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Dopo l'addio al gruppo europarlamentare di Farage sì degli iscritti M5S all’ingresso nell’Alde, ma la nuova alleanza non va in porto. Verhofstadt ci ripensa: «Troppe differenze»

Prima che arrivi la bocciatura dell’Alde, Beppe Grillo pare avercela fatta ancora. L’uomo che accentrando comunicazione e strategie politiche riesce a tenere insieme gli opposti e annullare le contraddizioni del suo movimento, punta a confermarsi come partito pigliatutto e porta l’affondo a sorpresa. Fuori dall’Efdd, gruppo europarlamentare che si basa sull’asse con lo Ukip di Nigel Farage. Via alla clamorosa alleanza coi liberali, che apre le porte dei salotti buoni continentali. La svolta viene annunciata in una domenica di fine feste natalizie quando gran parte della nutrita pattuglia di 17 europarlamentari grillini casca letteralmente dal nulla.

Il testo che sigilla l’intesa risale a 4 giorni prima: insiste sulle riforme, sui valori liberali comuni, sulla protezione del mercato continentale, sul rilancio delle piccole e medie imprese. Il documento implica il sostegno del M5S alla candidatura del capogruppo Guy Verhofstadt alla presidenza del parlamento europeo. Anche la manovra dell’ex premier belga è ardita. Imbarca il partito che definì «inaffidabile» in un post su Fb poi cancellato.

Per il M5S ha gestito l’operazione David Borrelli, europarlamentare molto vicino a Davide Casaleggio, membro dell’associazione Rousseau. Borrelli è esponente del grillismo veneto, viene cioè dal circolo liberista che ha stretto rapporti con l’imprenditore Massimo Colomban, attuale assessore a Roma in quota Casaleggio. I suoi colleghi a Bruxelles provano a fare buon viso a cattivo gioco, parlano di «semplice intesa tecnica», invitano a votare alla consultazione online indetta in fretta e furia. L’esodo del M5S verso l’Alde, osservano i media britannici, pare destinato a costare oltre 1,5 milioni di euro di contributi europei al gruppo del partito di Farage.

«A me l’Efdd non è mai piaciuto – riflette mentre è in corso la ratifica online Laura Ferrara, europarlamentare calabrese – È un gruppo che ci ha creato spesso molto imbarazzo, nessuna visione comune su temi come ambiente, energia, mercato interno, immigrazione, diritti fondamentali, economia. Non svelo nessun segreto: abbiamo votato sempre in difformità». Ferrara sottolinea l’aspetto pragmatico del sodalizio: aderire a un gruppo equivale ad avere modo di dire la propria, accedere a fondi, gestire presidenze e tempi d’intervento. Non tutti nel M5S la pensano così: fu Alessandro Di Battista a salutare l’intesa con Farage e a definirla «strategica». «Non voglio dire che l’Alde sia la scelta ottimale – prosegue Ferrara – Purtroppo i Verdi non ci hanno voluto».

Qualcuno dissente e invita a votare no, come l’europarlamentare Marco Zanni da Bergamo: «Quanto accaduto oggi non ha nulla a che fare con la democrazia interna». Pare che i nuovi accordi prevedano per il M5S un posto alla vicepresidenza dell’assemblea: sarebbe destinato al romano Fabio Massimo Castaldo, ex portaborse di Paola Taverna. Si esprimono anche i parlamentari nazionali. Nicola Morra dice: «Meglio soli che male accompagnati», preferendo l’’adesione al gruppo dei non iscritti, fortemente penalizzato dalle regole del parlamento Ue. Carlo Sibilia è stupito: «Adesso che Farage e Trump vincono noi passiamo con gli altri?». Manlio Di Stefano non è esattamente un «liberale»: partecipò al congresso dei putiniani di Russia Unita. Ora cerca di arginare le critiche che piovono dalla rete: «Il referendum sull’euro, la modifica della nostra partecipazione a Ue, Nato e la nostra spinta verso la democrazia diretta non dipendono dalla nostra adesione all’Alde».

