Tre missive per chiedere a quanti hanno responsabilità istituzionali di tenere fede al proprio ruolo, contrastando il progetto di frantumazione del Paese
Caro presidente, caro segretario e cara segretaria di partito, caro e cara parlamentare della Repubblica “le esprimiamo tutta la nostra preoccupazione per la possibile, e prossima, approvazione definitiva del ddl sull’Autonomia differenziata da parte della Camera dei Deputati”.
Questo l’incipit dello scritto inviato ai presidenti di Regione, ai responsabili dei partiti di opposizione, ai responsabili dei gruppi parlamentari non di maggioranza, firmato dai componenti il coordinamento de La Via Maestra: Maurizio Landini – segretario generale Cgil, Raffaella Bolini – vicepresidente Arci, Giulio Marcon – Portavoce campagna Sbilanciamoci!, Andrea Morniroli – Forum Diseguaglianze Diversità. Lo scopo dell’iniziativa è netto e chiaro: è quello che vedrà Piazza Dante a Napoli il prossimo 25 maggio riempirsi di quanti e quante camminano sulla e per La Via Maestra: la difesa e la piena attuazione della Costituzione.
Coloro che hanno giurato sulla Carta nata dalla resistenza al nazifascismo dovrebbero innanzitutto attuarla e poi difenderla. È a questo “imperativo categorico” che richiamano i firmatari della missiva, sottolineando la pericolosità del dl Calderoli: così si metterebbe a rischio l’unità del Paese. Non solo, siccome nel testo del ministro leghista è scritto nero su bianco che l’implementazione dell’autonomia dovrà avvenire a spesa invariata; siccome non solo non si tiene conto dei divari territoriali che già esistono ma Meloni ha anche azzerato – invece che implementarlo – il fondo per la riduzione dei divari, il risultato sarà – nella malaugurata ipotesi quel testo entrasse in vigore – l’abbandono di intere aree del Paese.
Scrivono infatti i firmatari: “Dare attuazione all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – nelle condizioni date, con le modalità proposte e a risorse invariate – costituirebbe un attacco all’unitarietà dei diritti civili e sociali fondamentali delle cittadine e dei cittadini, destinato ad ampliare in maniera irreversibile le diseguaglianze e i divari esistenti e a ridurre ulteriormente la capacità del sistema pubblico di garantire servizi essenziali e universali alla popolazione”.
Il paradosso della proposta sta nel fatto che con la stessa norma da un lato si frammenterebbe ancor di più l’Italia; dall’altro il governo nazionale rinuncerebbe ad aver voce in capitolo in materie che hanno incidenza a livello sovranazionale. Si legge ancora: “Riconoscere una competenza regionale esclusiva su materie di rilevanza strategica, e non suscettibili di razionamento territoriale, rappresenterebbe la rinuncia ad un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del Paese”. Di cosa si parla? Ad esempio di strategie energetiche, di transizione digitale, di trasformazioni del sistema produttivo per contrastare l’emergenza climatica.
La Costituzione è la carta dei diritti di cittadinanza: costituisce i cardini sui quali si fonda la democrazia rinata dopo la tragedia del fascismo e del nazismo. Per questo Landini, Bolini, Marcon e Mormiroli richiamano: “Riteniamo profondamente sbagliato minare tre pilastri, su cui si fonda la coesione e la tenuta stessa nostra società, come l’istruzione e la sanità pubblica oltre che il Contratto collettivo nazionale di lavoro”.
Il destino di declino e difficoltà del Paese non è ineluttabile, è necessario andare su strade diverse da quelle indicate da Meloni e Calderoli. E chi ha assunto incarichi su mandato del popolo sovrano ha il compito, e dovrebbe avere la responsabilità, di operare con efficacia e onore. “In definitiva, siamo convinti che solo rinsaldando l’unità nazionale, valorizzando l’interdipendenza tra economia settentrionale ed economia meridionale, rafforzando il welfare pubblico e universalistico, e proiettandoci come unico grande ‘sistema Paese’ in un’Europa sempre più unita, potremo giocare un ruolo nel mondo complicato in cui ci è toccato di vivere”.
