POLITICA. Informativa della premier: maggioranza compatta sulla carta, ma sull’Ucraina si vedono crepe. E il tema migranti preoccupa. Il timore è che a Bruxelles l’Italia non ottenga niente. Telefonata con von der Leyen
Giorgia Meloni al Senato - foto LaPresse
Nervosissima. Una Meloni così tesa dalla vittoria elettorale in poi forse non la si era mai vista. Alza i toni, si abbandona all’iperbole, azzarda profezie apocalittiche, si irrita e si offende. Eppure l’informativa al Senato sul Consiglio europeo di domani non presenta incognite, non ci sono rischi di sorta, alcuni degli argomenti più spinosi, dalla riforma fiscale ai diritti civili, sono espunti in partenza. Sulla carta, quella su cui si scrivono le risoluzioni, la maggioranza è compatta anche dove non lo è affatto, vedi alla voce guerra, e sul resto è unita davvero.
L’OPPOSIZIONE INVECE proprio no. La senatrice del Terzo Polo Paita, anzi, chiede di poter votare la mozione di maggioranza per parti separate, in modo da poter appoggiare la parte sull’Ucraina. Finisce proprio così e il segnale è ben chiaro: i centristi sono pronti a un dialogo che in alcuni casi, primo fra tutti il presidenzialismo, si rivelerà politicamente prezioso. Anche le altre due forze d’opposizione sono divise che più divise non si può sull’Ucraina: il Pd vuole continuare a inviare armi a Kiev,
Leggi tutto: Meloni alla camera, il consiglio europeo la rende nervosa - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Nel “viaggio di amicizia”, come Pechino lo ha definito, che Xi Jinping sta compiendo a Mosca, si sta certamente parlando molto di energia. Le sanzioni occidentali alla Russia hanno dato il turbo agli acquisti cinesi di gas e petrolio russi, con vantaggio della Cina, ma in gioco ci sono anche accordi sul gas più a lungo termine che mostreranno se e quanto Xi vuole legarsi all’alleato.
Al centro della questione ci sono i nuovi gasdotti verso est: dopo l’invasione dell’Ucraina e la reazione dell’Occidente, la Russia ha aumentato i flussi di gas verso il vicino orientale attraverso un gasdotto esistente in base a un accordo prebellico. C’è poi un altro collegamento, già realizzato, da cui però le forniture non sono ancora iniziate, e ci sono colloqui per una terza rotta, che trasporterebbe più gas rispetto ai primi due gasdotti combinati, ma finora questi colloqui non hanno portato ad alcun contratto.
Quel che si deciderà, dipenderà da quanto la Cina sia disposta a dipendere dalla Russia per le principali forniture energetiche. “Esiste sicuramente il potenziale per un ulteriore approfondimento della cooperazione energetica tra i paesi, ma se la Cina diventa eccessivamente dipendente dalle importazioni di energia russa, ciò crea rischi in futuro? Questo è un fattore che la Cina deve considerare”, spiega Kevin Tu, amministratore delegato di Agora Energy Transition China, citato da Bloomberg.
Le esportazioni di gas della Russia verso la Cina sono ancora una piccola frazione dei 177 miliardi di metri cubi che Mosca ha consegnato all’Europa nel 2018-19. Ma l’aumento dei flussi verso il gigante cinese ha un ruolo importante nel compensare la riduzione dei volumi verso l’Europa, che con la guerra si sono ridotti fino a circa 62 miliardi di metri cubi nel 2022 (si veda il grafico sotto, elaborazione Ispi, preso dall’interessante dashboard che monitora lo scambio gas tra Italia, Ue e Russia).
Il gas e il Power of Siberia 2
Ad oggi, Gazprom fornisce gas alla Cina attraverso i 3.000 km del gasdotto Power of Siberia, nell’ambito di un accordo trentennale da 400 miliardi di dollari lanciato alla fine del 2019. Nel 2022, le esportazioni ammontavano a circa 15,5 miliardi di metri cubi (bcm), e si prevede che aumentino a 22 bcm nel 2023 e raggiungano la piena capacità di 38 bcm entro il 2027.
