IL LIMITE IGNOTO. La guerra costa dieci miliardi al mese. Tra agosto 2022 e 2023 i fondi stanziati dai Paesi europei per l’Ucraina sono diminuiti del 90%
Kiev, delle donne acquistano mandarini al mercato - Evgen Kotenko
L’Ucraina esulta e aspetta di ricevere i primi fondi stanziati dai Paesi dell’Ue. Dopo la decisione di ieri che ha ratificato all’unanimità lo stanziamento di 50 miliardi di euro di fondi strutturali per Kiev, la ministra dell’economia ucraina ha dichiarato: «Ci aspettiamo di ricevere il primo pagamento di 4,5 miliardi di euro già a marzo».
SAPPIAMO che il governo ucraino «sta attualmente lavorando ad un accordo corrispondente sul finanziamento insieme ai partner europei» per far sì che le condizioni necessarie all’incasso del finanziamento siano messe in atto. Non si tratta di fretta ma di estrema necessità. Il governo di Volodymyr Zelensky ha bisogno di soldi subito per mandare avanti lo Stato. Dagli stipendi dei militari al fronte al personale amministrativo nelle città, fino alle forniture energetiche e alimentari dall’estero, tutto il sistema rischiava di collassare. Ora alla Verkhovna Rada possono tirare un piccolo sospiro di sollievo, il default torna a essere solo un rischio. Secondo il Kiel Institute for the World Economy la guerra contro la Russia costa 10 miliardi di dollari al mese. La spesa pubblica ucraina per pagare la pubblica amministrazione, per tenere aperti scuole e ospedali, per far funzionare i trasporti, solo nel 2022 è stata di 75 miliardi: i prestiti occidentali ne hanno coperti 32. Lo stesso centro studi stima che fino alla fine del 2023 l’Ue aveva inviato in Ucraina 85 miliardi di dollari divisi tra attrezzature tecniche e militari (25 mld) e finanziamenti generali. Usa e Gran Bretagna hanno inviato rispettivamente 47 miliardi e 18 miliardi solo di forniture militari. La Banca mondiale ha calcolato che i Paesi occidentali hanno invitato, in totale, 17 miliardi al mese al governo di Kiev.
Si tratta di cifre altissime, è evidente. Ma l’invasione russa ha mandato in fumo circa 200 miliardi complessivi tra produzione locale e investitori stranieri. Senza contare che l’esercito russo controlla la centrale atomica di Zaporizhzhia, parte delle miniere del Donbass occupato e l’importante porto di Mariupol. La questione del commercio navale è dirimente: con Odessa e Mykolayiv bombardate e il Mar Nero controllato (con varie perdite) dalla marina russa, il commercio ucraino ha subito un colpo quasi letale. Da Odessa partivano migliaia di tonnellate di grano verso tutto il mondo, nelle infrastrutture portuali della città si custodiscono migliaia di ettolitri di idrocarburi e tonnellate di cereali. Un indotto che dava da mangiare a migliaia di famiglie è stato cancellato e le dogane hanno perso milioni di dollari di imposte. A Mykolayiv si costruivano e riparavano le grandi navi destinate alle rotte internazionali, ora i cantieri navali sono praticamente in disuso, esposti alla ruggine e ai bombardamenti russi.
I FONDI Ue interrompono una striscia negativa che durava da mesi, almeno dalla fine dell’estate scorsa. Tra l’agosto del 2023 e lo stesso periodo del 2022, stando ai grafici del Kiel Institute, i fondi stanziati dai Paesi europei sono diminuiti del 90%. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, il calo è dovuto al riacuirsi della crisi a Gaza e da ottobre a oggi i finanziamenti sono calati almeno del 30%. Al momento è ancora in bilico il finanziamento straordinario da 61 miliardi chiesto da Biden per Kiev e bloccato al Congresso dal partito repubblicano. I conservatori statunitensi su questo punto hanno ormai gettato la maschera: usano il loro dinego come arma contro Biden e accusano l’attuale presidente di «destinare i soldi dei contribuenti americani all’estero invece di risolvere le questioni più urgenti in patria». Se alla fine Donald Trump dovesse riuscire nell’impresa di tornare alla Casa Bianca per l’Ucraina la situazione potrebbe precipitare molto in fretta. Per ora Zelensky continua a chiedere F-16 e missili a lungo raggio, ma incassa solo promesse e rinvii a data da destinarsi.
