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Guerra di sfinimento in Ucraina. Kiev ammette il flop della controffensiva e si prepara a mobilitare migliaia di riservisti. In aiuto dagli Usa arrivano 250 milioni anziché i 61 miliardi promessi. E Mosca non dà tregua

IL LIMITE IGNOTO. Il conflitto penetra in ogni aspetto della vita quotidiana. E ormai i vertici lo ammettono: la controffensiva ha fallito

 Un palazzo danneggiato dall’attacco di droni russi a Kiev il 22 dicembre 2023 - Ansa

I kieviti attraversano in fretta piazza Santa Sofia, senza quasi prestare attenzione all’albero di Natale che brilla giallo e blu di fronte all’ingresso della famosa cattedrale. Dopo un timido entusiasmo iniziale i residenti della capitale ucraina stavolta non hanno ceduto all’emotività e l’albero non si è trasformato nell’ennesimo simbolo mediatico di resilienza. Non ha contribuito nemmeno la novità costituita dal primo Natale festeggiato secondo il calendario liturgico occidentale. Quasi due anni di guerra sono lunghissimi e a volte diventa difficile anche fingere che ci sia normalità.

Chissà se è vero, come avevano dichiarato a inizio anno diverse figure vicine a Zelensky, che a Kiev immaginavano questo periodo festivo come l’ultimo sotto le bombe. Doveva essere il momento per brindare, insieme agli alleati europei e nordamericani, al successo della controffensiva e all’unità del mondo libero di fronte all’oppressore venuto da Mosca. E invece poco è cambiato da quegli annunci, se non che la «stanchezza della guerra», quella vera di chi vive quotidianamente i disagi e le sofferenze generati dall’invasione russa, continuano.

«Siamo in uno stato di guerra, sappiamo che il nemico insidioso può colpire in qualsiasi momento, in qualsiasi direzione» ha dichiarato il capo ufficio stampa del comando meridionale delle forze ucraine, Natalya Gumenyuk. «Pertanto, dobbiamo stare all’erta per proteggerci. Se sentite un allarme aereo, non trascuratelo». Ma i residenti nelle grandi città ucraine sono un po’ restii alle regole di sicurezza della legge marziale, nonostante in alcuni centri, come Kiev e Odessa, il pericolo dei bombardamenti russi sia reale e costante, il bisogno di continuare a vivere è generalmente più forte. Non sempre però, ci sono periodi in cui questo equilibrio necessario si sbilancia verso la paura e allora le città si svuotano. Era così nei primi giorni dopo il 24 febbraio 2022, quando si temeva che la famosa «colonna di 40 km di carri armati russi» sarebbe presto arrivata alle porte della capitale, ed è così oggi.

NONOSTANTE i soldati nemici siano lontani, nelle trincee ghiacciate del fronte orientale o dietro i terrapieni fortificati del sud, dove il vento del Mar Nero gela persino gli occhi. Gli effetti della guerra si sentono in ogni piccolo aspetto della vita quotidiana. Dalla scarsità di beni nei negozi, al freddo nelle case dove i riscaldamenti sono diventati inutili suppellettili. La strategia russa di bombardare le centrali energetiche del nemico aveva messo a dura prova i civili ucraini l’inverno scorso e sta causando ancora più disagi quest’anno. Eppure le città non devono arrendersi.

Ogni attività in Ucraina deve essere proiettata verso lo sforzo bellico, c’è bisogno di continuare a produrre e di tenere in piedi gli apparati statali. Gli uffici devono funzionare, la logistica della grande distribuzione anche, i controlli per le strade devono dare almeno l’impressione che tutto sia in ordine. E le infrastrutture devono essere sempre funzionali, magari non perfette ma efficienti. Strade, ponti, centri logistici devono restare aperti affinché i soldati al fronte possano continuare a combattere. Per questo dopo gli attacchi russi è molto comune vedere squadre di operai che tappano buche o sgomberano la carreggiata e tali interventi hanno un valore sia pratico sia simbolico. Il governo centrale vuole a tutti i costi trasmettere il messaggio che la vita va avanti e che si continua a combattere ordinatamente. Nessuno deve lasciarsi andare all’inedia o alla disperazione perché ciò che succede nelle retrovie si riflette al fronte.

TUTTAVIA, nelle ultime settimane sono intervenuti nuovi elementi potenzialmente distruttivi a turbare l’ingranaggio preciso messo in moto dalla Verkhovna Rada la scorsa primavera. Il primo è economico. Se è vero che la produzione nelle retrovie non può arrestarsi, è altrettanto vero che oggi Kiev dipende dagli aiuti occidentali per quasi tutto. Si parla continuamente di forniture militari, ma senza le centinaia di miliardi arrivati al governo di Volodymyr Zelensky dai paesi europei e, soprattutto dagli Stati uniti, probabilmente oggi non potremmo ragionare sul futuro dell’Ucraina. Perciò l’annuncio fatto a metà dicembre dai deputati repubblicani di voler bloccare la votazione per il rinnovo degli aiuti economici a Kiev ha generato enorme preoccupazione.

