«A breve ci rivedremo con Elly per discutere della segreteria. Io spero che sia unitaria, ma tocca a lei fare una proposta. Sarebbe utile per dare un messaggio che domenica è uscito molto potente, che è quello che noi lavoriamo insieme e indossiamo tutti la maglietta del Pd».
IL GIORNO DOPO L’ASSEMBLEA Pd che ha incoronato Elly Schlein ma anche Stefano Bonaccini nel ruolo di presidente (in un clima euforico), il governatore emiliano è un fiume in piena. Viene intervistato da Bruno Vespa e poi a Metropolis su Repubblica.it e tocca tutti i temi in agenda. Compresi i nuovi capigruppo, su cui la trattativa tra i due non è ancora iniziata.
«È la segretaria che ha il diritto-dovere di fare delle proposte anche se poi ovviamente i gruppi hanno una loro autonomia decisionale. Credo che si troverà la soluzione migliore con persone autorevoli». Poi si dice favorevoli alle adozioni per le coppie lgbtqi+, loda Schlein sul salario minimo, auspica collaborazione con le altre opposizioni, prova a dettare la linea sui termovalozzatori che «servono», sprona alla battaglia a difesa della sanità pubblica, attacca le correnti: «Domenica c’è stato un tentativo vero di superarle». E invita a «far sentire a casa i tanti cattolici» dentro il Pd. Un Bonaccini a tutto campo, dunque, che ribadisce di essere a disposizione per «dare una mano».
DALLE PARTI DI SCHLEIN non tutti esultano per questa esuberanza del governatore. Anche perché la leader domenica, nella sua relazione, ha cercato di ritagliarsi un ruolo a tutto tondo, senza schiacciarsi troppo a sinistra: ha citato il Papa, Mattarella, Prodi e David Sassoli, ha ribadito che la sua sarà «una sinistra di governo» e la linea pro-armi all’Ucraina. E ha anche soffiato al suo ex rivale delle primarie una delle frasi chiave: «Ad ogni no a questo governo accompagneremo una proposta alternativa».
Certo però che la proposta di segreteria unitaria (su cui Bonaccini si è mosso senza chiedere il permesso alle correnti che l’hanno sostenuto) sarà difficile da respingere al mittente. Probabile dunque che un paio di nomi della sua area alla fine entreranno nella squadra della neosegretaria. Ma non saranno presi a scatola chiusa.
Chi conosce bene Schlein sa che sarà lei a scegliere tutti i nomi della squadra, sulla base di un rapporto fiduciario. I nomi che circolano sono quelli di Pina Picierno e Debora Serracchiani, la capogruppo in uscita alla Camera. Per le nuove guide dei gruppi di Camera e Senato si va invece verso un ricambio totale targato Schlein: saranno con grande probabilità due nomi riconducibili a lei. In pole position sono ci sono Francesco Boccia e Cecilia D’Elia per il Senato, Chiara Braga, Peppe Provenzano o Andrea Orlando per la Camera.
LA SFIDA DELLA LEADER SARÀ proprio questa: tenere insieme la carica di rinnovamento e radicalità che ha promesso (e che l’ha spinta alla vittoria) con l’esigenza di tenere unito il partito. Come si è visto già ieri quando Sandro Ruotolo, uno dei nomi di punta della nuova guardia, si è espresso contro il termovalorizzatore di Roma voluto dal sindaco Gualtieri. Sul dilemma tra chiarezza della linea ed esigenza di unità, ieri è arrivato il consiglio di Rosy Bindi: «Schlein ce la farà se non verrà sacrificata la chiarezza della linea sull’altare dell’unità…».
LA NUOVA DIREZIONE PD, varata domenica dall’assemblea, rappresenta un primo tentativo di mostrare il nuovo volto del partito. Spicca l’assenza dell’ex presidente Matteo Orfini, pochissimi gli ex renziani di Base riformista, da Giorgio Gori ad Alessandro Alfieri (Lorenzo Guerini è stato ripescato come presidente del Copasir). Tra le new entry, oltre alle sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo, e agli ex Articolo 1 (Speranza, Scotto, D’Attorre e Stumpo), ci sono molte donne e giovani.
