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SINISTRA. Evitiamo una nuova trappola del “campo largo”. Distinguerei. Socialista ed ecologista dovranno essere i caratteri di una autonoma e rifondata sinistra

 Attivista di Fridays for future - Ap

La vittoria di Schlein nel confronto con Bonaccini ha avuto sicuramente un effetto dirimente sugli assetti interni e l’identità stessa del Pd. Come costituisce una novità sul piano politico nazionale e impatta direttamente sulle dinamiche del centro-sinistra e del campo progressista. Il problema rimane però il giudizio politico che si dà di tutto ciò.

Norma Rangeri nell’editoriale di martedì ha salutato la vittoria di un’esponente della sinistra, donna e femminista rispetto ad un partito “tradizionalmente maschilista”, liberista, moderato, fallimentare sui diritti civili (dallo Jus Soli al ddl Zan). Il fatto poi che il voto ai gazebo abbia smentito la decisione dei soli iscritti denota piuttosto una schizofrenia fra interno ed esterno, fra iscritti ed elettori, fra partito e società, che una risorsa da cui ripartire. Un dato questo che, sommato alla astensione straordinariamente alta alle regionali di Lazio e Lombardia, è indice di una crisi di sistema democratico che non si può non considerare quando si valuta la vittoria Schlein.

Non basta festeggiare la sconfitta di Bonaccini. Molti compagni della sinistra radicale sono andati ai gazebo appunto per far prevalere la Schlein. Lo trovo un espediente, un modo corsaro di intendere la politica, tutto tattico (Rangeri accenna anche a un possibile voto grillino), che dimostra più lo stato di crisi di certa sinistra radicale che di salute del Pd. L’eterogenesi dei fini non può essere una categoria della politica. Non può fare Schlein quello che non sappiamo fare noi.

Tanto più che si tratta di un errore già compiuto con Zingaretti. Anche allora molti elettori di sinistra transitarono la “piazza grande”, ennesimo espediente per attirare pezzi di sinistra nel Pd. Non ci fu nessuna svolta a sinistra. Zingaretti si dimise un anno dopo, ancora non si è capito bene perché (salvo che “si vergognava del suo partito”…). La “mini rivoluzione” di Schlein è sufficiente a garantire che le cose andranno diversamente?

Nell’editoriale Rangeri ricorda il dibattito lanciato dal manifesto anni fa dal titolo “c’è vita a sinistra”; ricorda però anche che alla fine dei discorsi “una convergenza unitaria di tutte le organizzazioni più piccole a sinistra del Pd non si è mai realizzata”. Ognuno rimase fermo al suo interesse personalistico e clanistico, alla “propria organizzazione” (non abbiamo dimenticato liste ed eletti alle ultime elezioni). Nessun progetto, nessuna visione, nessuna classe dirigente.

La somma di queste due debolezze, di questi due fallimenti, Pd e sinistra radicale può determinare l’“area nuova larga, popolare, aperta, libertaria, di rottura, socialmente e politicamente avanzata” che Rangeri giustamente auspica? Infiltrando il Pd con pezzi di sinistra delle primarie si potrà ricostruire “una identità socialista ed ecologista”? Evitiamo una nuova trappola del “campo largo”. Distinguerei. Socialista ed ecologista dovranno essere i caratteri di una autonoma e rifondata sinistra di lotta e di governo.

“L’area nuova, larga e popolare” dovrà essere invece un progetto politico di coalizione fra diversi e distinti (sinistra, Pd, 5stelle, realtà sociali e di movimento), che convergono strategicamente su un’idea di paese, di governo e di trasformazione. Partito e coalizione, organizzazione e governo tornino ad essere distinti e pensati in una prospettiva strategica. Anche così si aiuta la democrazia italiana.

E solo così potremo tornare a dare senso al nostro essere politico e a risalire la china dei consensi. È la via, difficile eppure tracciabile, per costruire non solo l’opposizione, ma l’alternativa ad un “governo reazionario e fascistoide”