui larghi settori della popolazione hanno guardato all’azione della Wagner, fatto altrettanto preoccupante per il Cremlino. Allo stesso tempo Prigozhin si è limitato a esprimere «rammarico» per i danni inferti dai suoi uomini all’aviazione dell’esercito (almeno quattro elicotteri e un aereo da ricognizione Il-22 abbattuti), atti estremamente gravi, costati la vita ad almeno 13 piloti.

Prigozhin ha detto che i suoi uomini sono stati obbligati a rispondere agli attacchi e ha promesso di pagare 50 milioni di rubli di risarcimento alle famiglie dei piloti caduti.

Infine, l’ex «cuoco di Putin» ha ribadito che lo scopo della «marcia» non era il rovesciamento del regime ma la protesta contro le sue disfunzioni. Gli analisti indipendenti russi osservano come Prigozhin abbia interrotto la sua avventura nel momento in cui si è reso conto che la maggior parte dei quadri militari non lo avrebbe seguito, al pari di molti miliziani della stessa Wagner.

L’attenzione è ora tutta rivolta alla Bielorussia di Lukashenko, che secondo Prigozhin ha offerto le condizioni affinché la Wagner possa continuare a operare e dove si starebbero trasferendo i mercenari rimastigli fedeli.

Il loro destino è anche stato oggetto del discorso di Putin che ne ha elogiato il coraggio, suggerendo come siano stati manipolati e confermando che chi non vuole integrarsi nell’esercito può andarsene in Bielorussia. Si tratta di capire come il regime di Minsk si ingegnerà a gestire una situazione del tutto inedita. Ieri sera era anche atteso un discorso alla nazione del leader bielorusso