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QUEI VOTI PER MELONI, SALVINI E BERLUSCONI. Nel disgraziato scenario elettorale, terremotato dall’irresponsabile separazione tra Pd e M5S, l’obiettivo più utile da perseguire è convincere a votare per il versante progressista

Elezioni, illustrazione di Ludovica Valori

 

Nel disgraziato scenario elettorale, terremotato dall’irresponsabile separazione tra Pd e M5S, l’obiettivo più utile da perseguire è convincere a votare per il versante progressista.

In particolare chi per cultura politica, convinzioni morali, interessi economici sarebbe ben orientato, ma intende rimanere a casa per rabbia verso il centrosinistra e per delusione verso il M5S. Come fare? Segnalo 4 possibili messaggi da dare: No alla Direttiva Bolkestein; riconoscimento dell’evasione di sopravvivenza; attenzione agli effetti della scarsa capacità delle istituzioni pubbliche di effettiva integrazione dei migranti; eliminazione dell’antropologia gender dal DdL Zan e no alla maternità surrogata. In sintesi, “il pane e le rose”.

Sono messaggi pericolosamente confondibili con gli slogan della destra, mi è chiaro. Ma attenzione al consolatorio adagio “alla copia gli elettori preferiscono l’originale”. Rispondono a domande vere di protezione sociale ed identitaria: assillanti per le fasce di popolo più in difficoltà, anche per quelle istintivamente fredde verso la destra; decisive per le persone disorientate dalla declinazione liberista dei diritti civili cavalcata dal centrosinistra, anche per quelle in sintonia con il magistero sociale di Papa Francesco. Vanno affrontate per uscire dalle Ztl e per alleviare la “disperazione escatologica della vita cristiana” (Matteo Zuppi, Avvenire, 14 Agosto). Ignorarle o criminalizzarle come incivili, razziste e reazionarie non le fa venir meno. Le risposte inaccettabili dalla destra non si contrastano con la loro negazione. Si contrastano, invece, con risposte progressive. Qui, affronto il “nodo Bolkestein” (per gli altri 3 temi, rinvio al mio “Il Mestiere della Sinistra nel ritorno della Politica”, in libreria per Castelvecchi Editore, corredato da un prezioso commento di Mario Tronti).

La Bolkestein è nota in Italia per il suo articolo 12, osannato dai progressisti (spesso inconsapevolmente liberisti) perché colpisce le “corporazioni” degli ambulanti, dei tassisti, dei gestori degli stabilimenti balneari. Sono attività che necessitavano di incisive riforme della regolazione dei rispettivi mercati, solo in parte definite.
Ma la regolazione secondo il bando periodico, prevista nella direttiva, è radicalmente ingiusta poiché mette in competizione Davide contro Golia, in un contesto già squilibrato a favore di Golia a causa del commercio online e degli ipermercati, delle App di sfruttamento del lavoro, delle conseguenze della pandemia.

Oltre al lavoro autonomo su concessione, la famigerata Direttiva impoverisce anche settori sempre più larghi di lavoro dipendente in quanto da 15 anni ha liberalizzato la vendita di servizi (dai call center, all’accompagnamento delle guide turistiche), in un mercato unico europeo dove la concorrenza non è tra imprese, come descritto nei manuali di Economia1, ma tra sistemi di welfare, ossia tra costo e le condizioni del lavoro e regimi fiscali, in una corsa al ribasso sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici, tirata da inarrestabili delocalizzazioni.

Un “No alla Direttiva Bolkestein” (da esprimere poi in proposte emendative per i Commissari europei) da parte dei protagonisti della naufragata Alleanza progressista manderebbe un messaggio fortissimo a una classe media di milioni di partite Iva e di “dipendenti” in declino. Rileverebbe o almeno aprirebbe al dubbio che abbiamo superato il paradigma della concorrenza a servizio del più forte, del libero mercato fondato sul dumping fiscale e salariale, delle sacre libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone svincolate dal fine sociale inciso nella nostra Costituzione. Non strapperemmo voti alla destra, ma forse, forse, qualcuno nel mare tempestoso dell’astensione potrebbe ritrovare, per noi, la strada del suo seggio.

Insomma, prima di chiedere a Giorgia Meloni di togliere la fiamma dal simbolo di FdI, dovremmo chiedere a noi stessi perché sempre più ampie fasce di popolo smarrito, votano “i sovranisti”, i cripto-fascisti amici di Putin e Orban. Anche se siamo a poche settimane dal voto, non è inutile incominciare.