CAMPO LARGO. Il leader pentastellato a Faenza rifiuta la collocazione a sinistra. Poi però precisa: «Sediamo ai tavoli di confronto». E Fratoianni avvisa: «Non si pensi di risolvere tutto nella dialettica tra 5 Stelle e Pd»
Giuseppe Conte all'assemblea regionale del M5S Emilia Romagna di Faenza - foto Twitter
Giuseppe Conte è di scena in Emilia Romagna all’assemblea regionale del Movimento 5 Stelle che si tiene a Faenza. Qui, davanti a circa 1500 persone, raccoglie l’allarme degli alluvionati e incontra i cartelli innalzati da alcuni iscritti che gli dicono come la pensano sulle prossime strategie elettorali: «Nessuna alleanza con questo Pd», portano scritto. Altri espongono addirittura il teschio, il simbolo della morte, per sottolineare la «necessaria distanza» da un accordo, si presume per le elezioni regionali dell’anno prossimo, che secondo loro significherebbe la fine del M5S.
L’EMILIA ROMAGNA rappresenta alcuni passaggi rilevanti della storia del M5S. È qui, alle regionali de 2010, che la lista pentastellata raccolse il primo risultato considerevole, un inatteso 6%, ed elesse due consiglieri regionali. È qui, con Federico Pizzarotti a Parma, che il M5S ha eletto il primo sindaco di un capoluogo. Ed è sempre qui che avvennero le prime espulsioni di massa: pare che Gianroberto Casaleggio non apprezzasse le richieste di democrazia interna (gli emiliani chiedevano che si tenesse un’assemblea nazionale, cosa vietatissima dalle regole dell’epoca) e non si fidasse di alcuni attivisti considerati, appunto, troppo vicini alla sinistra. Ma Conte ci tiene a rassicurare i suoi circa la collocazione del suo M5S: «Abbiamo coniato un’espressione, per evitare che tutti dicano ‘Sinistra, sinistra’ – dice intervenendo all’evento di Faenza – No: noi siamo nel campo progressista, siamo una forza progressista. Questa formula ci deve dare la libertà, e ce la dobbiamo prendere, di poterci muovere nell’area progressista nel pieno rispetto e nella piena coerenza dei nostri principi e dei nostri valori. Senza che nessuno ci imponga un abito che ci sta stretto». Poi è tornato anche sulle polemiche relative al suo rifiuto di scegliere tra Trump e Biden. «Intellettuali e giornalisti ci chiedono ‘dove state?’ – ha proseguito il leader del Movimento 5 Stelle – Si prendono competizioni elettorali altrui e ci chiedono di schierarci. La nostra identità è così forte che non c’è bisogno di andare a cercare altrove. A questi intellettuali, giornalisti o anche interlocutori politici che ci chiedono dove stiamo è facile rispondere: noi stiamo dalla parte della giustizia sociale, lavoriamo perché si possa recuperare risorse per operare una redistribuzione a favore di coloro che non hanno voce in capitolo e a favore di coloro che sono invisibili. Siamo dalla parte di chi vuole e deve investire per la sanità come abbiamo fatto in pandemia, e deve investire in formazione e combattere per la precarietà. Siamo dalla parte della questione morale». Detto ciò, precisa Conte, «noi siamo seduti a tutti i tavoli, per dare il nostro contributo, per confrontarci. Siamo disponibili a creare dei progetti per che siano utili per le comunità locali».
A DISTANZA replica Nicola Fratoianni, intervenendo a Bari al congresso regionale pugliese di Sinistra italiana. «L’unica possibilità è costruire un’alternativa politica, e qui casca l’asino, qui c’è il problema – afferma il segretario di Si – Il livello di insufficienza dell’opposizione politica è disarmante e possiamo dirlo con forza perché siamo quelli che con più determinazione e generosità hanno lavorato e lavorano per costruire le condizioni per una larga unità in grado di costruire l’alternativa alle destre. Non si è trovata la quadra, c’è una situazione aperta». Fratoianni ha poi rivendicato il percorso che ha condotto a scegliere Vittoria Ferdinandi come candidata unitaria a Perugia per le prossime comunali. «Si è avuto un accordo con una splendida candidatura ma nella stragrande maggioranza dei territori non ci siamo ancora – ha detto – Ma non è che il tema delle alleanze qualcuno può risolverlo tutto nella dialettica tra M5S e Pd, non funziona e non è utile nemmeno alla soluzione dei problemi. Lo dico qui oggi perché qualcuno intenda»
Commenta (0 Commenti)CENTROSINISTRA. Le mosse e gli equilibri interni del Partito democratico
Elly Schlein e Stefano Bonaccini - Lapresse
Mentre prosegue il confronto con il Movimento 5 Stelle su alleanze e alternativa alla destra, il Partito democratico è preso dalla partita sulle candidature per le elezioni europee di giugno. Elly Schlein non ha ancora sciolto la riserva sulla sua presenza come capolista: da una parte significherebbe ribadire la leadership e personalizzare la contesa, dall’altra, per via delle regole sulla preferenza di genere, finirebbe per togliere spazio ad altre donne.