A partire da Mia Diop, 21 anni, studentessa di Livorno che ha coordinato i volontari per Schlein e si è impegnata per lo ius soli; e Monica Romano, la prima transgender eletta al consiglio comunale di Milano, finita in queste ore sulle cronache per aver chiesto lo stop alla pubblicazione sui social dei video delle borseggiatrici sulla metro di Milano («È violenza spacciata per senso civico»).
Tra i nuovi ingressi anche i giovani segretari di federazione di Bologna e Genova, Federica Mazzoni e Simone D’Angelo, Marwa Mahmoud, 35 anni, consigliera Pd a Reggio Emilia e Victoria Oluboyo, consigliera comunale a Parma, impegnata sul fronte antirazzista. Una nuova generazione che si confronterà in direzione con storici big come Goffredo Bettini, Livia Turco, Barbara Pollastrini e Susanna Camusso. «Nessun vuoto nuovismo, vogliamo costruire un ponte tra generazioni», ha detto Schlein
Altri trenta migranti morti in acque internazionali, nella zona Sar libica. E anche stavolta si potevano evitare: l’allarme era partito venerdì notte e solo domenica una nave mercantile è riuscita a salvarne 17. Coordinava l’Italia ma ha perso tempo. L’accusa di Alarm Phone al governo Meloni: «Li hanno lasciati annegare»
LA STRAGE IN DIRETTA. Il barcone aveva chiesto aiuto venerdì notte. È naufragato domenica mattina. Roma e Bruxelles scaricano le responsabilità. «La missione Irini non può intervenire in acque libiche», afferma il portavoce della Commissione Ue Peter Stano. Ma la strage è avvenuta in acque internazionali. Luca Casarini (Mediterreanea): «In quella zona presenti navi militari, non sono intervenute»
A Pozzallo i sopravvissuti del naufragio davanti a Libia - Ansa
Sul naufragio che domenica si è portato via 30 vite è scontro tra le Ong e le autorità italiane ed europee. Queste sottolineano come il barcone fosse nella zona di ricerca e soccorso (Sar) libica che però è cosa ben diversa dalle acque territoriali. Tanto che il soccorso è stato coordinato da Roma. Partiamo dai fatti.
Domenica mattina nelle acque internazionali tra Libia, Malta e Italia un’imbarcazione con 47 persone si ribalta. Ne vengono salvate solo 17, poi trasferite a Pozzallo. Il centralino Alarm Phone (Ap) aveva lanciato il primo Sos più di 30 ore prima.
ALLE 2.28 ITALIANE della notte tra venerdì e sabato, dopo aver ricevuto una chiamata da bordo, avverte tutte le autorità competenti: Libia, Malta e Italia. La barca è
Commenta (0 Commenti)UN DECENNIO DI PAPATO. I dieci anni che hanno sconvolto la chiesa. E ora la sfida del sinodo. Il bilancio del pontificato: troppo poche le modifiche interne. Anche se è arrivata l’apertura sul celibato
Papa Francesco da solo durante il messaggio Urbi et orbi il 27 marzo 2020 all'inizio del lockdown
Dieci anni non bastano per tracciare un bilancio del pontificato di Francesco, peraltro ancora in corso e a «tempo indeterminato», nonostante ipotesi di dimissioni che sembrano più interessate che reali. Sono però sufficienti per osservare in quale direzione si è mossa la Chiesa cattolica. Anzi in quali direzioni, perché le traiettorie sono almeno due, e non sempre hanno viaggiato in maniera convergente e alla stessa velocità.
Sul versante sociale, l’accelerazione impressa da Bergoglio alla Chiesa è stata decisa, tanto da costituire un vero e proprio cambio di linea rispetto a quella rigidamente dottrinale del proprio predecessore, con cui c’è stata anche un’inedita coabitazione – papa regnante e papa emerito – fino a gennaio.