Nel febbraio 2022, Pechino ha anche accettato di acquistare fino a 10 bcm di gas all’anno entro il 2026 tramite un gasdotto dall’isola russa di Sakhalin, nell’estremo oriente.
Putin, Xi e il presidente della Mongolia hanno poi tenuto colloqui nel settembre 2022 sulla proposta di un nuovo gasdotto Power of Siberia 2, in grado di fornire 50 bcm di gas all’anno dalla Russia alla Cina attraverso la Mongolia: un’idea che Mosca ha avanzato molti anni fa, ma che ha acquisito urgenza nella situazione attuale.
Petrolio russo scontato
Quanto al petrolio, la Russia è rimasta la seconda fonte di greggio della Cina nel 2022, dopo l’Arabia Saudita, poiché le raffinerie cinesi si sono accaparrate barili russi a basso costo, anche grazie alle sanzioni occidentali. Da stime Reuters, la Cina potrebbe aver risparmiato circa 5 miliardi di dollari l’anno scorso, grazie a questi sconti.
Le importazioni cinesi di greggio dalla Russia sono aumentate dell’8% nel 2022 a 86,25 milioni di tonnellate, equivalenti a 1,72 milioni di barili al giorno (bpd), mentre le importazioni dagli Usa sono diminuite del 31% a 7,89 milioni di tonnellate, secondo i dati doganali cinesi.
La Cina riceve circa il 35% del petrolio che acquista dalla Russia attraverso l’oleodotto Skovorodino-Mohe, aggirando così qualsiasi restrizione su navi e merci, e le importazioni dovrebbero raggiungere un record a marzo, poiché le raffinerie cinesi stanno approfittando dei prezzi bassi mentre la domanda interna è in ripresa
Commenta (0 Commenti)CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI. La mozione di censura respinta per 9 voti. France Insoumise: «Hanno tradito il popolo». I sindacati preparano la nona giornata di manifestazioni e scioperi
L'Assemblea nazionale riunita ieri per decidere sulla legge sulle pensioni - Ap
Una vittoria di Pirro per il governo: la mozione di censura «transpartitica» presentata dal gruppo centrista Liot è stata bocciata, ma per soli 9 voti (per fermare la riforma delle pensioni e far cadere il governo erano necessari 287 voti, ce ne sono stati 278). Sconfitta anche, più ampiamente, la sfiducia firmata dal Rassemblement national. Sulla carta, la riforma delle pensioni che alza l’età da 62 a 64 anni, è adottata. Ma le piazze francesi restano in agitazione e la protesta si estende: la sede di Tolbiac della Sorbonne è stata occupata, come il Musée des Beaux Arts di Lione, i blocchi stradali si moltiplicano, il carburante esce con difficoltà dalle raffinerie, la spazzatura si accumula non solo a Parigi.
IN AULA, la prima ministra Elisabeth Borne ha difeso le scelte del governo, i contenuti della riforma delle pensioni e il ricorso all’articolo 49.3 – far passare la legge senza voto all’Assemblée nationale – «non una scelta di un dittatore, ma del generale De Gaulle», uno strumento costituzionale. Ma il potere esce a pezzi da questa sequenza parlamentare. Con chi il governo, che ha solo una maggioranza relativa, potrà creare alleanze per far passare le prossime leggi?