L’altra questione è quella degli asset russi congelati dalle sanzioni imposte alla Russia dopo l’aggressione. Gli stati europei si sono detti favorevoli a una loro eventuale destinazione a favore dell’Ucraina. Una sorta di compensazione di guerra a conflitto ancora in corso. Una cifra enorme, tra i 100 e i 220 miliardi di euro. Dalla riunione di ieri a Bruxelles la consegna è stata quella di «non accelerare». Il passo decisivo (ovvero l’approvazione del piano da 50 miliardi senza veti) era già stato compiuto e forse i leader non volevano spingere troppo. Gli Usa, secondo il Wall Street Journal, stanno cercando una modalità che «non intimorisca gli investitori internazionali», ma Biden ha già proposto di scongelare 60 miliardi e destinarli a Kiev.
INSOMMA, non a caso ieri Zelesky ha commentato così la decisione dell’Ue: «è un chiaro segnale che l’Ucraina resisterà». Ma si tratta di una misura non risolutiva, e questo il presidente lo sa: il vero pericolo potrebbe venire da oltreoceano
Commenta (0 Commenti)Ilaria Salis in catene? «Accade in vari paesi, anche occidentali». Meloni difende Orbán e rinsalda l’asse sovranista. Il premier ungherese rivela: «Dopo le europee pronto a entrare nel gruppo dei conservatori». Quello della leader italiana
ME NE FREGO. La premier a Bruxelles: «Le catene? Si fa in tanti stati occidentali». Si cementa il patto sovranista: l’ungherese entrerà nei Conservatori. l partito Fidesz dovrebbe aderire al gruppo Ecr dopo le elezioni europee
Giorgia Meloni arriva al Consiglio europeo straordinario
Sono leader pragmatici, Giorgia Meloni e Viktor Orbán. Uniti, nella buona e nella cattiva sorte, dall’obiettivo di prendere tempo fino alle europee, quando l’Ue assumerà un volto più simile al loro. Imperativo non inciampare, sia che quell’inciampo si chiami Ilaria Salis, sia che quell’inciampo si chiami Ucraina. Il vertice dei leader, che vedeva il despota dell’Est sul banco degli imputati, ha inizio a notte fonda, all’hotel Amigo, nel cuore di Bruxelles. È lì che Meloni intavola la trattativa con Orbán. Aiuti a Kiev ed elezioni europee è il menu della serata bagnata di champagne.
SALIS È SOLO UN PICCOLO incidente della storia. A una manciata di ore dall’incontro, Budapest pubblica la sua versione dei fatti: la militante antifascista detenuta a Budapest da quasi un anno e apparsa in guinzaglio in tribunale nei giorni scorsi è accusata di reati gravi e le misure adottate nel procedimento sono adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso. L’indignazione suscitata dalla vicenda non è altro che un attacco orchestrato da media e attivisti di sinistra per danneggiare le buone relazioni politiche tra Budapest e Roma. Orbán porta quella versione dei fatti al drink con Meloni. «Ho raccontato il caso nei dettagli. Le ho detto che la magistratura non dipende dal governo, ma dal Parlamento. L’unica cosa che sono legittimato a fare è fornire i dettagli del suo trattamento in carcere ed esercitare un’influenza perché abbia un equo trattamento. Tutti i diritti – giura Orbán – saranno garantiti». A Meloni quella versione convince. «Certo, le immagini di Ilaria Salis in manette impattano, ma accade in diversi Paesi, anche occidentali» spiega la premier che scagiona così
Commenta (0 Commenti)IL LIMITE IGNOTO. Da mesi cova lo scontro fra il presidente e il capo dell’esercito, favorito alla successione
Kiev, Valerii Zaluzhny alla cerimonia funebre per un soldato ucraino - Mykhaylo Palinchak/Getty Images
Oggi sarà un giorno decisivo per l’Ucraina. I soldi dell’Ue servono a Kiev come l’aria e non basta il piccolo successo militare di ieri, l’ennesima raffineria russa colpita, stavolta nei pressi di san Pietroburgo, a convincere gli alleati che la guerra non è a un punto morto. Ma alla Verkhovna Rada in queste ore sono impegnati su una questione molto più spinosa che potrebbe segnare l’evoluzione del conflitto. Licenziare l’eroe di guerra e comandante in capo delle forze armate Valerii Zaluzhny?
