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Vuoi per coincidenze fortuite, vuoi per intenzioni politiche, le elezioni amministrative di Faenza, ad iniziare dal 1994, sono state spesso descritte come anticipatrici di scelte nazionali, soprattutto nel campo del centrosinistra, tanto che si è parlato e si parla di ‘laboratorio Faenza’. Nel 1994 si aprì la stagione dell’Ulivo; nel 2000 il centro sinistra per Faenza e nel 2005 Uniti nell’Ulivo anticipavano gli assestamenti e quindi l’unificazione nazionale nel PD; nel 2010 la vittoria alle primarie di un outsider come Malpezzi, proveniente dagli ambienti cattolici esterni al PD, e la sua successiva conquista della guida del partito (al quale nel frattempo si era iscritto) possono essere paragonate alla fulminante conquista della leadership del PD nazionale da parte del cattolico Renzi, già presidente popolare della provincia di Firenze.
Cosa ci fa intravedere nel 2015 il ‘laboratorio Faenza’?
Questa volta sono due gli esperimenti da osservare, correlati tra loro:
1. pur non assumendone il nome, il PD inaugura la stagione del partito nazionale;
2. la sinistra si unisce e cerca di costruire un nuovo soggetto politico. 

Vediamoli un po’ più da vicino. Il partito nazionale di Renzi ha l’ambizione, ben espressa dal nome, di presentare un’offerta politica totale e totalizzante, a 360 gradi: destra e sinistra sono categorie politiche rifiutate da Renzi (si veda la sua introduzione alla riedizione dell’omonimo libro di Bobbio), in nome di una modernità fatta di velocità, giovanilismo, superattivismo: la nuova filosofia politica del premier, che deve molto alle tecniche pubblicitarie dell’alleato del (fu?) patto del Nazareno, teorizza che sia meglio compiere degli errori, piuttosto che non far nulla, come ha risposto a chi lo criticava sul disegno di legge sulla scuola.
Il partito nazionale prevede la pacificazione nazionale, ovvero l’idea che il conflitto, di qualsiasi natura, sia una stortura

del processo decisionale e, più in generale, del confronto democratico: chi critica il Governo e il suo presidente lo fa per squallidi interessi personali (di recente Prodi e Letta per promuovere i loro libri), perché è conservatore (i sindacati), per ripicca o slealtà (la minoranza PD); la ministra Giannini arriva a definire squadristi gli insegnanti che l’hanno fischiata e contestata ad un dibattito, ma proprio il 25 aprile (come notava la Stampa di Torino il giorno successivo), la parola fascismo spariva dalle dichiarazioni ufficiali di Renzi e del suo governo.
Il partito nazionale diventa il partito di tutti gli italiani e di nessuno in particolare, e prova, anche con l’italicum, ad essere autosufficiente dal punto di vista elettorale e, di conseguenza, politico. Il PD di Bersani aveva tentato di vincere alleandosi con Sel, Renzi non ci pensa nemmeno; e perché dovrebbe, visto che Migliore ed altri ex giovani rivoluzionari di Rifondazione sono entrati nel PD? E la crisi del centro destra, soprattutto la disgregazione di FI, non apre forse praterie alle incursioni ‘nazionali’ di Renzi? Il bipolarismo, degli ultimi anni, per quanto imperfetto e costretto dalle regole elettorali, è ormai completamente saltato e non può essere riproposto. 

La novità a Faenza è la sterzata moderata. Ancora nelle ultime regionali il PD aveva fatto uno sforzo, coronato dal successo, di presentarsi alle elezioni come forza guida di una coalizione di centro sinistra, e aveva concesso a Sel visibilità programmatica ed istituzionale. Dopo nemmeno cinque mesi, la sterzata verso l’autosufficienza politica di segno moderato è clamorosa, ma così brusca da aver provocato una reazione contraria ed opposta.
A Faenza, al PD non interessava costruire un accordo a sinistra, perché aveva deciso di apparentarsi con la lista di Gilberto Bucci la tua Faenza-Udc, con l’Italia dei valori (vero e proprio relitto politico, nonostante la sua non veneranda età), oltre a confermare l’intesa con la lista locale Cambiare Faenza (ma non era meglio un altro nome, dopo 5 anni di governo della città?), già espressione del moderatismo faentino vicino a Malpezzi. C’è, in questa scelta, una profonda convinzione di chi dirige il partito: i valori della sinistra non sono più utili e/o necessari per vincere le elezioni (e la sinistra radicale è irrilevante dal punto di vista elettorale); ne consegue la decisione di contendere l’elettorato al centro destra, considerato in libera uscita, proponendo valori e proposte nelle quali esso si possa riconoscere. Nemmeno l’astensionismo preoccupa molto dal punto di vista politico (i calcoli elettorali sono un’altra cosa), perché al partito nazionale non interessa incentivare la partecipazione democratica, ma governare maggioranze silenziose.
A Faenza il moderatismo, di cui Malpezzi è ormai punto di riferimento riconosciuto, ben oltre i confini del PD, prova a stravincere: non solo ha ridicolizzato i suoi oppositori interni sulla questione dell’odg della famiglia naturale e quindi sulle primarie, non solo ha ridotto a 4 (su 24) i candidati della cosiddetta sinistra PD (e per loro stessa ammissione, a 2 i possibili eletti), ma ha voluto affermare la propria egemonia su tutto il moderatismo faentino, sia quello di tradizione cattolica che quello di ascendenza laica, come evidenziano le candidature, nella lista del PD, riconducibili ai socialisti ed ai repubblicani. Se vincerà al primo turno, Renzi lo congratulerà pubblicamente e lo porterà ad esempio da seguire.

Ma il ‘laboratorio Faenza’ presenta anche la novità di una sinistra unita, per ora in una lista elettorale, l’Altra Faenza, domani chissà. I suoi promotori provengono da tutto l’arcipelago della sinistra radicale, ma anche da esperienze sindacali; molti hanno scelto di uscire dal PD; alcuni sono alla loro prima esperienza politica. E’ una novità notevole, che ha colto di sorpresa i dirigenti del PD e anche gli osservatori esterni; ancora nelle ultime regionali le liste della sinistra erano due, una in coalizione col PD, l’altra all’opposizione.
La sorpresa è stata grande perché le divisioni tra i partiti della sinistra e al loro interno sono profonde, diffuse e non facilmente ricomponibili. Perché allora a Faenza si sono superate? Perché a Faenza importanti esponenti del PD e militanti storici di quel partito hanno deciso di lasciarlo e di riproporre la questione della sinistra? Per due motivi, essenzialmente: la generosità di tutti e il profondo desiderio di promuovere un processo unitario nel Paese. A Faenza la decisione è già stata presa: si intende lavorare per la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra, che occupi gli spazi sociali e culturali abbandonati dal partito nazionale di Renzi; se all’esperimento del laboratorio faentino arriderà il successo, sarà più facile procedere al rinnovamento dei paradigmi della politica italiana, anche per contrastare il fascismo quotidiano (non più di stato, come lucidamente scrive Enzo Collotti sul manifesto del 26 aprile) che contraddistingue l’Italia d’oggi. 

Martino Albonetti