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Voglio essere chiaro. Continuare a fornire armamenti a Israele da parte degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Unione europea costituisce un esplicito sostegno all’indiscriminata e criminale operazione militare “Spade di […]

Armi italiane a Israele, contro legge e trattati Un edificio distrutto da un attacco israeliano a Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza - Getty Images

Voglio essere chiaro. Continuare a fornire armamenti a Israele da parte degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Unione europea costituisce un esplicito sostegno all’indiscriminata e criminale operazione militare “Spade di ferro” condotta dalle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza. Come evidenziano diverse associazioni per i diritti umani, a fronte delle gravi violazioni del diritto internazionale e delle leggi di guerra, continuare ad inviare materiali militari a Israele rischia di rendere i Paesi fornitori complici di questi abusi contribuendone consapevolmente e in modo significativo. Questo è inaccettabile per i Paesi dell’Unione sia ai sensi delle normative nazionali, degli impegni assunti in sede comunitaria in materia di controllo delle esportazioni di armamenti, sia soprattutto delle norme del “Trattato internazionale sul commercio di armi” che è stato ratificato dai principali Paesi dell’Unione nell’aprile del 2014 ed è entrato in vigore il 24 dicembre dello stesso anno. Le istituzioni europee hanno pertanto il dovere non solo di richiamare lo Stato di Israele al rispetto delle Convenzioni internazionali, ma di sospendere, se non revocare, le forniture di armamenti e sistemi militari.

La posizione dell’Unione europea

Finora, invece l’Unione europea si è limitata ad esprimere posizioni di principio senza assumere alcuna iniziativa nei confronti dello Stato di Israele. Lo scorso 15 ottobre, il Consiglio europeo con una dichiarazione ha condannato “con la massima fermezza” Hamas per i suoi attacchi terroristici brutali e indiscriminati in Israele ed ha sottolineato con forza il diritto di Israele di difendersi “in linea con il diritto umanitario e internazionale”. La posizione è stata ribadita nelle Conclusioni del Consiglio del 26 ottobre scorso solo aggiungendo “l’importanza di garantire, in ogni momento, la protezione di tutti i civili in linea con il diritto internazionale umanitario” e deplorando “ogni perdita di vita umana tra la popolazione civile”.

Il Parlamento europeo con la Risoluzione P9_TA(2023)0373 (Gli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, il diritto di Israele di difendersi in linea con il diritto umanitario e internazionale e la situazione umanitaria a Gaza”) approvata giovedì 19 ottobre con 500 voti a favore, 21 contrari e 24 astensioni, ha condannato “con la massima fermezza gli spregevoli attacchi terroristici del gruppo terroristico Hamas contro Israele” e ha riconosciuto “il diritto di Israele all’autodifesa, quale sancito e limitato dal diritto internazionale” evidenziando che “le azioni di Israele devono pertanto rispettare rigorosamente il diritto internazionale umanitario”. Ma, anche in questo caso, nessuna presa di posizione riguardo all’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza.

Le violazioni di Hamas e di Israele

Sin dai primi giorni dell’operazione “Spade di ferro,  in risposta all’attacco terroristico di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi del 7 ottobre in Israele, gli Esperti indipendenti delle Nazioni Unite, dopo aver condannato inequivocabilmente la violenza mortale di Hamas contro i civili in Israele, hanno denunciato gli attacchi violenti di Israele contro i civili palestinesi a Gaza. “Ciò equivale a una punizione collettiva”, scrivono gli esperti. “Non vi è alcuna giustificazione per la violenza che prende di mira indiscriminatamente civili innocenti, sia da parte di Hamas che delle forze israeliane. E’ assolutamente proibito dal diritto internazionale e costituisce un crimine di guerra”.