LA NOTIZIA non è nuova. Sappiamo da mesi che i rapporti tra Zelensky e il suo generale capo sono ridotti all’essenziale, almeno dalla pubblicazione dell’intervista sull’Economist nella quale Zaluzhny parlava apertamente di «stallo militare». Il presidente aspetta il momento opportuno per disfarsene. Fin qui nulla di nuovo, sia in pace sia in guerra, tra potere politico e potere militare le tensioni sono sempre presenti ma, almeno nelle democrazie, il capo civile ha sempre la meglio. L’Ucraina però è impegnata da due anni in un conflitto durissimo con la Russia e non è altrettanto semplice parlare di bilanciamento dei poteri. Innanzitutto perché Zaluzhny è un uomo capace, un capo carismatico e rispettato sia in patria sia dai principali alleati militari di Kiev. È lui che aveva previsto un attacco russo e che aveva predisposto le difese impedendo all’esercito nemico quella «passeggiata nel parco» che avrebbe dovuto portare alla sconfitta ucraina in due settimane al massimo. Zaluzhny ha sempre dichiarato che la cosa più importante per un generale è la vita dei suoi soldati: fu lui a spingere per una ritirata da Bakhmut quando la città era già praticamente persa. Zelensky disse no e Bakhmut passerà alla storia come una delle battaglie più letali degli ultimi decenni.
SI POTREBBE obiettare che sono solo parole, che ogni leader fa così per ingraziarsi i suoi sottoposti. Non importa, ciò che conta è che i soldati ucraini credono davvero di avere qualcuno che si preoccupa per loro. L’abbiamo testimoniato di persona sul campo e ne abbiamo scritto più volte. Si i interpreti in quest’ottica la dichiarazione recentemente raccolta dal Kyiv Post: «Il sostegno a Zaluzhny è quasi universale tra le truppe e un piano per sostituirlo è pericoloso per la sicurezza nazionale e lo sforzo bellico». Inoltre il generale non è percepito come un «politico», come qualcuno che sia stato messo al suo posto da altri più potenti per calcolo o convenienza. Anzi, si è sempre (almeno fino allo scorso autunno, ma su questo torneremo più avanti) tenuto fuori dai giochi di palazzo. Dunque una prima conclusione è che se Zaluznhy venisse rimosso sarà difficile trovare in fretta questa somma di competenza professionale, attitudine al comando e preparazione.
L’ALLONTANAMENTO del generale, inoltre, presupporrebbe una serie di cambiamenti a catena, dagli alti ufficiali fino ai comandanti sul campo. Il che in un momento in cui sembra che la Russia stia preparando una nuova offensiva non è semplice e chissà quanto sarà efficace. Il Comandante in capo è il consigliere militare del presidente, per questo si può affermare che fino a un certo punto la guerra in Ucraina è stata combattuta nel segno di Zaluzhny. Il suo allontanamento cambierà la strategia. Senza contare che il generale gode di rapporti privilegiati con Usa e Nato, i quali lo ritengono molto più affidabile di altre figure apicali ucraine. Bisognerebbe ricominciare quasi da zero, il che richiederebbe tempo in un momento in cui, per ammissione dello stesso Zelensky «l’Ucraina non può aspettare».
LICENZIARE Zaluzhny vorrebbe dire diffondere del governo ucraino un’immagine instabile e ciò sarebbe estremamente pericoloso per Zelensky. Sia dal punto di vista della tenuta interna, sia per gli alleati (si pensi all’ostruzionismo repubblicano al Congresso Usa) sia per il nemico. Mosca non aspetta altro che accusare Zelensky di essere un dittatore in confusione per tentare di convincere l’Occidente che la guerra è finita. In ultimo non si potrà far sparire una figura così ingombrante.