Le votazioni si chiudono alle 12, poco dopo arrivano i risultati. Hanno votato 40 mila iscritti al sito, un terzo del totale. Il 78% di questi approva il salto sul carro dei liberali. Facce scure a Bruxelles, dove Grillo e Casaleggio volano per parlare coi propri eletti. Telefoni spenti, microfoni tenuti lontani. Pare l’ennesima prova di forza vinta da Grillo: messi di fronte al fatto compiuto i più accettano. Per alleviare i dolori dei nostalgici di Farage, Grillo diffonde una lettera affettuosa al leader Ukip: «Le nostre strade si sono divise. Spero si incrocino ancora, magari quando sarai ambasciatore negli Usa come ha auspicato Trump. Questo mondo riusciremo a cambiarlo». Farage risponde stizzito: «Ti unisci all’establishment eurofanatico dell’Alde».

Ma i futuri alleati, dopo una giornata di tensione nel gruppo, bloccano tutto. A sera Verhofstadt annuncia: «Sono arrivato alla conclusione che non c’è abbastanza terreno comune per procedere con la richiesta del M5S di unirsi all’Alde. Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave». Grillo cerca di correre ai ripari e riguadagnare purezza: «Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima».

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2016. In un mondo mai così diviso dalla profondità delle diseguaglianze, se il populismo promette l’impossibile ritorno al passato dei muri, la sinistra deve indicare una prospettiva di libertà e fratellanza che sia certo alternativa ma soprattutto credibile

Se dovessimo leggere il 2016 soltanto sotto l’aspetto politico e istituzionale, potremmo concludere che l’anno che si chiude non è stato tra i peggiori. Gli italiani hanno difeso in massa la Costituzione e l’uomo solo al comando, alla guida di un governo arrogante, ha lasciato palazzo Chigi dove ora siede Paolo Gentiloni, strano clone del renzismo.
Se invece alziamo lo sguardo oltreconfine, la violenza terroristica, la tragedia della guerra – l’immagine di Aleppo è emblematica di questo anno – come anche l’avanzata populista in Europa e soprattutto negli Stati uniti, il bilancio diventa sicuramente più complesso e preoccupante.

Come accade quasi sempre, c’è un doppio filo che lega alcuni di questi avvenimenti:

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Jobs Act. Ichino e Anpal sostengono l’incostituzionalità della norma sui licenziamenti. Corso Italia smentisce. E sui «buoni lavoro» gli interventi rischiano di essere inefficaci.

 

Sono due i modi usati dalla politica per neutralizzare i tre quesiti referendari proposti dalla Cgil sulla cui ammissibilità si pronuncerà la Consulta l’11 gennaio. Il primo riguarda il quesito che intende abrogare la norma sui licenziamenti illegittimi e intende fare pressione sulla consulta alludendo a una sua presunta “incostituzionalità”. Il secondo riguarda il quesito che vuole «abrogare i voucher usati in maniera flessibile e illegittima» attraverso un intervento parlamentare o del governo alla luce di diverse opzioni, non ancora chiarite. Ad oggi il terzo quesito sull’abrogazione delle norme che limitano la responsabilità sociale sugli appalti resta fuori dalle polemiche.

Partiamo dal ripristino dell’articolo 18 che preoccupa i promotori del Jobs Act schierati a difesa della riforma renziana per eccellenza (insieme alla “Buona Scuola”). La Cgil ha raccolto più di un milione di firme (a cui vanno aggiunti altri due per abrogare i voucher e sugli appalti, per un totale di tre milioni) per chiedere il referendum per il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, estendendolo anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, fino a 5 dipendenti.

In un’intervista programmatica rilasciata il 15 dicembre scorso a Repubblica il giuslavorista e senatore Pd Pietro Ichino ha dettato la linea: «Il quesito è inammissibile – ha detto – perché il quesito non è unitario, non ha per oggetto l’abrogazione di una norma, ma la creazione di una norma nuova, che non è mai esistita». Su questa linea si è schierato il bocconiano Maurizio dal Conte, nominato da Renzi alla presidenza dell’agenzia delle politiche attive (Anpal) che ha aggiunto una tesi fantasiosa secondo la quale l’abrogazione del Jobs Act su questo punto porterebbe a un boom di licenziamenti e della precarietà: «Molte aziende ridurrebbero il loro organico per scendere sotto il nuovo tetto», ha detto ieri al Corriere della Sera.