Che fare è chiaro: evitare che la Camera approvi quel testo. Certo, i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza sono tali che sarà difficile ottenere il risultato. Per altro sarebbe bene che chi è al governo del Paese ricordasse che la maggioranza parlamentare non coincide affatto con la maggioranza dei cittadini e delle cittadine, tanto meno in questa legislatura. Allora la richiesta è netta: “Impedire che vengano compromessi, in maniera irrimediabile, il patto di cittadinanza e le prospettive stesse dell’Italia”. E qualora il testo venisse approvato, anche in questo caso la richiesta è netta: “Vengano attivati tutti gli strumenti democratici a disposizione per evitare le che le prospettive dell’Italia siano compromesse in maniera inevitabile”. Il sindacato e le organizzazioni del cartello La Via Maestra la loro parte hanno già cominciato a farla, la richiesta è che altri facciano altrettanto. Anche le Regioni che in virtù del secondo comma dell’articolo 127 della Costituzione possono promuovere la questione della legittimità costituzionale di fronte alla Suprema Corte, rispetto a leggi che ledono la sfera di competenza regionale.
Le lettere sono partite, l’obiettivo è chiaro: difendere la Costituzione, sostenere i diritti di cittadine e cittadine ovunque siano nati, salvare il Paese da strategie che potrebbero non solo frantumarlo ma portalo ancor più sulla via del declino. La Via Maestra camminerà sulle gambe di tanti e tante lungo le strade di Napoli sabato 25 maggio. L’augurio è che al loro fianco trovino anche presidenti di Regioni, segretari di partito, parlamentari della Repubblica fedeli e coerenti al giuramento sulla Costituzione.
Verbale dell’Assemblea Regionale dell’11 maggio 2024
Sabato 11 maggio si è svolta a Parma l’Assemblea Regionale di “Insieme a Sinistra” Emilia Romagna. Erano presenti 32 aderenti, con numerose assenze giustificate da altri impegni concomitanti.
In apertura di riunione, dando per acquisita la base ideale definita nell’Appello sottoscritto lo scorso settembre (Allegato 1), sono state illustrate da Manuela Amoretti le iniziative realizzate dal settembre 2023 ad oggi , tra cui tre incontri regionali dedicati rispettivamente ai temi della pace e del disarmo, della tutela e del rafforzamento su scala europea del sistema sanitario pubblico e universale, del ruolo delle reti civiche nel rafforzamento della sinistra.
Sono poi state illustrate le tappe e il senso del percorso costitutivo di “Insieme a Sinistra” come Associazione: un passaggio con il quale si intende assicurare, tramite regole chiare, condivise e semplici, un funzionamento democratico al nostro gruppo (a maggior ragione dopo l’esperienza che una parte di noi ha vissuto in Coraggiosa) .
Rita Tonus ha poi letto la proposta di Statuto, che è stata meglio precisata all’art. 3 al quinto rigo (“genere” invece di “generi” su proposta di Maria Cristina Ossiprandi.
E’ stato poi letto l’elenco dei soci fondatori (vedi allegato 2) a cui poi è spettato il compito, durante una breve riunione ad hoc, di eleggere il Comitato Direttivo regionale, composto da persone (Allegato 3) le quali hanno a loro volta nominato Presidente Paolo Trande, Vice Presidente Enathe Marekabiri, Segretaria e Tesoriera Rita Tonus.
Tutte queste responsabilità sono da intendersi come transitorie (quindi soggette a conferma o modifica), fino alla prima Assemblea dei Soci che si svolgerà presumibilmente dopo l’estate al termine della prima campagna di tesseramento soci.
Dopo questi adempimenti si è poi passati alla discussione sullo scenario politico nazionale e internazionale, in vista dei primi appuntamenti elettorali dell’8 e 9 giugno.
Amoretti ha richiamato come l’evoluzione della situazione interna ed internazionale rafforzino le ragioni della nostra nascita e della nostra presenza, volta da un lato a contribuire, con il nostro sostegno ad Alleanza Verdi e Sinistra- Reti civiche, alla unificazione del mondo di sinistra pacifista, ambientalista e civico, che non si riconosce né nel Partito Democratico né nel Movimento 5 Stelle.
Amoretti ha rimarcato che la richiesta, accettata dopo il confronto interno, di messa a disposizione di Paolo Trande come candidato alle prossime elezioni europee nella lista AVS–Reti civiche è un riconoscimento sia alla qualità del suo profilo politico, sia al valore della nostra associazione.
E’ stato proposto di sostenere 3 candidati (2 uomini e 1 donna).
Paolo Trande sara’ sostenuto non solo in qualità di Presidente della nostra associazione ma anche per il suo impegno coerente e coraggioso a difesa della sanità pubblica, in cui è impegnato da sempre, dei “beni comuni” e della pace.