Fra i tanti temi di questa «conversione sociale», tre emergono su tutti. Il primo è quello dei diritti dei migranti, reso evidente da uno primi atti del pontificato: il viaggio a Lampedusa, ad appena tre mesi dall’elezione alla cattedra di Pietro. Replicato tre anni dopo con un nuovo viaggio in un’altra isola «porta d’Europa», Lesbo. Poi le dure critiche alla «fortezza Europa» e la risignificazione delle «radici cristiane» dell’Europa, non in chiave identitaria ed esclusivista, ma umanistica e solidale. Fino alle parole di questi ultimi giorni, non quelle ovvie sulla necessità di fermare i «trafficanti di esseri umani» – strumentalizzate dal governo Meloni, che le ha scolpite su una lapide posta a Cutro con l’intento di coprire i propri errori –, ma quelle scomode sull’«accoglienza gratuita», non a caso oscurate dai media di regime. Il secondo è quello dell’ambiente, sintetizzato nell’enciclica Laudato si’ (2015), nella quale Bergoglio ha strettamente collegato ecologia e giustizia sociale. Infine quello della guerra, con la condanna di qualsiasi ipotesi di «guerra giusta», del «possesso» delle armi nucleari («illegali, immorali, illogiche: vanno abolite») e in generale della produzione e del commercio degli armamenti.
Più lento e soprattutto meno lineare è apparso invece il cammino sul fronte interno, ovvero sul terreno di
Leggi tutto: I dieci anni che hanno sconvolto la chiesa. E ora la sfida del sinodo - di Luca Kocci
Commenta (0 Commenti)TERRITORIO E AMBIENTE. Alla fine piazza Bovio era gremita, la manifestazione contro il maxi rigassificatore atteso a fine mese nel porto cittadino, e in generale contro le fonti fossili e per la giustizia climatica, è stata il consueto successo di partecipazione. Contestato il sindaco Ferrari (Fdi): "Ipocrita, anche la tua premier lo vuole"
Un momento della manifestazione - Biagianti
Alla fine piazza Bovio era gremita, la manifestazione contro il maxi rigassificatore atteso a fine mese nel porto di Piombino, e in generale contro le fonti fossili e per la giustizia climatica, è stata il consueto successo di partecipazione. Non certo sporcato da un blitz, la notte scorsa, con le immagini di Giorgia Meloni e di Eugenio Giani proiettate sul palazzo Comunale e la fortezza del Rivellino, e accompagnate da svastiche ed epiteti no vax. Si sono subito dissociate sia la Rete no rigas no gnl che la Rete per il clima fuori dal fossile, organizzatori di una iniziativa che ha visto arrivare in città delegazioni di comitati e di associazioni ambientaliste locali di mezza Italia, insieme ai rappresentanti dei sindacati di base Usb e Cobas, di Legambiente, Greenpeace e Fridays for Future, delle tute blu Gkn e, quanto alle forze politiche, dalla presenza di M5s, Rifondazione-Pap e Verdi-Sinistra.
Soddisfatto Ugo Preziosi del comitato locale La Piazza, una delle anime della protesta generalizzata che da mesi e mesi sta accompagnando l’avvicinamento della grande nave rigassificatrice Golar Tundra al porto cittadino: “I comitati per l’ambiente sono tutti qui, non siamo soli in questa battaglia civile”. C’erano naturalmente anche i piombinesi, sempre più preoccupati di fronte alla prospettiva di vivere per tre anni con un maxi rigassificatore a poche centinaia di metri dalle abitazioni. Non per caso in corteo c’erano anche i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
Quando i circa tremila manifestanti sono arrivati in piazza Bovio, dopo una pacifica marcia a suon di tamburi, fischietti e bandiere della pace in una città blindata dalle forze dell’ordine, c’è stato un minuto di silenzio per i migranti annegati a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Poi gli interventi dal palco, compreso quello del sindaco Francesco Ferrari, di Fdi, che però ha smesso di parlare quando dalla folla gli è stato urlato: “Ipocrita, anche la tua premier lo vuole”.