Anche Amnesty International, in uno specifico rapporto titolato “Schiaccianti prove di crimini di guerra a Gaza” ha documentato “attacchi illegali israeliani – compresi attacchi indiscriminati – che hanno causato massicce perdite civili e che devono essere indagati come crimini di guerra”. “È fondamentale – ha commentato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International – che l’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale velocizzi urgentemente le indagini sulle prove di crimini di guerra e di altri crimini di diritto internazionale commessi da tutte le parti in conflitto”. Nel chiedere alle forze militari israeliane di porre immediatamente fine agli attacchi illegali Amnesty ha invitato gli alleati di Israele a “imporre immediatamente un embargo sulle armi, date le gravi violazioni del diritto umanitario in corso”.

Nei giorni scorsi, anche l’associazione Human Rights Watch dopo aver evidenziato che “i gruppi armati israeliani e palestinesi hanno commesso gravi abusi, equivalenti a crimini di guerra” ha chiesto agli alleati di Israele e ai sostenitori dei gruppi armati palestinesi di sospendere il trasferimento di armi alle parti in guerra in Israele e Gaza. “Fornire armi che consapevolmente e in modo significativo contribuirebbero ad attacchi illegali può rendere coloro che le forniscono complici di crimini di guerra”, riporta Human Rights Watch.

Le normative sul commercio di armi

Le normative parlano chiaro ed è bene citarle in modo preciso. Per quanto riguarda l’Italia, la normativa nazionale – la legge n. 185 del 1990 “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” – vieta esplicitamente l’esportazione di materiale di armamento “verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione” (Art. 1.6 b) e “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa” (Art, 1.6 d).

A livello europeo, la Posizione Comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008 che ha definito “Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari” stabilisce che gli Stati Membri “rifiutano le licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possono essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale” (Art. 2.2 c). E, in aggiunta, la Decisione (PESC) 2019/1560 del Consiglio del 16 settembre 2019 prevede che “Qualora emergano nuove informazioni pertinenti, ciascuno Stato membro è incoraggiato a riesaminare le licenze d’esportazione riguardanti i prodotti di cui all’elenco comune delle attrezzature militari dell’UE dopo la loro concessione”.

Ancor più esplicito è il “Trattato internazionale sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty), ratificato dall’Italia nel 2014 dopo il voto unanime di Camera e Senato: stabilisce non solo il divieto ad esportare materiali militari a Paesi sottoposti a misure di embargo internazionale (Art. 6) ma prevede anche di valutare se le armi convenzionali o gli oggetti militari “possono contribuire a minacciare la pace e la sicurezza; possono essere utilizzati per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario e commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani”. “Se, dopo aver condotto tale valutazione e aver esaminato eventuali misure di mitigazione, lo Stato Parte esportatore ritiene che vi sia un forte rischio di ricadere in una delle conseguenze negative previste, lo Stato Parte esportatore non autorizzerà l’esportazione”, conclude il Trattato (Art. 7).

Le armi europee a Israele

Israele è una delle maggiori potenze militari del mondo: con una spesa militare di oltre 23 miliardi di dollari all’anno (all’incirca il 5 percento del proprio Prodotto interno lordo) secondo il SIPRI nel 2022 ricopriva la quindicesima posizione mondiale. Israele è anche uno dei principali Paesi esportatori di armamenti: nell’ultimo quinquennio con oltre 3,2 miliardi di dollari di esportazioni militari occupa la decima posizione nel commercio mondiale di armamenti, riporta sempre il SIPRI.  Il principale fornitore di sistemi militari a Israele sono gli Stati Uniti, ma i Paesi dell’Unione europea, nel loro insieme, costituiscono il secondo fornitore mondiale: i rapporti ufficiali europei certificano che dal 2001 al 2020 i Paesi dell’Unione hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari a Israele per oltre 7,7 miliardi di euro, con oltre 636 milioni  nel 2020. Tra gli armamenti esportati nel suddetto ventennio figurano soprattutto navi da guerra (1,6 miliardi), aerei da combattimento (1,2 miliardi), carri armati e veicoli terrestri (1 miliardo) e apparecchiature elettroniche (oltre 520 milioni di euro). Sempre nel ventennio dal 2001 al 2020 i maggiori fornitori europei di armamenti a Israele sono stati la Germania (3 miliardi di euro), la Francia (2,6 miliardi), il Regno Unito (653 milioni) e l’Italia (578 milioni).