LA DESTRA del partito Les Républicains (Lr) si è spaccata, una grossa fetta di deputati (19) non ha seguito le indicazioni della direzione e ha votato la sfiducia, in una rincorsa dell’estrema destra. A sinistra, i deputati della France Insoumise sono usciti dall’aula quando Borne ha preso la parola (solo i comunisti sono rimasti e qualche esponente di Ps e Verdi). Il clima è stato estremamente teso per tutto il pomeriggio. Borne ha risposto in modo crudo a Charles di Courson, capofila della mozione di censura del gruppo Liot, sottolineando le «contraddizioni» della sinistra che, oltre a votare con l’estrema destra, ha firmato «un’alleanza barocca» con un deputato che ha sempre difeso l’austerità e l’innalzamento dell’età della pensione, è stato contro il matrimonio per tutti e non ha voluto che l’abolizione della pena di morte fosse nella Costituzione.
PER MATHILDE PANOT, capogruppo della France Insoumise, il governo è «già morto», ha «tradito il popolo» e suscita solo «rabbia e disgusto», mentre la sua «parola è svalutata». La France Insoumise chiede il ritorno alle urne, lo scioglimento dell’Assemblée nationale, mentre la sinistra ha già trasmesso al Consiglio costituzionale la proposta di indire un Rip, un referendum di iniziativa condivisa (che richiede la firma di 185 parlamentari e di 4,5 milioni di elettori, ma che può bloccare per nove mesi l’entrata in vigore della riforma). Gli oppositori contestano anche la costituzionalità di alcuni articoli della legge. Borne ha parlato come se fosse destinata a durare, ma un paese inquieto e agitato attende ora l’iniziativa di Macron.
IL PRESIDENTE potrebbe rivolgersi alla popolazione, per cercare di spiegare. Ma ormai a vacillare non è solo il governo, ma le istituzioni: una crisi sociale si è trasformata in una crisi politica e rischia di diventare una crisi di regime. La V Repubblica, dopo il crollo dei partiti di governo che hanno assicurato l’alternanza destra-sinistra per decenni, sembra arrivata al capolinea. È la democrazia francese che viene messa in causa. Il voto di ieri non risponde alla domanda di dove risiede la legittimità: quella del presidente, eletto contro Marine Le Pen, quella del parlamento che non ha votato la legge (passata solo al Senato), quella della piazza che protesta?
I SINDACATI, che ieri hanno mostrato le prime fratture rispetto alla minaccia di una protesta dei sorveglianti nei licei durante le prime prove della maturità, avevano preferito non immischiarsi nel voto della censura. Ma preparano la nona giornata di manifestazioni e scioperi, giovedì 23.
L’ELISEO è sotto assedio, le pensioni sono l’ultima goccia che ha fatto esplodere la rabbia sociale della classe media alla deriva, che sente di perdere terreno su tutti i fronti (scuola e valore dei diplomi, ospedali in crisi, casa troppo cara, inflazione)
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ECONOMIA DI GUERRA . Attraccata la maxi nave rigassificatrice. Poche contestazioni ma la città è contraria: "Appena 800 metri dalle case, in spregio a ogni norma di sicurezza". Snam rassicura: "Mai stati incidenti". Ma fra tre anni la sposterà offshore, ad almeno 10 miglia dalla costa, nell'alto Tirreno o nell'alto Adriatico. Primi test di carico e scarico ad aprile
La maxi nave rigassificatrice Golar Tundra - Biagianti
“Doveva arrivare, è arrivata”. I piombinesi hanno accolto con un mix di fatalismo e rassegnazione l’arrivo della gigantesca nave rigassificatrice Golar Tundra. Un attracco notturno, partito l’ultimo traghetto per l’Elba, che ha portato la nave trascinata da quattro rimorchiatori nella sua “casa” per i prossimi tre anni, al molo est della Darsena nord del porto. Una sede di recente costruzione, realizzata pensando allo smantellamento della Costa Concordia – finita poi a Genova – e giudicata ideale dal governo Draghi, nel nome della “emergenza nazionale”, per assicurare all’Italia parte del gas che non sarebbe più arrivato dalla Russia.
Contestazioni al minimo, una cinquantina di persone con cartelli per formare la scritta “Rigassificatore, Piombino dice no”, tenendo comunque ferma la barra della contrarietà dell’intera città: “La distanza dalle case è di appena 800 metri – sintetizza Francesca Marino – contro ogni norma di sicurezza prevista in Italia e anche in Europa”. Per questo i comitati cittadini fin dalla scorsa estate si sono battuti, quasi quotidianamente, denunciando i rischi di un impianto del genere. Un maxi rigassificatore on-shore, sul quale i proprietari di Snam ostentano tranquillità: “I comitati sbagliano – spiega l’ad Elio Ruggeri – ci sono tanti impianti simili nel mondo, e non ci sono mai stati incidenti”.
Eppure fra tre anni la Golar Tundra lascerà Piombino, per trasferirsi in una sede off-shore, ad almeno 10 miglia marine dalla costa, sul modello della nave rigassificatrice Olt che staziona al largo del porto di Livorno. “Ci sono due ipotesi – spiega ancora Ruggeri – sia nell’alto Tirreno che nell’alto Adriatico”. Tempo per decidere ce n’è, visto che il governatore toscano Eugenio Giani ha concesso altri tre mesi di tempo a Snam per la decisione finale. Un Giani che ha ribattezzato la Golar Tundra (300 metri di lunghezza, 43 di larghezza e 55 di altezza) “nave della libertà”. Nei suoi quattro serbatoi possono entrare circa 170mila metri cubi di gnl, con una capacità di rigassificazione di 5 miliardi l’anno. Nei piani di Snam il gas liquefatto sarà portato da 44 navi gasiere, quasi una ogni settimana, con in primi test di scarico a fine aprile.
Quanto alle compensazioni per Piombino e i suoi abitanti, agli occhi dei critici le accuse incrociate fra il dem Giani e il sindaco Ferrari di Fdi sono solo fumo negli occhi, visto che tutti i governi degli ultimi 12 anni, di centrodestra e di centrosinistra, molto hanno promesso alla città e quasi niente hanno fatto
La destra è unita, al contrario delle opposizioni. Si discuterà anche di migranti
La vigilia delle riunioni del Consiglio europeo è un rituale monotono quanto inutile. Il presidente di turno si presenta di fronte a un Parlamento addomesticato dall’obbligo, almeno per la maggioranza, di non creare difficoltà al manovratore. Il premier ascolta o finge di ascoltare ma che tenga conto del dibattito è escluso. La sceneggiata si ripeterà oggi al Senato e domani alla Camera.
La premier si è preparata all’appuntamento di giovedì a Bruxelles in un lungo colloquio telefonico con il cancelliere tedesco Scholz. Chigi informa che tra i due c’è stato pieno accordo sulla necessità di «dare un ulteriore segnale di sostegno all’Ucraina a 360 gradi». La formula si traduce con una parola sola: munizioni. Ieri il vertice dei ministri degli Esteri ha accolto la proposta presentata l’8 marzo dal rappresentante Esteri della Ue Borrell: 2 miliardi da stanziare subito per rifornire l’artiglieria di Kiev, poi di miliardi ne serviranno altri 3,5 dal momento che il fondo europeo per le spese militari all’estero creato nel 2021 con un budget di 5 miliardi ha speso quasi tutto per spedire armi all’Ucraina.
La proposta dovrà ora essere approvata dal Consiglio. Se ci saranno paesi titubanti l’Italia non sarà tra questi. La premier va avanti come un panzer, anche se qualche preoccupazione per il dissenso degli stessi elettori di FdI a Chigi inizia ad affiorare. Come d’abitudine qualche stormir di vento frondista nella maggioranza c’è stato. Non da parte della Lega, troppo contenta di aver ottenuto quel che voleva su tutti i fronti a partire dall’immigrazione per creare problemi, ma nelle file azzurre. Nonostante le dichiarazioni di fatto apertamente putiniane del Cavaliere e nonostante i dubbi di molti ufficiali forzisti, i conati di dissenso sono però stati riportati subito all’ordine. Se ne è occupata Marta Fascina, consorte del gran capo, ma ci vuole molta fantasia per immaginare che la deputata non si muova in piena assonanza con il Cavaliere. La scelta di evitare ogni frizione con la premier è sua.
La mozione unitaria della maggioranza confermerà dunque in pieno il radicalismo atlantista imposto dalla presidente ai tiepidi alleati. Le divisioni campeggiano tutte dall’altra parte della barricata. Il Pd presenterà una risoluzione in continuità con la linea di Letta: sarà ribadito il «sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina», formula obliqua per appoggiare l’invio delle armi però senza dirlo esplicitamente ed è la prima volta. Il particolare denota che nel Pd inizia a serpeggiare parecchia inquietudine pur se affrontata con l’eterno scudo dell’ipocrisia. Il documento dei 5S sarà al contrario esplicito e apertamente contrario all’invio delle armi. «Abbiamo già dato. Qualcuno deve imprimere una svolta e vogliamo che sia l’Italia. Mi auguro che il Pd, con la nuova leadership, possa fare una scelta nella nostra stessa direzione», assicura Conte. Va da sé che in realtà il leader dei 5S si augura soprattutto di mettere Schlein con le spalle al muro e recuperare così consensi. In realtà la sfida delle risoluzioni in questo caso è secondaria. Rilevante sarebbe l’intervento della segreteria domani, se decidesse di parlare ed è però quasi escluso. In ogni caso il Pd qualche differenza dalla linea Letta dovrà marcarla.
Si parlerà anche moltissimo d’immigrazione, al centro ieri di un incontro tra Meloni e il ministro Piantedosi ma anche molto del colloquio con Scholz. La premier spera di lasciarsi alle spalle l’orrore di Cutro. Non sarà accontentata. Proprio ieri tutte le opposizioni hanno chiesto l’accesso all’intera documentazione sulla tragedia. Quel caso non è chiuso
Commenta (0 Commenti)LANTERNE RUSSE. Il presidente cinese in visita al suo «buon amico», per rafforzare i legami e tentare un’intesa «collettiva» che metta fine alle ostilità
L’incontro di ieri al Cremlino tra il presidente cinese Xi Jinping e il russo Putin - Ap
Quando il leader cinese, Xi Jinping, dice di essere certo che il popolo russo alle elezioni del prossimo anno «sosterrà con forza» la conferma del suo «buon amico» al Cremlino, Vladimir Putin piega la testa e tende i muscoli del viso in quello che ha l’aria di essere un segno di gratitudine per una apertura ancora più ampia rispetto ad attese già positive.
La visita a Mosca di Xi Jinping, cominciata ufficialmente ieri pomeriggio con un incontro al palazzo presidenziale, potrebbe segnare una svolta per gli equilibri globali. «Russia e Cina combattono minacce comuni», aveva detto Putin alla vigilia del vertice, definendo «al livello più alto della storia» le relazioni fra i due paesi, fra due sistemi economici per molti aspetti complementari e due sistemi politici orientati al medesimo obiettivo. «Nessun governo è superiore ad altri», gli ha fatto eco Xi Jinping: «Nessuno dovrebbe dettare da solo l’ordine mondiale».
IL PUNTO DI PARTENZA del ragionamento è la guerra in Ucraina. I cinesi sono arrivati a Mosca con un piano di pace che «riflette visioni globali» e che sarà discusso nei dettagli fra oggi e domani. Per Xi Jinping la fine delle ostilità è possibile soltanto nel quadro di un «accordo collettivo sulla sicurezza». Il che, è chiaro a tutti, spingerebbe di fatto la comunità internazionale verso il multipolarismo. La risposta degli Stati uniti è stata
Leggi tutto: Putin grato a Xi. E il suo piano di pace è «interessante» - di Luigi De Biase
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