I dati Inps raccontano un’altra realtà: da gennaio a ottobre i licenziamenti «disciplinari» per giusta causa e giustificato motivo sono aumentati del 28% a causa del Jobs Act, mentre continuano ad aumentare i contratti a termine riformati dal governo Renzi. Il 75% delle nuove assunzioni è precaria, ha calcolato la Fondazione Di Vittorio (Cgil) sulla base dei dati Inps. A queste tesi ha risposto puntualmente la Cgil con un post pubblicato su Facebook: la costituzionalità dei tre quesiti è «manifesta» sostiene il sindacato di Corso Italia. Nessuno riguarda leggi a «contenuto costituzionalmente vincolato». Se abrogate le parti delle norme contestate, non sarebbe pregiudicata la Costituzione. I licenziamenti illegittimi, la responsabilità verso i lavoratori in caso di appalto e i voucher dipendono dalle decisioni dei governi ed è su questo che gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi in una consultazione in cui è previsto il quorum.

I giuristi che hanno accompagnato la Cgil nella definizione dei quesiti sottolineano che il Jobs Act non è conforme alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che ha lo stesso valore dei Trattati. La legislazione in vigore dopo Renzi non prende sanzioni contro il licenziamento ingiustificato, mentre la Carta europea riconosce tale diritto a ogni lavoratore. Sui voucher la partita è chiara: si cerca di neutralizzare il quesito abrogativo evocando un intervento legislativo che il ministro del lavoro Poletti non ha escluso, anche se attende l’esito del monitoraggio Inps dopo l’introduzione della tracciabilità dei “buoni lavoro”. Attesa inutile, dato che nel 2016 i voucher supereranno ogni record. Nei primi dieci mesi dell’anno sono stati venduti 121 milioni di voucher.

Due sono le alternative proposte in queste ore. Si parla di tornare alla legge Biagi del 2003 che ha istituito questa peculiare forma di lavoro occasionale, limitandola alle prestazioni realmente occasionali e non all’intero mercato del lavoro come deciso dai governi Motti e Letta, entrambi sostenuti dal Pd. Si sostiene, inoltre, la possibilità di abbassare il limite massimo di incasso per singolo lavoratore: da 7 a 5 mila euro, o addirittura a 2 mila. Intervento inutile perché, come dimostrato dai dati Inps, la stragrande maggioranza dei voucheristi (1 milione e 380 mila nel 2015) non ha superato i 633 euro annui.

Non è escluso aumentare comunque, nel privato e nel pubblico, a cominciare dagli enti locali. Contro il quesito della Cgil si sostiene che la vittoria del Sì all’abrogazione porterebbe a un aumento del lavoro “nero”. Su questo punto la formulazione del quesito potrebbe risultare incerta, ma è inequivocabile l’intenzione di riportare il voucher al suo uso originario. In generale si trascura un elemento materiale decisivo emerso in una ricerca Inps sul «lavoro accessorio dal 2008 al 2015»: il voucher non fa emergere il lavoro nero, ma lo aumenta insieme al lavoro precario già esistente.

Si prospettano  settimane di disinformazione in cui la politica sfuggirà al principale problema: non basta il maquillage della riforma renziana, è necessaria l’abolizione integrale di un provvedimento che ha regalato tra gli 11 e i 18 miliardi di euro alle imprese con risultati a dir poco discutibili sull’occupazione. Questo è il contenuto politico del referendum Cgil che si cerca di occultare.

 

 

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Pubblichiamo da http://it.blastingnews.com/  questo resoconto sull'assemblea di domenica scorsa, può essere uno stimolo per  discuterne anche a livello locale?  
 

Si è svolta a Bologna l'assemblea 'Costruire l'alternativa' promossa da diversi attivisti politici e sociali della sinistra: ora parte la 'carovana'

Si è svolta questa domenica 18 dicembre a Bologna l'assemblea nazionale "Costruire l'alternativa", a cui sono intervenuti numerosi esponenti della #sinistra sociale e politica italiana. Un incontro molto partecipato, in particolare da giovani, iniziato al mattino con diversi laboratori tematici: sui saperi, sul #Lavoro, sulle città e sulle migrazioni. Nel pomeriggio si è svolta poi l'assemblea plenaria con numerosi interventi, sia di attivisti sociali che di esponenti politici nazionali. Nel dibattito sono stati lanciati molti messaggi per la creazione di uno spazio alternativo, da sinistra, rispetto ai poli attualmente in campo nella politica italiana.