Le armi Italiane a Israele

Per tutto il periodo fino al 2012 l’Italia, pur avendo rapporti commerciali con Israele, ha mantenuto un atteggiamento estremamente cauto e restrittivo nelle forniture di armi e sistemi militari a Tel Aviv: le Relazioni ufficiali della Presidenza del Consiglio al Parlamento riportano tra il 1990 e il 2011 un ammontare complessivo di solo poco più di 11 milioni di euro. Un atteggiamento dettato non solo dalla politica estera italiana, ma anche in considerazione delle numerose risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’Onu che, già dal 1975, hanno condannato “la continua occupazione dei territori arabi da parte di Israele in violazione della Carta delle Nazioni Unite e dei principi del diritto internazionale” e hanno chiesto a “tutti gli Stati di desistere dal fornire a Israele qualsiasi aiuto militare o economico fintanto che continua ad occupare territori arabi e nega i diritti nazionali inalienabili del popolo palestinese” (si veda la Risoluzione 3414 del 5 dicembre 1975, la risoluzione 31/61 del 9 dicembre 1976 e successive).

Tutto cambia con il governo Berlusconi che nel giugno del 2003 sigla a Parigi il “Memorandum d’intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa”, memorandum entrato in vigore l’8 giugno 2005 che prevede, tra l’altro, l’interscambio di materiali d’armamento tra i due Paesi. Il “salto di qualità” avviene però nell’aprile del 2012 quando, l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, in visita in Israele annunciò l’intenzione del governo di finalizzare al più presto il contratto per la fornitura all’Aeronautica militare israeliana di 30 velivoli d’addestramento M-346 prodotti dalla Alenia-Aermacchi e relativi simulatori di volo. Sono gli aerei e i simulatori su cui si sono esercitati i piloti dei caccia F-16 e F-35 che in questi giorni stanno bombardando Gaza.

Negli anni successivi le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele sono aumentate rispetto agli anni Novanta, ma non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019, quando i ministeri della Difesa dei due Paesi hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette di elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato della Agusta-Westland (gruppo Leonardo) per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, ancora una volta in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana. Nel settembre del 2020 ne sono stati aggiunti altri cinque, per un totale di dodici elicotteri e due simulatori destinati alla Air Force Flight School.

Non solo. Come riporta il Bilancio d’esercizio della RWM Italia, l’anno scorso l’azienda ha firmato un”accordo strategico” con la società israeliana UVision Air Ldt “per la commercializzazione, produzione e sviluppo in esclusiva per l’Europa delle Loitering Munition. Si tratta di munizioni circuitanti, meglio conosciute come “droni kamikaze”, in cui  la munizione è un drone armato che sorvola una zona, attendendo, in cerca dell’obiettivo, per poi attaccare solo una volta che quest’ultimo è stato localizzato.

Urgente un’azione del Parlamento

A fine ottobre Amnesty International Italia insieme alla Rete Italiana Pace e Disarmo hanno promosso una serie di manifestazioni che hanno visto un’ampia partecipazione in numerose città italiane. Con uno specifico appello hanno chiesto alle istituzioni azioni concrete per la pace in Palestina e Israele e al Governo italiano di “astenersi dal fornire armi a tutti gli attori del conflitto e chiedere agli altri Stati di fare altrettanto”. A fronte della carneficina in corso – più di 10mila morti tra cui oltre 4mila bambini nella Striscia di Gaza –è fondamentale che il Parlamento italiano si faccia portavoce di queste istanze e chieda al governo di sospendere tutte le forniture di armamenti a tutte le parti in conflitto, compreso Israele