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DESTRE . Una litania di apologie è seguita al «suo» discorso di insediamento che ha declinato l’antifascismo sulla misura degli «opposti estremismi» anziché radice fondativa della Repubblica

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«Questa vittoria la voglio dedicare a tutte le persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata». Queste le parole di Giorgia Meloni, dedicate ai padri fondatori della «comunità» missina nella Repubblica. Così la neo-presidente del Consiglio scelse di celebrare i risultati elettorali della notte del 25 settembre 2022 che determinarono la sua ascesa (prima esponente dichiaratamente postfascista) alla guida del governo.

DA QUELLA NOTTE, come un continuo e incontrollabile riflesso antropologico, si sono succeduti in serie: l’attacco di Meloni, nel suo discorso di insediamento, all’antifascismo (furbescamente declinato sulla misura degli anni Settanta degli «opposti estremismi» anziché come radice fondativa della Repubblica); gli onori al Msi, nella ricorrenza della sua fondazione, della sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti (figlia del fondatore di Ordine Nuovo) e del Presidente del Senato Ignazio Benito La Russa (già compiaciuto gallerista di busti di Mussolini esposti a favore di stampa); l’attacco anti-antifascista del ministro dell’Istruzione Valditara alla preside del liceo Leonardo da Vinci di Firenze dopo l’aggressione squadrista dei militanti giovanili di Fratelli d’Italia contro studenti minorenni davanti al Liceo Michelangiolo.

In ultimo, la rilettura subcosciente operata da Claudio Anastasio del discorso con cui Mussolini rivendicò politicamente l’omicidio di Giacomo Matteotti e la natura criminale del fascismo.

«Me ne frego! Rinnegare non è un vocabolo che rientra nelle mie costumanze né nelle costumanze dei missini». Così Almirante rispondeva, il 14 gennaio 1987, all’attonito giornalista che conduceva una tribuna politica. Citando la formula coniata dall’ex segretario del Msi Augusto De Marsanich «non rinnegare non restaurare» Giorgio Almirante tracciava un solco che oggi i suoi eredi al governo difendono con la spada.

NELLA CONSAPEVOLEZZA dell’impossibilità di un ritorno del fascismo nelle sue forme storiche (intese come corporativismo; autarchia; imperialismo bellicista; regime terroristico; razzismo di Stato; classismo totalitario e organicista) il senso profondo della formula indica una linea politica molto più concreta per i posteri seguaci della fiamma tricolore: saper essere fascisti nel proprio tempo.

Nascondersi e mescolarsi dentro il corpo globale liberista e da lì mantenere da un lato viva la retorica «dell’alterità al sistema» e dall’altro esprimere il più alto grado di compatibilità in termini di atlantismo coniugato con il classismo punitivo dei ceti più deboli; la negazione dei diritti civili; la discriminazione dei migranti.

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PIÙ CHE IL DIBATTITO sulla riemersione dal gorgo della storia del regime di Mussolini è, dunque, sulle dimensioni del tempo presente che si misurerà nel prossimo biennio il rapporto di forza tra eredità storica della Repubblica costituzionale (nata dalla vittoria dell’antifascismo) e nuova destra (nata dalla sconfitta del fascismo).

NELLA RIDEFINIZIONE dell’identità repubblicana questo governo si confronterà con anniversari storici che acquisiranno un grande significato perché cadenti nel pieno di un prospettato processo di «riforma» presidenziale e autonomistico-regionale che potrebbe stravolgere definitivamente l’impianto delle istituzioni nate dalla Resistenza.

Quale sarà la postura dell’esecutivo Meloni: Il prossimo 8 settembre di fronte all’80° anniversario dell’armistizio che la destra missina ha sempre indicato come «tradimento» e «disonore» della patria?; oppure nel giugno 2024, quando ricorreranno i 100 anni dall’omicidio Matteotti (e dunque dall’avvento totalitario del regime fascista) e gli 80 anni della Liberazione di Roma medaglia d’oro alla Resistenza?; o ancora il 25 aprile 2025, 80° della Liberazione d’Italia?

QUESTE RICORRENZE giungeranno quando ci troveremo (se il governo durerà) nel pieno della discussione su due mutamenti di sistema (la repubblica presidenziale e l’autonomia differenziata) che potrebbero portare non ad un «nuovo fascismo» ma alla disarticolazione definitiva dello Stato nato dalla Resistenza.

Non porteranno camicie nere nelle strade ma «risolveranno» quei problemi di compatibilità tra la Costituzione antifascista e gli assetti del libero mercato denunciati dalla banca d’affari JP Morgan nel 2013.

Una questione portata alle soglie (e per fortuna lì fermata) della «soluzione» dal referendum del 2016 del governo Renzi e non aliena a quella parte di società liberale che non perde occasione per tentare di separare ideologicamente ciò che la Storia ha unito nella realtà del nostro Paese: l’antifascismo comunista e socialista (che fu oggettivamente maggioritario), l’antifascismo cattolico e quello laico-democratico.

Un incontro che disegnò il primo e unico terreno storico che abbiamo in comune (a differenza delle odierne posticce memorie condivise): la Costituzione della nostra Repubblica. Sarà quello l’obiettivo della destra