A sinistra si discute di come 'Costruire l'alternativa'

Fra i promotori dell'evento Federico Martelloni, consigliere comunale bolognese di Coalizione Civica. Ma hanno partecipato anche molti amministratori locali come Luigi Felaco di Napoli, Federico Alagna di Messina, Francesco Rubini di Ancona e membri di varie liste civiche di cittadinanza. Claudio Riccio, attivista della rete ACT, ha detto che "la crisi della democrazia è a un livello tale che nessuno può pensare a darsi come obiettivo quello di fare una lista per eleggere qualche deputato. Questo non ci basta perché la portata della sfida è molto più alta: dobbiamo cambiare tutto" e poi ha invocato la necessità di creare una sinistra "che sia differente, inusuale e in grado di sorprendere". Il deputato di Sinistra Italiana Stefano Fassina ha dichiarato:"Dobbiamo dare una risposta al popolo delle periferie che ha votato No. Va data loro rappresentanza politica e dobbiamo ammettere che come Sinistra Italiana siamo inadeguati a farlo.Serve un'autonomia progettuale e programmatica per dare rappresentanza a questa area così vasta di chi soffre e fa fatica a fidarsi di tanti di noi.La Costituzione italiana che abbiamo difeso ha dei principi che sono alternativi all'impianto dell'Unione Europea e dell'unione monetaria che ne scaturisce". L'eurodeputata dell'Altra Europa con Tsipras Eleonora Forenza ha detto: "Per costruire davvero l'alternativa serve un'agenda europea dei conflitti e dei movimenti. Noi non dobbiamo avere niente a che fare con i membri del Partito Socialista Europeo che hanno votato negli ultimi anni tutte le misure di austerità e con quelli che in Italia hanno imposto il pareggio di bilancio in Costituzione.Per dare continuità alla vittoria del referendum occorre mobilitarci già da gennaio sui temi del lavoro.Siamo sicuri che serve discutere in due congressi diversi o sarebbe meglio trovare uno spazio comune?". Non presente in sala, è comunque intervenuto in diretta da Napoli il sindaco Luigi De Magistris, che ha detto:"Nessun soggetto politico può intestarsi la vittoria del No, che è una vittoria popolare. E soprattutto nel sud c'è stata una grande risposta. I gruppi che fanno politica dal basso devono ora unirsi per creare un'alternativa politica, sociale ed economica. Viceversa non credo nel centrosinistra e non mi convince l'ipotesi di Pisapia". Nicola Fratoianni ha detto: "A chi dice che ci chiudiamo in una riserva identitaria, dico che la radicalità è necessaria per essere credibili in questo contesto di sofferenza sociale. Invece di parlare di alleanze, discutiamo di quale proposta mettere in campo. Non parliamo di contenitori, ma di contenuti. Ad esempio creiamo subito i comitati per il Sì ai referendum per il lavoro. Serve un'agenda politica e sociale per favorire una confluenza e dargli uno sbocco politico". Luca Casarini, ha parlato invece di "crisi di rappresentanza", aggiungendo che "oggi un partito è utile per rompere e costruire nuove istituzioni esterne a quelle classiche, che sono invece sempre più lontane dalle persone comuni. Le elezioni siano solo uno strumento". 

 Fra le proposte operative uscite dall'assemblea vi è stata quella di realizzare una "carovana dell'alternativa" con tante tappe in giro per l'Italia per connettere e unire i soggetti interessati a una svolta sociale e politica. #Governo
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Quando mi fermo a guardare il presepe, al di là di ogni significato religioso, vedo un bambino che nasce povero tra poveri, in pace con la natura.

Eppure tutto attorno il mondo turbina al contrario. A Natale impera lo spreco sbandierato e sfacciato, l’inquinamento euforico. Tante città incentivano a fare shopping in auto, limitando le zone pedonali, rendendo gratuiti i parcheggi. Traffico selvaggio, centri urbani e centri commerciali assediati dalle auto, luminarie sempre accese, abeti secolari sradicati dalla terra per morire addobbati nelle piazze. Corsie dei centri commerciali ammiccanti di luci, strabordanti di oggetti (per lo più inutili). So this is Christmas… and happy new year! 

Alla faccia di un bimbo che nacque povero tra poveri, in pace con la natura.

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