C’è anche da capire come si muoverà il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, visto che la possibilità che la legge gli conceda un terzo mandato al momento pare esclusa. Bonaccini ha sempre detto di considerarsi «a disposizione del partito», ma ciò non significa soltanto che è pronto a correre per le europee: dal Nazareno trapela anche l’’ipotesi di un seggio nel parlamento italiano, che potrebbe essere aperta dalla candidatura in Europa dell’ex sindaco di Bologna Virginio Merola. Cresce l’attesa su altri nomi di peso, come quelli di Antonio Decaro e Nicola Zingaretti che in alcuni scenari viene addirittura tenuto «in caldo» per raccogliere il testimone da Roberto Gualtieri come sindaco di Roma.
Bonaccini, intanto, ha riunito i suoi e ha già lanciato i prossimi eventi della sua corrente Energia popolare. Dopo le due convention dell’ultimo anno, a Cesena e Firenze, si lavora per arrivare, entro un paio di mesi, al sud, probabilmente verrà scelta Napoli, e al nord, dove si valuta l’opzione Milano
Commenta (0 Commenti)Rafah ultima frontiera dell’offensiva israeliana. Un milione e mezzo di profughi nella città più a sud di Gaza si ritrovano schiacciati tra i carri armati ormai alle porte e la barriera invalicabile con l’Egitto. Netanyahu tira dritto con la guerra e oggi si gode la «Marcia della vittoria»
GAZA. Rafah attende l'inizio dell'attacco israeliano. Altri cento morti palestinesi nei bombardamenti
È una corsa contro il tempo a Rafah. I bombardamenti si fanno più intensi e l’arrivo dei carri armati israeliani potrebbe essere una questione di ore. Ieri mattina 14 persone – tra cui donne e bambini – sono state uccise in un attacco aereo su una casa alla periferia della città. Altre quattro sono state uccise a Deir Al-Balah. Altri due membri delle unità di soccorso della Mezzaluna Rossa sono stati sepolti: erano stati uccisi nei giorni scorsi da spari dell’esercito a Khan Yunis, come la loro collega Hidaya Hamad, colpita mentre era nel quartier generale dell’organizzazione. A Khan Yunis gli artificieri dell’esercito israeliano hanno fatto saltare in aria e polverizzato un intero quartiere residenziale abbandonato dai suoi abitanti.
Sebbene stiano concentrando la loro azione nel sud, le truppe israeliane compiono raid anche nel nord della Striscia, in particolare nella parte occidentale del capoluogo Gaza city dove, secondo quanto affermano i comandi israeliani, non vi sarebbe più presenza di militanti di Hamas, Jihad e altre organizzazioni da settimane. Gli scontri a fuoco in quell’area ieri sono stati di una intensità che non si registrava da settimane. Israele sostiene di aver ucciso altre decine di combattenti palestinesi e di aver distrutto lanciamissili anticarro, ma fonti sanitarie riferiscono anche di due civili colpiti da cecchini. I soldati hanno anche arrestato diverse persone a Tel Al-Hawa. Con comunicati separati Hamas, Jihad e altri gruppi armati ribadiscono di aver impegnato anche negli ultimi giorni i soldati nemici in violenti scontri a fuoco. «Più le forze di occupazione rimarranno sul posto, più le raggiungeremo. Un martire cade, un altro si alza e prende il fucile, siamo pronti a combattere per molti mesi». I morti a Gaza tra venerdì e sabato sono stati 107 e il totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre è salito a 27.238.