Nello specifico si tratta di 61 miliardi che fanno parte di un pacchetto più ampio di 106 miliardi di fondi straordinari dei quali 14 dovrebbero andare ad Israele e il resto destinato al «Pacifico e al confine con il Messico». Lo speaker della camera Mike Johnson, tentando di spiegare il motivo dell’opposizione repubblicana, aveva dichiarato di sostenere l’Ucraina ma che le «politiche fallimentari di Biden» non stanno portando ad alcun risultato. I democratici avevano ribadito che il sostegno a Zelensky è fondamentale per arginare Putin, e che quindi si tratta proprio di difendere gli interessi strategici del Congresso, ma finora non sono stati ascoltati. «Se Putin prende il controllo dell’Ucraina, otterrà la Moldavia, la Georgia, e poi forse i Paesi Baltici» aveva dichiarato il presidente della Camera degli Affari Esteri Michael McCaul.

SECONDO gli analisti politici alla fine i repubblicani voteranno favorevolmente alla manovra nelle prime settimane dell’anno nuovo, ma esigeranno un netto ridimensionamento della politica migratoria americana alla frontiera messicana e una modifica alla legge sui visti. Concessioni molto difficili da elargire per Joe Biden, che rischia di sollevare l’odio dell’ala sinistra del suo partito. Del resto, a questo punto scontentare qualcuno diventa inevitabile, la campagna elettorale negli Stati uniti è iniziata e l’Ucraina è uno dei temi più sentiti da entrambi gli schieramenti. In ogni caso ieri il dipartimento di Stato ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari per l’esercito di Kiev del valore di 250 milioni di dollari e ha pubblicato una nota in cui invita il Congresso ad agire «rapidamente, il prima possibile, per promuovere la nostra sicurezza nazionale aiutando l’Ucraina a difendersi e a garantire il proprio futuro».

L’ALTRO FATTORE determinante è quello militare. Il 26 dicembre i vertici ucraini hanno ammesso (dopo una smentita iniziale) di essersi ritirati dal centro urbano di Marinka, una cittadina del Donetsk a pochi chilometri dalla capitale separatista. Ci sono volute settimane affinché gli uomini più vicini a Zelensky ammettessero che «la controffensiva non è andata come speravamo». La sconfitta a Marinka, seppur «di importanza strategica limitata» come sostengono i centri studi occidentali, marca un cambio di segno importante nell’evoluzione a breve termine del conflitto. Significa che non solo gli ucraini non sono più all’attacco, come era evidente dall’inizio dell’inverno, ma che ora sono costretti a difendersi. A poca distanza da Marinka c’è Avdiivka, che i russi bombardano costantemente da mesi. Come Mariupol, come Bakhmut, Avdiivka è diventato l’ennesimo tritacarne di questa guerra. Tra un annuncio di avanzata russa e una smentita ucraina, si stima che ogni giorno ad Avdiivka muoiano tra i 20 e i 200 soldati in totale.

«Non sappiamo quando la guerra finirà, ma sappiamo che servono più uomini per lo sforzo bellico» aveva dichiarato Zelensky durante la conferenza di fine anno, aggiungendo che sono i generali dello stato maggiore ad averli richiesti e quindi, spostando il biasimo su Zaluzhny. Il rapporto tra i due uomini forti ucraini è ai minimi termini da quando il generale aveva dichiarato all’Economist che «il conflitto si è trasformato in quello che in gergo militare si chiama ‘guerra di posizione’». Ora sembra che quasi non si parlino. Ma se, come ha annunciato il presidente, a breve ci sarà una nuova ondata di mobilitazione massiccia da ben 4-500 mila uomini, non potranno evitare di coordinarsi. A meno che uno dei due non voglia esautorare l’altro. In attesa del «piano di mobilitazione» che ha aggiunto un ulteriore preoccupazione agli uomini ucraini, Zaluznhy, nella sua conferenza di fine anno, è rimasto fedele al suo personaggio di militare onorevole ed ha ammesso di aver sottostimato il nemico. «Il mio sbaglio più grande è stato di pensare che un numero così elevato di perdite inflitte al nemico lo avrebbe fermato». Secondo le stime ucraine, non confermabili indipendentemente, le forze armate russe avrebbero infatti perso oltre 356mila soldati.

SI PREANNUNCIA un anno durissimo per l’Ucraina e il futuro del Paese per ora sembra legato alla tenuta del fronte est e all’arrivo degli aiuti economici e militari occidentali. Da Mosca insistono: «Gli obiettivi dell’operazione speciale saranno raggiunti» mentre a Kiev i portavoce militari parlano di «7 fronti di avanzata aperti dal nemico» a est e di dicembre come «il mese più difficile». Ma gli ucraini non si sono lasciati impressionare dato che ormai lo hanno imparato da tempo: finché la guerra dura la situazione continuerà a peggiorare