In corteo anche Maurizio Acerbo del Prc: “E’ importante dire no al rigassificatore, sul sì all’impianto si è creata un’unità nazionale che va dal Pd a Calenda fino alla Meloni, che ha tradito Piombino. Invece di comprare il gas liquido dagli Usa, estratto con la tecnica del fracking vietata in Europa, e pagandolo tre, cinque volte di più di quello russo, bisogna investire e creare lavoro nella filiera delle fonti rinnovabili”. Soddisfatto anche Eros Tetti dell’Alleanza Verdi Sinistra: “La lotta compatta dei piombinesi è un esempio per tutti. La risposta alla crisi climatica in corso non può essere certo quella dei rigassificatori”
Commenta (0 Commenti)In 10mila sfilano sulla spiaggia di Cutro con mazzi di fiori e senza sorrisi. Mimmo Lucano guida il corteo dietro alla croce fatta con i legni del naufragio che ha ucciso 76 migranti, gli ultimi due ritrovati ieri. Dolore, rabbia e una promessa: non finisce qui
La manifestazione svoltasi a Steccato di Cutro - Ansa
Una croce in legno guida il fiume umano di tre chilometri nei campi di finocchio di Steccato. L’hanno costruita con i resti del caicco naufragato. La portano a spalla, alternandosi, i manifestanti. Primo fra tutti, Mimmo Lucano. È una moltitudine di 10mila anime. È colorata ed in parte taciturna. Ci sono silenzi che strillano più delle urla. In testa i gonfaloni dei Comuni e quello dei partigiani. In tanti recano in mano mazzi di fiori. E non ci sono sorrisi. Ci si saluta sottovoce quando nel corteo si ritrovano amici e compagni dopo tanto tempo. Volti spenti, velati di tristezza, scorrono per le vie intitolate a capitali extraeuropee. È uno sciame senza frontiere, spontaneo, estraneo alla logica degli apparati, introdotto dallo striscione d’apertura «Fermare la strage subito». Lo reggono gli organizzatori: Cgil, Arci, Anpi, Il manifesto, Amnesty International, Comunità di Sant’Egidio, Caritas e le altre sigle storiche del movimento antirazzista italiano.
TRA I TANTI SINDACI presenti, marcia la fascia tricolore del capoluogo regionale. «Era doveroso esserci oggi – spiega Nicola Fiorita, primo cittadino di Catanzaro -. Rincuora il fatto di ritrovarsi uniti. La speranza è che non dovremo mai più vivere giornate tristissime come questa». Sfila lo spezzone di Emergency, corposa la delegazione di medici. «È inaccettabile che non ci sia un coordinamento in mare delle istituzioni preposte», tuona Mara, psicologa di Msf. Una lunga onda di stoffa blu fende la nutrita pattuglia di Mediterranea: tre pullman da tutta Italia. «Dopo tanti anni questo è il posto e il momento giusto dove essere, un luogo in cui poter condividere un comune sentire, ma soprattutto dissentire dall’indegna rappresentazione offerta dal governo. Oggi qui prende corpo un aspetto umano e prepolitico che diventa essenziale per qualsiasi prospettiva di cambiamento», sottolinea Sandro Metz, armatore sociale della Mediterranea Saving Humans. Insieme a lui, il marinaio eretico Luca Casarini: «Riaffermiamo un principio di istituzionalità dal basso, una legalità altra. L’Italia è un paese di transitanti. Lavoriamo insieme per costruire ferrovie sotterranee che consentano a milioni di esseri umani di raggiungere gli approdi che vogliono. Mi sono commosso vedendo il lancio di peluche contro le auto blu del governo Meloni. Abbiamo bisogno di simboli e riti che comunichino il senso delle lotte che portiamo avanti».