La fuga dei civili verso ovest, verso la costa e l’area agricola dei Mawasi non si arresta. Una fiumana di persone si allontana dall’ultimo rifugio che credeva sicuro, Rafah, e ora rischia di trasformarsi in una trappola. Si sono messe in marcia ieri decine di famiglie, presto saranno
Commenta (0 Commenti)Dopo le polemiche causate dalla presentazione on line del Liceo Torricelli-Ballardini di Faenza, da alcuni ritenuta di ispirazione classista, dopo le vicende del Liceo romano “Tasso” seguite all’occupazione della scuola, un nuovo caso investe il mondo dell’istruzione costringendoci a riflettere su qual è il clima che si respira nella scuola italiana dopo l’avvento del nuovo ministero del “merito”.
Uno studente, che è anche rappresentante d’istituto, è stato sospeso per 12 giorni per aver rilasciato, nel novembre scorso, un’intervista alla Gazzetta di Modena (quotidiano locale). Frequenta attualmente l’ultimo anno dell’Istituto tecnico Barozzi e nel corso di uno sciopero, attraverso l’intervista, aveva criticato la dirigente scolastica facendosi portavoce di alcune richieste che la stampa riferisce riguardare i viaggi d’istruzione, le ore di studio delle lingue straniere (troppo poche) e la mancanza di distributori automatici.
Il ragazzo ha dichiarato: “Ho riflettuto molto su quello che ho detto quel giorno, ne ho parlato con i miei genitori, con l’avvocato. Credo di aver riportato fatti realmente accaduti e penso di avere avuto ragione e di aver detto la verità. Quindi non c’è nulla che non ridirei,[…] i miei professori capiscono la mia situazione e cercano di aiutarmi e supportarmi. I miei compagni mi stanno dimostrando anche una grande amicizia e affetto. Questa è una delle motivazioni che mi porta a battermi per la verità a testa alta”
L’Unione degli universitari di Modena ha emesso un comunicato nel quale sostiene che “La natura intimidatoria di tale provvedimento racchiude in sé un messaggio molto pericoloso, mettendo in discussione il diritto alla libertà di espressione che tanto l’Università, quanto la Scuola pubblica di ogni ordine e grado devono senza alcun limite garantire ai membri della Componente Studentesca” […] “Tutte le studentesse e tutti gli studenti, nella fattispecie quando ricoprono ruoli di rappresentanza di stampo politico e non, hanno il pieno diritto di esprimere le proprie opinioni, di manifestare e di essere ascoltati senza il rischio di subire provvedimenti punitivi come quello in oggetto”.
In seguito a queste notizie Alleanza verdi e sinistra (AVS) ha presentato in parlamento un’interrogazione al ministro Valditara per avere informazioni su questo episodio. Anche Pd e M5s hanno avanzato interrogazioni. Il ministro ha attivato gli apparati ministeriali che hanno risposto ieri in modo interlocutorio: “[…]su richiesta del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, il dipartimento Istruzione del Ministero ha assunto informazioni dall’ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna circa l’irrogazione della sanzione. Alla luce delle verifiche fatte, la sanzione della sospensione di 12 giorni risulta essere stata comminata allo studente a larga maggioranza dal Consiglio d’istituto, organo rappresentativo di tutte le componenti scolastiche. Qualora lo studente si ritenesse leso nei suoi diritti potrà appellarsi all’organo di garanzia istituito presso l’Ufficio scolastico regionale, che provvederà a valutare la conformità della sanzione al regolamento d’istituto e la correttezza della procedura”.
Ma al ministro del “merito” chiediamo: qui è in ballo o no il diritto alla libertà di espressione?
Commenta (0 Commenti)Calderoli lancia una nuova «porcata», all’altezza della sua celebre legge elettorale. Per mettere d’accordo la maggioranza sulla riforma Casellati, inventa una differenza tra i voti di fiducia al premier. Insostenibile al punto da imbarazzare i tecnici di governo. E il Quirinale
RIFORME. L’ultima invenzione del leghista alla prova dei leader: serve a unire la destra, ma è folle. «Sfiducia con mozione motivata» e «sfiducia su una singola norma», la differenza creativa. L’accordo pensato per condizionare il potere della capa eletta con quello della coalizione
I banchi vuoti del governo al Senato - LaPresse
Il presidente Sergio Mattarella, prima di essere prestato alla politica dopo l’uccisione del fratello Santi, era un professore di diritto parlamentare. Chissà se la maggioranza gli risparmierà il calice di dover leggere una riforma costituzionale che contraddice la Costituzione e tutti i manuali di diritto parlamentare. Ad oggi il rischio è altissimo. Infatti l’accordo nel centrodestra sugli emendamenti al premierato, che dovrà essere esaminato dai leader, si basa su una proposta della Lega che è un unicum in tutti le Repubbliche parlamentari: addirittura più unicum dell’elezione diretta del premier. Non a caso i giuristi consulenti del ministero delle Riforme stanno sollevando «perplessità», come eufemisticamente trapela.
Com’è noto il nodo del contendere nella coalizione riguarda i poteri del premier eletto dal popolo. Nel testo originario del disegno di legge Casellati, i suoi poteri non erano aumentati rispetto a quelli attuali: addirittura ne aveva di più il «premier di riserva», vale a dire chi gli subentrava in caso di caduta. Questi aveva il potere di minacciare lo scioglimento anticipato delle camere, non il premier eletto, il cui solo potere era il mandato popolare stesso. Fratelli d’Italia chiedeva dunque di estendere al premier eletto la stessa prerogativa, vale a dire la possibilità, in caso di sfiducia, di chiedere le elezioni anticipate al presidente della Repubblica: in sostanza il famoso simul stabunt, simul cadent. Una soluzione che né a Lega né a Forza Italia piace; i due junior partner di Meloni chiedono un bilanciamento tra i poteri del premier eletto e quelli dei partiti della coalizione che lo hanno sostenuto alle urne. In fin dei conti, lui (o lei) ha vinto proprio grazie alla coalizione.
E qui entra in campo Roberto Calderoli, l’inventore del sistema elettorale da lui stesso definito «Porcellum», bocciato dalla Corte costituzionale nel 2014. Ed ecco la sua mediazione: distinguere tra fiducia e fiducia. In barba ai manuali di diritto costituzionale e di diritto parlamentare, per i quali un governo deve avere la fiducia delle camere, che se viene revocata fa cadere il governo stesso. Se dunque – dixit Calderoli – il governo viene sfiduciato con «una mozione motivata», allora il premier può chiedere lo scioglimento delle camere al capo dello Stato «che emana il conseguente decreto». Ma se non gli viene accordata la fiducia che egli pone su un provvedimento o su una singola norma, allora deve dimettersi lui (in quanto sfiduciato) ma non può chiedere urne anticipate. La logica è tutta interna alla coalizione di centrodestra, o meglio di destracentro. Meloni vuole l’elezione diretta del premier, e l’avrà, per la sua propaganda, ma non può pensare a puntare a un futuro mandato plebiscitario per se stessa che le consenta di essere la «domina» assoluta della politica: conta anche la coalizione, che anzi è un bilanciamento del parlamento rispetto al governo. La logica è stata accettata da Fratelli d’Italia, con l’eccezione di Marcello Pera che anche ieri ha sparato a palle incatenate con l’agenzia Adn Kronos contro l’accordo.
Il punto è che la fiducia o c’è o non c’è. Il governo, nelle Repubbliche parlamentari, si basa sul rapporto fiduciario tra esecutivo e parlamento: o fiducia o sfiducia. Non esistono novantanove sfumature di grigio. I costituzionalisti consulenti del governo lo hanno spiegato sia a voce che per iscritto. A questo punto l’atteso vertice tra i tre leader Meloni, Salvini e Tajani – che potrebbe svolgersi proprio oggi -, non dovrebbe dare solo la «bollinatura» all’accordo, in vista degli emendamenti da presentare lunedì. Dovrebbe anche prendere una decisione più grave. Dare il via libera a qualcosa che tutti e tre sanno essere costituzionalmente insostenibile. E preparare un calice colmo di fiele per Sergio Mattarella
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RIFORME. Il Carroccio si mette di traverso, obiettivo rovinare la festa alla premier Meloni. Ma non mancano le incoerenze nel testo uscito dalla riunione dei capigruppo. La bozza passa ora ai tre leader
I cronisti che in Senato hanno seguito il nuovo incontro sul premierato dei capigruppo di maggioranza, hanno raccontato di non essersi dovuti accostare alla porta della Commissione Affari costituzionale per origliare quanto accadeva. Il tono alto e concitato della voce del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo era tale da indurre i giornalisti a sospettare che lo abbia fatto apposta per farsi sentire da loro. Al termine della riunione, infatti – sempre nel racconto dei presenti – Romeo, ridacchiando, è sgattaiolato via lasciando l’onere di una dichiarazione ufficiale al presidente della Commissione, e relatore al premierato, Alberto Balboni. Parla lui per tutti, ha detto Romeo.
«Abbiamo raggiunto un accordo all’unanimità», ha esordito Balboni, salvo poi precisare l’oggetto dell’intesa: quella di «sottoporre ai leader la nostra proposta». La ministra Maria Elisabetta Casellati ha parlato di una «bozza» di proposta, mentre il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani è stato ancora più minimalista: serve la «validazione» dei leader prima di parlare di accordo e trasformarlo in emendamenti. Qual è dunque l’oggetto del contendere che ha indotto Romeo a mettersi di traverso e a parlare a voce alta, nonostante Maurizio Gasparri e Lucio Malan gli chiedessero di abbassare il volume?
Dentro il partito di Meloni il timore/sospetto è che l’alzata di scudi della Lega su un paio di punti del premierato dipenda più dalla volontà di Matteo Salvini in questa fase di fare il controcanto alla premier su tutto. Questa lettura ha messo in agitazione Fdi anche per un altro aspetto: il termine per gli emendamenti è fissato a lunedì prossimo alle 12, il tempo per un vertice di maggioranza è poco, visti anche gli impegni di Meloni (sabato a Catania, domenica in partenza per il Giappone). Se Salvini dovesse tergiversare per il suo sì, o anche dovesse far slittare il vertice, la stessa sorte toccherebbe al termine per gli emendamenti, che Balboni dovrebbe spostare più in là, per la terza volta. Niente di drammatico, ma una macchia nell’immagina della premier, che rimarrebbe molto seccata.
Su cosa dunque Romeo ha fatto ballare i colleghi del centrodestra? In poche parole i poteri del premier eletto rispetto ai partiti della sua coalizione. Casellati, su mandato dei capigruppo ricevuto mercoledì, si è presentata ieri con una bozza, su cui Romeo ha esclamato «era meglio la versione originaria» del ddl Casellati. In questo il ddl eletto dal popolo deve comunque ricevere la fiducia al suo governo, il che implica il potere di contrattazione dei partiti nella formazione dell’esecutivo. Nella nuova bozza il premier può essere sostituito da un esponente della sua coalizione in caso di «impedimento permanente, morte, decadenza o dimissioni volontaria», vale a dire in caso di crisi della popolarità del Presidente del Consiglio ma non della maggioranza che vuole proseguire la legislatura.
Quello che non va alla Lega è l’aumentato potere del premier eletto di cadere in Parlamento «mediante mozione motivata» di sfiducia. In questo caso egli «entro sette giorni rassegna le dimissioni, ovvero propone lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica che emana il conseguente decreto». Questo «emana» non è piaciuto, vale a dire l’automatismo tra la richiesta del premier e il successivo atto del Capo dello Stato. Insomma, l’equilibrio tra premier eletto e la coalizione si sbilancia troppo a favore del primo. E non importa se sulla carta la riforma si giustifica proprio per far durare il Presidente del Consiglio per tutta la legislatura. Anche perché sono tali le incoerenze di sistema dell’elezione diretta del premier, che una in più o in meno cambia poco.
Tra le incoerenze vi è quella che riguarda i poteri di scioglimento delle Camere del Presidente della Repubblica. L’articolo 88 della Costituzione, sul semestre bianco, che non veniva toccato dal ddl Caselalti, avrebbe potuto mandare in tilt l’arzigogolato meccanismo della riforma. Questo articolo impedisce al Capo dello Stato di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi del suo mandato, tranne in caso di fine legislatura. Quindi se in questi sei mesi accadesse uno degli eventi, sia del ddl Casellati che della nuova bozza, che portano allo scioglimento automatico anticipato delle Camere, si arriverebbe a un impasse istituzionale. Gli uffici della ministra Casellati se ne sono accorti ora, inserendo nella bozza anche la possibilità di tale tipo di scioglimento durante il semestre bianco
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