Voci di corridoio sostengono che Zelensky gli avrebbe offerto un posto da ambasciatore in Europa in un colloquio segreto a inizio settimana. Secondo l’Economist, invece, Zaluzhny è il più titolato a sostituire il presidente stesso sia nell’immediato, sia nel prossimo futuro. È per questo, sostengono alcuni, che il presidente vuole allontanarlo. Le ultime indiscrezioni dicono che Zelensky avrebbe costretto il generale a firmare una lettera di dimissioni da pubblicare appena il momento sarà propizio, ma ciò che è certo è che il soldato Zaluzhny obbedirà (per ora) ma non si darà per vinto
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ROMA. Interrogati 286 alunni, di cui 239 minorenni. I genitori: «Modalità intimidatoria»
Il Virgilio occupato - LaPresse
Oggi alle 14 nell’aula magna dello storico liceo Virgilio di Roma cominceranno a sfilare, per essere interrogati dal consiglio disciplinare, i 286 studenti e studentesse che la dirigenza dell’istituto ha individuato come responsabili dell’occupazione dello scorso dicembre. Di questi 239 sono minorenni e saranno accompagnati dai genitori. Comincia quindi il «grande processo collettivo» agli occupanti: centinaia di consigli disciplinari per gruppetti di due o tre studenti, una manciata di minuti a volta.
«Se fosse un vero processo, potremmo portare delle prove – dice un ragazzo del collettivo della scuola – invece abbiamo tutti gli elementi ma nessuno che ci ascolta». Per loro si tratta di «un procedimento senza presunzione di innocenza ma anzi con presunzione di colpevolezza». La modalità di gestione delle sanzioni adottata dalla dirigenza dell’istituto ha suscitato in questi giorni un acceso dibattito (Il manifesto ha ospitato diverse lettere in merito). L’«Atto d’incolpazione d’addebito disciplinare» arrivato alle famiglie era parso subito contestabile, a partire dalla scelta di indicare in chiaro i nomi dei presunti responsabili. Una «inaccettabile violazione della privacy», secondo quanto si legge in entrambe le lettere inviate alla preside da collettivo e famiglie nel tentativo di rispondere punto per punto al bizzarro impianto accusatorio.
Le studentesse e gli studenti del collettivo, premesso che si faranno «carico della totalità delle spese volte a riparare i danni all’edificio ed agli oggetti» e che rivendicano l’occupazione e se ne assumono «le responsabilità», specificano: «non è l’erogazione delle sanzioni che contestiamo, quanto il carattere sproporzionato ed arbitrario dei criteri scelti nella differenziazione».
Il documento della dirigenza indica infatti tre gradi di colpevolezza: «recidivi», «organizzatori», «iscritti al primo anno». E di conseguenza diverse sanzioni. Per gli ultimi, giudicati incapaci per la giovane età di rendersi «conto delle conseguenze del proprio comportamento», solo una nota mentre si minacciano conseguenze molto più serie per gli altri che, a causa della riforma della condotta del ministro all’Istruzione (e merito) Valditara, potrebbero arrivare alla bocciatura.
Gli studenti contestano inoltre il concetto di «recidiva», in contrasto, secondo quanto scrivono alla preside Isabella Palagi, con lo stesso regolamento di istituto: «Si applica solo per reiterate violazioni dei doveri che ricorrono nello stesso anno scolastico, non per atti e comportamenti realizzati in quello precedente».
Anche i genitori (oltre cento i firmatari) scrivono alla dirigenza di aver rilevato «diverse criticità» nell’atto. Denunciano la «modalità di comunicazione, intimidatoria» e chiedono di «evitare uno scontro frontale tra scuola, studenti e famiglie» e di uscire da «una logica di rappresaglia, fatalmente destinata a lasciare strascichi e a minare il rapporto di fiducia necessario tra tutti i membri della comunità scolastica».