Avanzano le bandiere rosse della Cgil meridionale. «Riprende voce chi non accetta la disumanizzazione. Il governo si è così screditato dinanzi all’opinione pubblica e si è indebolito al suo interno. Per questo motivo ritengo che sia stato un errore per la Cgil invitare la premier Meloni al prossimo congresso di Rimini, un fatto che non avveniva dal 1996. Ma siamo pronti a contestarne l’arrivo», ci dice Delio Di Blasi, dirigente della sinistra Cgil.
LA COPERTA DELLA MEMORIA colorata e solidale di Lampedusa introduce gli attivisti impegnati nei soccorsi nel canale di Sicilia. «Oggi registriamo un cambio di passo che ci dà la forza di perseguire nuovi obiettivi: gli accessi legali per i migranti, fuori dal meccanismo perverso delle quote; la cancellazione della legge Bossi-Fini, l’allargamento dei corridoi umanitari. Infine, dobbiamo fermare l’assurda guerra politico-giudiziaria alle organizzazioni che prestano soccorso in mare», rimarca Francesco Piobbichi, di Mediterranean Hope.
Un raggio di sole squarcia il cielo grigio mentre il corteo irrompe nella spiaggia della morte. Il vento è impetuoso come nella maledetta notte del 26 febbraio. Gira a ponente e solleva onde alte due metri. Pare rivivere il dramma dei 180 naufraghi del «Summer Love». I famigliari delle vittime (ieri la 76esima è stata restituita dalle acque) e dei dispersi depongono corone di fiori intorno alla croce di legno conficcata nella sabbia. Un filo di rose rosse cinge la battigia. Ci sono i preti cattolici e gli imam. È uno straordinario momento emotivo. I peluche, simbolo della protesta, sono deposti sulla sabbia. Alle 16,50 i manifestanti formano un tappeto umano in segno di raccoglimento. A seguire, dalle potenti trombe vintage, restaurate dai militanti della «Base» di Cosenza, parte la girandola degli interventi improvvisati. «Nelle ore successive al naufragio è avvenuta una passerella inutile. C’erano solo quattro sommozzatori su uno specchio di mare vastissimo. Ho visto carabinieri con gli scarpini lucidi arrancare sulla spiaggia», ricorda Nando Fazio, soccorritore della Protezione civile. Gli fa eco Michelangelo Galati di Equosud Reggio Calabria: «Sono uno di quelli che hanno avvertito l’impulso naturale di correre sulla spiaggia nella speranza di salvare vite umane. Ho trovato il passaporto di un ragazzo pakistano che ho consegnato alle autorità. Adesso vorrei tanto sapere quale sia stata la sorte di questa persona».
«UNA MANIFESTAZIONE riuscita, unita e plurale. Non era facile. Diecimila testimoni del popolo dell’umanità, espressione anche delle 40 associazioni che hanno depositato un esposto in procura a Crotone. Ma oggi è solo il primo passo. Adesso bisogna costruire una grande manifestazione nazionale», annuncia Filippo Sestito dell’Arci. Arrivederci a Roma
Commenta (0 Commenti)Netanyahu parte, le proteste degli israeliani lo inseguono. Lasciati alle spalle i blocchi stradali che giovedì hanno rischiato di non farlo imbarcare per l’Italia, ieri – mentre incontrava il ministro Urso (con il primo Forum economico per le imprese italiane con interessi in Israele) e poi la presidente del consiglio Meloni – il premier israeliano le proteste se le è ritrovate a Roma.
Duecento tra israeliani ed ebrei italiani in Piazza Santi Apostoli hanno ribadito gli slogan sentiti a Tel Aviv e Gerusalemme, ma anche nelle manifestazioni organizzate nelle città di mezzo Occidente: «Democrazia», in riferimento alla riforma della giustizia immaginata dal governo di ultradestra guidato da Bibi e che vorrebbe consegnare all’esecutivo i poteri autonomi della magistratura.
