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Petrolio

Il miraggio di un Texas nostrano, retaggio del secolo scorso, più che l’incubo attuale dell’inquinamento da petrolio dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon del Golfo del Messico del 2010, convince il Governo Renzi a considerare strategiche tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: diminuendo l’efficacia delle valutazioni

ambientali, emarginando le Regioni e piegando le norme che avevano dichiarato dal 2002 off limits l’Alto Adriatico, per il rischio di subsidenza. La denuncia parte da WWF, Legambiente e Greenpeace che chiedono ai membri della Commissione Ambiente della Camera dei deputati di decidere per l’abrogazione dell’art. 38 del decreto legge Sblocca Italia n. 133/2014.
È noto da tempo che il nostro petrolio è poco e di scarsa qualità.
Secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico, ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
L’accelerazione indiscriminata impressa dal Governo mette a rischio la Basilicata che è interessata da 18 istanze di permessi di ricerca, 11 permessi di ricerca e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio. E non è esonerato dalla corsa all’oro nero neanche il mare italiano. In totale oggi le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5000 kmq in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo dove si concentra più del 25% di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo.