«Questa volta non ci fermano»: il primo a intonare il peana è Silvio Berlusconi, che il super ponte lo sognava già vent’anni fa. Molto più sobria la premier, che allude però soprattutto alla riforma fiscale: «Lo avevamo promesso e oggi manteniamo l’impegno». Ma il più giubilante è Matteo Salvini che segue a ruota con un video all’insegna dell’iperbole.
Annuncia «la costruzione del ponte più bello, più sicuro e più green di tutto il mondo, che darà lavoro a decine di migliaia di persone per molto tempo». Il decreto che segna lo sparo d’inizio per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina è stato approvato «salvo intese»: clausola che riflette la diversità di vedute registrata nella riunione del governo tra Salvini, che mira all’opera più faraonica dai tempi delle piramidi e i Fratelli, più morigerati.
NESSUN DISTINGUO invece sull’altra «decisione di portata storica» varata dal governo ieri: l’approvazione della delega fiscale che dovrebbe portare, nel giro di due anni, a riscrivere completamente il sistema del fisco italiano. Qui la festa più rumorosa è in casa azzurra, con la capogruppo Ronzulli che palpita: «Aspettavamo questa riforma da cinquant’anni». Ma si frega le mani anche Salvini perché alla fine del lungo percorso c’è, almeno nel progetto, il suo sogno di sempre: la Flat Tax.
La clausola di protezione del «salvo intese» comunque dovrebbe figurare anche qui: la delega è in buona misura un testo in bianco e di intese nei prossimi 24 mesi se ne dovranno trovare parecchie. Il primo scoglio si è presentato già ieri, con un passaggio sulla fiscalità regionale del quale Calderoli ha chiesto e ottenuto lo stralcio perché in collisione con l’autonomia differenziata, la cui approvazione è stata confermata ieri nella medesima riunione.
LA RIFORMA FISCALE prevede il passaggio immediato da 4 a 3 aliquote Irpef, ma l’approdo della Flat Tax entro la legislatura è già nero su bianco. L’Ires dovrebbe essere drasticamente abbassata per chi investe o assume, l’Irap tagliata progressivamente sino alla cancellazione, l’Iva «razionalizzata»: aumenterà per alcuni prodotti, calerà per altri. Le coperture sono il salto nel buio ma se ne discuterà al momento di varare i decreti delegati.
Nelle intenzioni del governo l’iter parlamentare del decreto dovrebbe chiudersi a maggio. Il peccato di ottimismo è quasi certo: una tempistica più affidabile prevede l’approvazione prima della pausa estiva. Ad allungare i tempi sono i due passaggi istituzionali necessari prima di avviare la corsa in parlamento: il vaglio della conferenza Stato-Regioni e quello del Colle. I dettagli reali arriveranno però solo nei due anni seguenti: con i decreti delegati che fisseranno le nuove aliquote, i tagli e le razionalizzazioni e metteranno anche sul tavolo i conti, le coperture al momento fantasmatiche.
SARANNO RISCRITTE infine anche le regole del sistema sanzionatorio sui piani sia amministrativo che penale, tenendo conto della eventuale «sopraggiunta impossibilità di far fronte al pagamento» e dei concordati amministrativi. Si tratta, secondo la formula del ministro Giorgetti, del «passaggio da una lotta all’evasione che diventa preventiva e non più repressiva».
E I TEMPI DEL PONTE, opera costata già miliardi senza che si sia posata una sola pietra? Salvini punta all’approvazione del progetto esecutivo entro il 31 luglio dell’anno prossimo, basandosi sul progetto berlusconiano del 2011 riveduto e corretto. Il decreto, che conta 7 articoli, resuscita la Stretto di Messina s.p.a., controllata alla quale parteciperanno le due regioni interessate e, con quota non inferiore al 51% il Mef.
Nel cda composto da 5 membri due, presidente e amministratore delegato, saranno indicati dal Ministero dell’Economia, due da Calabria e Sicilia, uno da Rfi e Anas. L’azionista di maggioranza è però tenuto a procedere d’intesa con il Mit, al quale competono «le funzioni di indirizzo, controllo, vigilanza tecnica e operativa». Il ponte è e deve essere di Matteo Salvini.
Il consiglio dei ministri di ieri, che ha anche ridisegnato in parte la struttura del Mef, non è uno dei tanti. È uno spartiacque: il governo, dopo la fase di rodaggio, inizia a perseguire sul serio il proprio progetto. Ed è da ogni punto di vista un progetto di destra. Premia chi ha di più, punisce chi ha di meno, penalizza in modo forse irreparabile la transizione ecologica
SECONDA GIORNATA DEL CONGRESSO CGIL. La nuova leader Pd: chiudiamoci in una stanza a parlare. Calenda fischiato, Conte in difficoltà. Ex centro sinistra e M5s concordi: partiamo dalla difesa della sanità pubblica. Oggi arriva la premier dalle 11,30 la diretta su https://www.collettiva.it/
Il dibattito al congresso Cgil di Rimini fra i partiti di opposizione
Era stato l’ultimo a riunirli assieme prima delle elezioni a luglio. È stato il primo a rimetterli a confronto dopo la batosta del 25 settembre. Maurizio Landini, accusato da molti in Cgil di aver lasciato la sinistra sola nella sconfitta, ha portato sul palco del congresso di Rimini la finora sfilacciata opposizione al governo: Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte e Carlo Calenda per un dibattito concluso con la promessa di rivedersi presto. «Il patto anti Papete» lo ha battezzato la cerimoniera Lucia Annunziata, calata nel ruolo di ricostruttrice dell’opposizione, sottolineando la frase di Elly Schlein: «Chiudiamoci in una stanza finché non troviamo un accordo».
UN DIBATTITO che ha mostrato, da una parte, nuove assonanze fra il Pd e il M5s, dall’altra, abissali differenze con il fantomatico Terzo Polo. Carlo Calenda ha avuto il merito della chiarezza: si è preso i fischi della platea fin da subito spiegando che «con gli altri con ci governerei mai».
Lo scopo del dibattito era capire «se l’opposizione la vogliono fare», aveva spiegato inizialmente Landini, e se «vogliono tornare a dar voce al lavoro».
Le risposte sono state tutte positive, partendo dalla constatazione che «la crisi della democrazia è fatta soprattutto dall’astensionismo dei lavoratori e delle classi più povere che prima votavano a sinistra e ora non si sentono più rappresentate».
Elly Schlein si è impegnata a «riaggrapparli ai fili della politica». Per la nuova segretaria del Pd «se ragioniamo di temi e non di alleanze lo spazio per fare battaglie comuni c’è e il
Leggi tutto: Landini riunisce l’opposizione. Schlein ottiene un primo patto - di Massimo Franchi
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La manifestazione ieri a Parigi - foto Ap
Ottava giornata di manifestazioni ieri in tutta la Francia. A questo punto, i numeri contano meno (la partecipazione è in calo). Ieri è stata una nuova giornata di scioperi (trasporti, energia, nettezza urbana in alcune città, Parigi in testa) e di azioni sindacali, in particolare tagli di corrente mirati, con i politici in prima linea.
OGGI, LA BATTAGLIA CENTRALE è al parlamento: il testo della riforma delle pensioni, che alza l’età da 62 a 64 anni, è sottoposto al voto, prima al Senato poi all’Assemblée nationale. La versione finale è stata redatta ieri dalla Commissione mista paritaria, un cenacolo parlamentare di 7 deputati e 7 senatori (scelti in corrispondenza alla rappresentatività nelle rispettive camere), dopo una lunga giornata di trattative. L’accordo in questa istanza era quasi scontato, 5 parlamentari sono Renaissance (Macron), 5 Les Républicains e centro destra, 3 di sinistra, 1 Rassemblement national, la maggioranza semplice è sufficiente.
Oggi, però, al voto delle camere, sarà un’altra storia. Al Senato, dove domina la destra, il voto pare sicuro (il Senato del resto ha già votato il testo di legge). Invece, all’Assemblée nationale il risultato è in bilico: i deputati di Macron non hanno la maggioranza assoluta, hanno bisogno di alleanze, in questo caso cercate con la destra Lr. Ma, mentre al Senato non ci sono scossoni, all’Assemblée nationale, per ragioni di correnti, di generazione e anche di interesse rispetto al futuro, non è sicuro che tra i 61 deputati Lr ce ne siano almeno 40 ad appoggiare la maggioranza. Nel testo finale uscito dalla Commissione mista (10 voti a favore, 4 contro) delle esigenze della destra Lr sono state recepite (sulle carriere lunghe in particolare). Solo domani si saprà se il governo gioca la carta del voto oppure sceglie il 49.3 (una sfiducia rovescita), con il rischio di infiammare la protesta.
«NON VOTATE QUESTA riforma», ha chiesto ieri il segretario della Cfdt, Laurent Berger, «è sconnessa dalle realtà concrete del lavoro». Per Philippe Martinez della Cgt, se ci sarà ricorso al 49.3 sarà «il peggio del peggio» e solleverà una «rabbia immensa». Ma in caso di voto positivo al Parlamento, il fronte sindacale, finora unito, potrebbe rompersi, tra riformisti e radicali.
La premier Elisabeth Borne si mostra fiduciosa sulla possibilità di avere una maggioranza, ieri sera c’è stata una riunione all’Eliseo tra il presidente e i ministri implicati. Ma dietro le quinte, ci sono intense trattative e l’esito è molto incerto. L’ex primo ministro socialista, Bernard Cazeneuve, ha unito la sua voce ai sindacati per incitare a raccogliere le firme per un Rip, un referendum di iniziativa condivisa: non è mai stato convocato in Francia seguendo questa strada, che richiede l’adesione di un quinto del parlamento (185 parlamentari sui 925 di Assemblée nationale e Senato) più un decimo dell’elettorato, 4,87 milioni di cittadini-elettori.
Intanto, oggi, ci sarà una manifestazione sotto le finestre dell’Assemblé nationale, al momento del voto, per chiedere ai deputati di votare secondo le proprie convinzioni e non seguendo le direttive di partito. I deputati Lr sono divisi, perché molti sono eletti di provincia, dove le manifestazioni contro la riforma sono state forti e hanno un elettorato più popolare di Renaissance (anche se alzare l’età pensionabile era nei programmi della loro candidata alle presidenziali).
LA RIFORMA delle pensioni non sta solo catalizzando tutti gli scontenti, dall’inflazione al sentimento di declino, ma solleva anche una questione democratica importante: il problema della legittimità. Nel programma di Macron c’era la riforma delle pensioni e il governo del presidente si sente legittimo a presentarla. Ma Macron, che pure è arrivato in testa al primo turno, è stato eletto al ballottaggio per evitare una vittoria di Marine Le Pen. «Ne terrò conto» aveva detto la sera della vittoria. Una promessa non mantenuta. Il partito di Macron, senza maggioranza assoluta, ha bisogno di alleanze (trovate finora soprattutto a destra) per far passare le leggi. L’Assemblée nationale non ha però votato la riforma, sia per il metodo imposto dal governo (una procedura accelerata) che per l’ostruzionismo delle opposizioni. Una terza legittimità democratica è rappresentata dalle manifestazioni, organizzate dalle forze sindacali, con i sondaggi che confermano che più del 70% dei francesi è contro. «Avete indebolito la vostra legittimità democratica e così facendo marcate la riforma con il sigillo dell’illegittimità» ha affermato il capogruppo del Pcf all’Assemblée nationale, André Chassaigne
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EUROPA. A Strasburgo via libera alla direttiva sull’efficientamento energetico. Figuraccia Italia
Il voto ieri a Strasburgo - foto Ap
L’Italia, almeno la maggioranza che oggi governa il Paese, si sta chiamando fuori dall’Europa. Ieri, a Strasburgo, i parlamentari europei di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato contro la maggioranza del Parlamento europeo, che ha adottato il mandato negoziale sulla proposta di legge che prevede obiettivi di ristrutturazione degli immobili degli Stati membri per aumentarne l’efficienza energetica. L’obiettivo della proposta è una sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra e del consumo energetico entro il 2030, al fine di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. La posizione negoziale del Parlamento è stata approvata con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astensioni. A quanto si legge nella posizione adottata, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028. Per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche, invece, la scadenza è fissata al 2026.
Sempre secondo la posizione del Parlamento europeo, gli edifici residenziali dovranno raggiungere, come minimo, la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033. Per gli edifici non residenziali e quelli pubblici il raggiungimento delle stesse classi dovrà avvenire rispettivamente entro il 2027 (E) e il 2030 (D). Il Parlamento ha dato indicazioni di considerare le differenti situazioni di partenza in cui si trovano i parchi immobiliari nazionali, spiega una nota.
GLI INTERVENTI di miglioramento delle prestazioni energetiche (ad esempio sotto forma di lavori di isolamento o rinnovo dell’impianto di riscaldamento) dovranno essere effettuati al momento dell’ingresso di un nuovo inquilino, oppure al momento della vendita o della ristrutturazione dell’edificio. Ogni Paesi Ue potrà stabilire le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi approvando un Piano nazionale di ristrutturazione, incentivato anche con regimi di sostegno per facilitare l’accesso alle sovvenzioni e ai finanziamenti. «I regimi finanziari dovranno prevedere un premio cospicuo per le cosiddette ristrutturazioni profonde, in particolare nel caso degli edifici con le prestazioni peggiori, e sovvenzioni e sussidi mirati destinati alle famiglie vulnerabili» si legge ancora nella nota, che pare rispondere al governo italiano da cui si levano grida contro la misura, qualificata addirittura come un «attacco alle case degli italiani» da parte degli eurodeputati leghisti. Secondo cui l’Ue sarebbe «guidata da una sinistra sempre più ideologica e distante dalla realtà». Anche la delegazione di Fi ha votato, fa eccezione Lucia Vuolo, che ha votato sì. Il Ppe, di cui fa parte il partito di Berlusconi, s’è spezzato in tre tronconi, tra favorevoli, contrari e astenuti. Tra gli italiani, favorevoli alla direttiva la delegazione del Pd, dei Verdi e del M5S mentre Nicola Dant e Giosi Ferrandino, di Italia Viva-Renew, si sono astenuti. Sandro Gozi, anche lui in Renew e segretario del Partito Democratico europeo, ha invece votato sì. Anche il gruppo dei liberali, del resto, non ha votato compattamento a favore del testo: una minoranza si è divisa tra contrari e astenuti.
ESPRIME INVECE soddisfazione per il voto europeo Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, secondo cui «è la risposta migliore a un governo, quello italiano, che ha intrapreso una politica del terrore sul clima e sul risparmio energetico, totalmente incentrata su informazioni false. Si tratta di una grande opportunità che produrrà vantaggi occupazionali e aiuterà a contrastare la crisi climatica. Ora, utilizzando i finanziamenti del Fondo sociale per il clima, l’Italia elabori un piano strutturale ultra-decennale che preveda incentivi e detrazioni per le abitazioni a bassa classe energetica, con dotazioni più elevate per i redditi bassi». Soddisfatto anche Brando Benifei, capodelegazione del Partito democratico, impegnato con l’eurodeputata Patrizia Toia, prima firmataria di un emendamento il cui obiettivo è trovare risorse per facilitare la transizione e attenuare eventuali incidenze socio-economiche negative.
DIFFICILE CHE il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto segua le indicazioni di Bonelli. «La direttiva sulle “case green” approvata in Parlamento europeo è insoddisfacente per l’Italia. Anche nel Trilogo (con Consiglio e Commissione Ue), come fatto fino a oggi, continueremo a batterci a difesa dell’interesse nazionale». Mancherebbe, nel testo, «una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come “bene rifugio” delle famiglie italiane». Un rifugio colabrodo energetico che ci carica le spalle bimestre dopo bimestre di bollette fardelli
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CONGRESSO CGIL. Landini ha una via praticabile: va da papa Francesco ai movimenti e ai sindacati di base. Sovvertendo i rapporti di forza per un nuovo modello
Maurizio Landini a piazza San Giovanni
Come sostiene la teoria funzionalista, il Maurizio Landini segretario della Cgil è diverso da colui che ha guidato la Fiom. Le aspettative sulla sua elezione erano fin troppo alte. La Cgil è un «organizzazione» – parola introiettata da chi la dirige a ogni livello – troppo pesante e complessa per essere cambiata in profondità, perfino in quattro anni di primo mandato.
Se aggiungiamo la pandemia e la guerra, è chiaro che il mondo è cambiato molto di più rispetto al principale sindacato italiano. E questo sarà sicuramente un vantaggio per i prossimi, decisivi e ultimi quattro anni di Landini a capo della Cgil.
Il programma del congresso non deve rischiare – oramai come succede un po’ dappertutto – di diventare una convention americana o un talk show. Deve rimanere un luogo di discussione vero dove si delinea il futuro del maggior sindacato italiano. L’assenza – in un congresso molto orientato sull’Europa – dell’esperienza di lotta in Francia guidata dalla Cgt e in Inghilterra (lanciata da Mick Lynch e malvista dal Labour di Starmer) non sono un buon viatico.
Le critiche principali fatte al segretario generale sono sostanzialmente due. Per semplificare: da sinistra di essere stato troppo moderato perseguendo l’unità sindacale con Cisl e Uil e finendo per annacquare le lotte e le rivendicazioni storiche che lo hanno portato a essere eletto. Da destra, l’aver cercato un’alleanza sociale con il papa lasciando al suo funesto destino la sinistra partitica.
Due critiche che solo apparentemente sono opposte, come dimostra la
Commenta (0 Commenti)Come ogni anno, da quel tragico 13 marzo del 1987, il Comune di Ravenna ricorda le 13 giovanissime vittime dell’incidente sul lavoro avvenuto nei cantieri Mecnavi, all’interno della motonave gasiera Elisabetta Montanari.
Davanti allo scalone del Comune, il sindaco di Ravenna Michele de Pascale e la sindaca di Bertinoro, Gessica Allegni hanno ricordato le 13 vittime. Cinque di queste erano bertinoresi.
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