Allo stesso modo andrà il nostro sostegno a Mimmo Lucano (co-capolista nella nostra circoscrizione), simbolo ed esempio di impegno nell’accoglienza, nella costruzione di sviluppo delle aree disagiate e nel ripudio delle armi e della guerra (proprio in coerenza con questa sua e nostra visione ha rifiutato un’elezione sicura in altre liste) .
Il sostegno ad una candidatura femminile sarà rivolto, salvo possibili accordi con la candidata Verde a Modena, per ragioni territoriali, a Jessica Cugini, veronese, giornalista di Nigrizia, da anni impegnata nei movimenti pacifisti e per la giustizia sociale .
Diversi gli interventi nella discussione.
Silvia Bartolini ha sottolineato la necessità di avere un presidio il più possibile alto sul tema della pace e del disarmo, vista da un lato la coerenza e la nettezza delle posizioni nostre e di AVS in materia, sia nel richiamo che può esercitare la Lista Santoro su una parte del nostre elettorato potenziale.
Enrico Montanari ha richiamato la necessità di potenziare la nostra iniziativa sui temi che più concretamente toccano la vita dei cittadini e delle cittadine, in particolare quelli che più sono in difficoltà. Tema di fondo resta quello della tutela della sanità pubblica, messa ora in discussione e sull’orlo di una crisi irreversibile.
Primo Giroldini ha messo in rilievo la tenacia di cui dobbiamo dare prova nel cercare di favorire l’unità dell’intero fronte progressista, rendendo chiare le nostre posizioni distinte rispetto a quelle di PD e Movimento 5 stelle, ma sforzandoci sempre di sottolineare più che le divisioni, i temi e le battaglie che possono unirci.
Paola Grandi si è soffermata sul fatto che una parte significativa della comunità accademica, studenti e docenti, insieme al settore della ricerca, si è attivata per manifestare il proprio dissenso nei confronti della politica che favorisce l'uso delle armi anziché della diplomazia. Nei documenti inviati ai rettori e ai presidenti degli Enti di ricerca, si è sottolineata l'importanza di vigilare sull'utilizzo della ricerca scientifica e tecnologica a fini bellici, con particolare enfasi sulla richiesta di sospendere gli accordi con le università israeliane fino a quando queste non condanneranno fermamente l'eccessivo uso della forza da parte dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Ha proposto di redigere un documento di solidarietà al movimento di giovani che si stanno mobilitando, anche in Italia , di condanna dell'uso delle armi per risolvere le controversie, la fornitura di armi a Israele (e non solo) e l'impiego indiscriminato delle tecnologie e della ricerca a fini bellici. Inoltre ha proposto di organizzare incontri pubblici sulla pace, dando voce ai giovani attivi nei movimenti pro Palestina, per instaurare un dialogo costruttivo e magari individuare percorsi comuni.
La discussione è stata conclusa da Paolo Trande che ha parlato delle ragioni che lo hanno convinto a dare la propria disponibilità alla campagna elettorale entrando nella lista di AVS, del confronto politico-elettorale di questa fase e ha concluso ringraziando per il sostegno della associazione e ha invitato tutti alla mobilitazione per AVS, Mimmo Lucano ed egli stesso.
17 vittime, 70mila persone e 16mila imprese coinvolte, 8,5 miliardi di euro di danni. “Ristori fermi al palo”, la denuncia di Massimo Bussandri della Cgil
23 fiumi esondati, 540 chilometri quadrati di territorio allagati. E poi ancora 17 morti, 70mila persone coinvolte, gente che ha perso tutto o parte della propria quotidianità, casa, macchina, lavoro, azienda, coltivazioni, allevamenti. 16mila le imprese coinvolte. A stilare l’elenco dei danni provocati dall’alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023 è il documento della Commissione tecnica guidata dal professor Armando Brath e nominata dalla Giunta Bonaccini. Un organo al quale è stato chiesto, sostanzialmente, di aiutare la ricostruzione, ripensando il modello, affinché non accada mai più.
“A partire dalla serata del giorno 1 maggio 2023 fino al giorno 3 maggio 2023 – è scritto nelle prime righe del Rapporto – il territorio della Regione Emilia-Romagna è stato interessato da eventi idro-meteorologici di eccezionale intensità che hanno determinato una grave situazione di criticità particolarmente nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna, Modena e Reggio Emilia”.
“Nei giorni 16-17 maggio si è verificato un ulteriore evento meteorologico estremamente intenso che, oltre a interessare i territori delle province romagnole sopra indicate e di quella di Bologna, ha colpito intensamente anche il territorio della provincia di Rimini”.
“Questi eventi meteorologici eccezionali hanno provocato numerosissime alluvioni e frane con conseguente isolamento di molte località, evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni, gravi danni a infrastrutture lineari, ad aziende agricole, a edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica e alla rete dei servizi essenziali” (per leggere il rapporto clicca QUI).
Leggi tutto: Emilia-Romagna: un anno dall’alluvione, promesse nel fango - di GIORGIO SBORDONI
Senato della Repubblica
Senatrice a vita Liliana Segre
Signor Presidente, Care Colleghe, Cari Colleghi,
continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare.
Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla. Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo – di ogni colore – non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente.
Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo.
In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che – per usare le parole del Leopardi – “dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per tentare di scrutare quell’ “Infinito” nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da quest’altezza si potrà vedere come meglio garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili.
Dunque occorrono, non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione. Non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato. Poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere. Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti.
Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale. La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio (penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di prevalere) e da esporci con altissima probabilità al secondo. Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato.
Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%. Trattando questa materia è inevitabile ricordare l’Avvocato Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione la battaglia della vita. Per ben due volte la Corte Costituzionale gli ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito nell’art. 48 della Costituzione. E dunque, mi chiedo, come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destinata a produrre quella stessa “illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare” ?
Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare.
E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza.
Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket, con il n° 1 candidato a fare il capo del governo ed il n° 2 candidato a insediarsi al Quirinale, avendo la certezza matematica che – sia pure dopo il sesto scrutinio (stando all’emendamento del Sen. Borghi) – la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto.
Ciò significa che il partito o la coalizione vincente - che come si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato (nel caso in cui competessero tre o quattro coalizioni, come è già avvenuto in un recente passato) - sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento.
Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi, l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado. Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo – che proponeva il presidenzialismo – un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori. Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto “premierato”.
Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.
Istat: tra poveri, a rischio e con gravi deprivazioni, si sfiorano i 20 milioni di donne e uomini. Barbaresi, Cgil: “Emergenza da affrontare subito”
Se diminuiscono i redditi reali delle famiglie, italiane come si fa ad affermare che le stesse stanno meglio? Ebbene, è proprio questo quel che è accaduto: mentre l’Istat pubblicava il Report su “Condizioni di vita e reddito delle famiglie italiane 2023” vari esponenti del governo e della maggioranza celebravano il tripudio per il miglioramento delle condizioni economiche delle stesse. I numeri on mentono, ma se manipolati possono trarre in confusione. E allora cerchiamo di leggerli per bene questi dati.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica nel 2023 il 22,8% della popolazione è a rischio povertà o forte deprivazione sociale, in leggero calo rispetto all’anno precedente e contemporaneamente aumenta leggermente la quota di popolazione in grave deprivazione materiale e sociale (4,7% rispetto al 4,5%). Quel che forse andrebbe considerato con assai maggiore attenzione di quanto non risulta essere stato fatto è un passaggio del Report: “Nel 2022 il reddito medio delle famiglie (35.995 euro) aumenta in termini nominali (+6,5%), mentre segna una netta flessione in termini reali (-2,1%) tenuto conto della forte accelerazione dell’inflazione registrata nell’anno”. Siccome ben sappiamo come l’inflazione pesi assai di più sui redditi medio bassi, quanto davvero è diminuito il potere d’acquisto delle famiglie che meno guadagnano?
Meloni e il suo governo, aiutati dagli uomini e dalle donne della maggioranza, esultano per il lieve calo di quanti rischiano la povertà, dimenticandosi degli altri numeri. Il richiamo netto arriva dalla Cgil: “Ancora una volta l’Istat certifica un’emergenza che deve essere affrontata urgentemente: 13,4 milioni di persone sono a rischio povertà ed esclusione sociale. Seppur in calo rispetto all’anno scorso per l’aumento dei redditi nominali delle famiglie, che subiscono però una netta flessione in termini reali perché erosi dall’inflazione, resta un dato allarmante”. È quanto ha dichiarato la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi, appena i dati sono stati resi pubblici.
Agli oltre 13 milioni di persone a rischio povertà – che certo bene non se la passano – , a quanti si trovano in una condizione di grave deprivazione, vanno purtroppo aggiunti gli uomini e le donne che si trovano in una condizione di povertà assoluta. Ebbene, secondo le stime preliminari sempre dell’Istat: “Nel 2023, le famiglie in povertà assoluta si attestano all’8,5% del totale delle famiglie residenti (erano l’8,3% nel 2022), corrispondenti a circa 5,7 milioni di individui”.
È colpa dei salari bassi? Ricordiamo che il governo ha impedito non solo l’approvazione ma la stessa discussione parlamentare di una norma sul salario minimo legale. È colpa della sempre maggiore precarizzazione del lavoro? Ricordiamo che con il decreto lavoro dello scorso anno la presidente Meloni e la ministra del Lavoro Calderone hanno ulteriormente tolto vincoli alla precarietà. Per contrastare questa deriva la Cgil ha promosso ben due quesiti referendari. Sarà l’uso smodato del part-time involontario che colpisce soprattutto le donne, sta di fatto che l’aumento del numero degli occupati non fa diminuire né i poveri assoluti né salva dal rischio impoverimento. Infatti si registra la diminuzione della popolazione in condizione di bassa intensità di lavoro (-9,2%), e contemporaneamente un aumento della quota di popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (+4,4%).
L’area con la quota di individui a rischio di esclusione sociale (39%) e povertà più alta è il Mezzogiorno (32,9 %) il Nord Ovest si attesta al 13 e all’11,1%, il Nord Est all’11 e 8,7%, mentre al Centro si registra il 19,6 e 16. “In questo scenario – ha aggiunto la dirigente sindacale – l’autonomia differenziata aggraverà ulteriormente la situazione nel Mezzogiorno, dove anche l’incidenza della povertà è maggiore, le diseguaglianze nel Paese sono destinate ad aumentare”.
Sempre con il decreto lavoro, lo scorso anno, il governo ha abolito il Reddito di cittadinanza, facendoci raggiungere il triste primato di essere pressoché l’unico Paese europeo a non avere strumenti di contrasto alla povertà. E cosa stia accadendo con i nuovi strumenti non è dato sapere. Non è un caso che Barbaresi abbia ricordato: “Si diventa poveri anche perché non ci sono adeguate politiche di contrasto ai fattori che determinano la povertà: politiche inclusive fatte di percorsi che prendano in carico e supportino le persone ad uscire dalla marginalità, che permettano ai servizi pubblici di occuparsi dei bisogni complessi delle persone e delle famiglie disagiate. Bisogni non solo economici ma anche abitativi, sociali, sanitari, educativi, assistenziali”. “Il governo Meloni – ha aggiunto la segretaria confederale – non solo ha cancellato il Reddito di cittadinanza, ma è contro il salario minimo, ha azzerato i fondi per gli affitti e per la morosità incolpevole, non investe nell’edilizia residenziale pubblica”.
Si è appena chiusa la settimana degli stati generali delle famiglie; la settimana in cui la ministra per la Matalità, la famiglia e le pari opportunità ha affermato che “la maternità è il vero lavoro socialmente utile”. Oltre a essere un’affermazione altamente discutibile, la ministra si è dimenticata di aggiungere che questo esecutivo ha cancellato oltre mille posti di asilo nido previsti dal Pnrr, non ha aumentato i congedi di paternità, e ha deciso di non dare attuazione al Family Act, lasciando solo – e per fortuna – l’Assegno unico e cancellando tutto il resto.
A questo proposito la dirigente sindacale ha sottolineato: “Un sostegno importante alle famiglie è l’Assegno unico universale per i figli (Auuf), una misura dalla Cgil sempre supportato e che ha riguardato 7,8 milioni di beneficiari. Tuttavia non si può trascurare quella fascia sia limitata alle sole famiglie che nel passaggio dal vecchio sistema degli Anf al nuovo hanno subito delle perdite economiche. Tra loro particolarmente grave è la situazione delle persone migranti con nucleo familiare nel Paese di residenza, che rimangono escluse dalla nuova misura: un vulnus che da tempo chiediamo sia affrontato e risolto”.
Rispettare e dare attuazione alla Costituzione. Nella Carta, infatti, è messo nero su bianco che esistono diritti di cittadinanza come istruzione e sanità che, se davvero esigibili, concorrerebbero a arginare il rischio impoverimento. L’appuntamento è già scritto in agenda: il 25 maggio a Napoli a Piazza Dante per una nuova tappa de La Via Maestra “Per una Italia capace di futuro, per una Europa giusta e solidale”.
Conclude Barbaresi: “Rendere esigibile il diritto di tante persone all’inclusione sociale, economica e a una condizione di vita migliore è una priorità per il nostro Paese”.