PROTESTE che spaccano le comunità ebraiche all’estero. Quella romana non fa differenza, con la sua presidente Dureghello che giovedì accoglieva Netanyahu ribadendo la vicinanza al conservatorismo israeliano. Contraddizioni che accompagnano Israele fin dalla sua nascita e che ieri, nel cordialissimo incontro con Giorgia Meloni, hanno raggiunto nuovi apici.
A capo di un partito post-fascista, si è sentita dire da Netanyahu quanto sorprendente sia la sua leadership. Parole già dedicate anche ad altri leader, spesso illiberali, in alcuni casi apertamente antisemiti, o provenienti da una storia politica di chiara estrazione fascista (vedi il gruppo Visegrad, uno dei principali asset europei di Tel Aviv).
Cortocircuiti ideologici che di fronte alle potenzialità del business si spengono senza troppi mal di pancia. Negli otto minuti di conferenza stampa congiunta sono emerse tutte, quelle potenzialità. Un elenco dettagliato che nasconde altri cortocircuiti.
Meloni lo ha detto subito: «Accrescere il livello di cooperazione nei settori più innovativi. Intelligenza artificiale, cibernetica, cybersicurezza e tecnologia applicata all’agricoltura: abbiamo parlato molto, a fronte della crisi idrica che l’Italia sta vivendo».
DOPOTUTTO, ha aggiunto, «Israele ha fatto un lavoro straordinario trasformando quella che era una possibile debolezza in un grande punto di forza». La narrativa che dimentica quel che era la Palestina prima del 1948: uno dei territori più fertili della regione, esportatrice di agrumi e verdure in tutto il mondo arabo.
Dal 1967 Israele controlla ogni risorsa idrica, nel proprio territorio e in quelli palestinesi occupati, in violazione del diritto internazionale, provocando il prosciugamento del fiume Giordano e la morte del mare di Gaza.
E poi la cybersecurity, fiore all’occhiello israeliano, che non poche grane ha provocato negli ultimi anni: start up e aziende che hanno esportato a regimi molto poco democratici strumenti di spionaggio e controllo sociale che hanno allargato le maglie delle repressioni interne. Vedi Pegasus, della Nso, il caso più eclatante, creato da ex funzionari dell’esercito e operativo grazie alle autorizzazioni governative.
L’Italia si accoda, il prodotto interessa e Meloni promette una crescita della cooperazione, da discutere in «un nuovo incontro intergovernativo tra Italia e Israele, non si tiene dal 2013, il prossimo si dovrebbe svolgere in Israele».
LE FA ECO Netanyahu che vede «spazio per un’enorme collaborazione»: «Si possano fare molte cose: collaborazione sull’acqua e le risorse idriche perché Israele ha risolto il problema della siccità». Ma soprattutto energia, con l’Italia a fare da «hub di fornitura di gas (israeliano) verso l’Europa».
Su questo Bibi ha premuto l’acceleratore, forte delle necessità crescenti di un’Europa che vorrebbe sganciarsi dalla Russia e di un’Italia che vaga nel Mediterraneo a caccia di accordi energetici.
Intanto dall’altra parte di quel mare, un palestinese veniva ucciso da un colono. Abd al-Karim Badie al-Shaikh, 21 anni, è stato freddato nella colonia di Ma’ale Shomron. Secondo l’esercito israeliano, si era introdotto con un coltello.
L’ULTIMA di una lunga serie di violenze che fanno del 2023 l’anno più sanguinoso dal 2000 (quando iniziò la seconda Intifada): 13 israeliani e 77 palestinesi uccisi. Da esercito e coloni.
Su queste uccisioni Meloni ha tenuto di non dover dire nulla, nemmeno di fronte a raid militari diurni nelle città palestinesi o dei pogrom dei coloni: «Ho portato la solidarietà italiana e la condanna di fronte agli attacchi terroristici». I morti di una parte sola