Intanto gli studenti dei licei capitolini in cui la dirigenza ha seguito con solerzia le indicazioni del ministro leghista, già in rete da tempo, stanno organizzando anche una risposta collettiva. «C’è solidarietà tra le scuole che stanno subendo questa repressione – spiegano – sono tutte conseguenze della stessa linea politica di destra e frutto dello stesso atteggiamento»
Commenta (0 Commenti)ITALIA. Scontro sul rapporto con il governo e con la Coldiretti. «Sono mercenari»
Dopo una settimana di proteste contro le politiche verdi europee, il movimento degli agricoltori si è diviso sul governo italiano. Ieri a Verona, dove già qualche giorno fa i manifestanti avevano bloccato il mercato, trecento persone hanno protestato nel giorno di apertura di Fieragricola, dove era atteso per l’inaugurazione il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.
Lollobrigida, che già nei giorni scorsi aveva rilasciato dichiarazioni a favore del movimento dei trattori sostenendo che il governo è dalla loro parte contro le politiche europee e assicurando che non avrebbe tagliato i sussidi al gasolio, ha incontrato una delegazione di agricoltori. «Noi vogliamo che fate approvare la legge sui costi di produzione, c’è una forbice dei prezzi che ci fa chiudere mentre altri stanno guadagnando», hanno detto i manifestanti. «Siamo qua perché siamo stati traditi dalle principali organizzazioni di categoria, siamo qua per difenderci perché non è possibile dire che non ci sono problemi, in Italia non ci saranno manifestazioni e invece ora l’Italia è invasa dai trattori».
Al termine il ministro ha dichiarato all’Ansa che l’incontro «è andato molto bene». Il ministro ha elogiato gli agricoltori, definendoli «i primi ambientalisti del territorio» perché «proteggono quello che hanno di più prezioso, la terra che gli ha dato il pane». Ha aggiunto che è necessario «proteggere il Made in Italy perché siamo una nazione piccola e se non difendiamo questo livello di qualità, il giusto prezzo, il giusto reddito dei nostri agricoltori, noi come nazione perdiamo il senso di esistere». Poi ha detto che «non ci devono essere agricoltori contro agricoltori».
Il ministro si riferiva al fatto che una parte del movimento, appena ha saputo dell’incontro, si è dissociata. Danilo Calvani, un imprenditore agricolo di Pontinia, in provincia di Latina, diventato il coordinatore del Comitato agricoltori traditi che ha organizzato le proteste, ha diffuso un comunicato su Facebook in cui dice che la delegazione che ha incontrato Lollobrigida non è rappresentativa del movimento. Calvani ha definito gli agricoltori che hanno incontrato il ministro come «un manipolo di opportunisti i quali, spacciandosi per rappresentanti dei contadini e della mobilitazione agricola, trattano con membri del governo per il loro personale tornaconto».
Calvani dieci anni fa è stato uno dei leader del movimento dei Forconi, un movimento di agricoltori, autotrasportatori e pescatori che protestavano contro l’allora governo Monti, ed è tra i fondatori della Lega nel Lazio.
Lo scontro tra le due anime del movimento è cominciato qualche giorno fa, quando un gruppo di agricoltori ha bloccato lo svincolo autostradale di Orte, in provincia di Viterbo, e ha bruciato alcune bandiere della Coldiretti e una parte dei manifestanti ha preso le distanze dalla contestazione alla più grande organizzazione degli agricoltori in Italia. La Coldiretti è ritenuta vicina al governo, dunque a Lollobrigida, che ha chiuso la sua campagna elettorale a un evento dell’associazione a Potenza e ha nominato come suo capo di gabinetto proprio un rappresentante della Coldiretti. Calvani ha detto apertamente che «una delle ragioni principali della nostra mobilitazione è proprio contro di loro». A fargli da sponda politica, anche se non apertamente, è il segretario della Lega Matteo Salvini, che da Bruxelles si è schierato con il movimento dei trattori e ha attaccato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
Nel frattempo, ieri la protesta in Italia si è estesa ad altre città. Ad Alessandria trecento agricoltori hanno bloccato la tangenziale con bandiere tricolori, cartelloni a sostegno del Made in Italy e scritte contro «costi esorbitanti e guadagni bassi». A Brescia i trattori del coordinamento Riscatto agricolo hanno bloccato il casello autostradale di Brescia, poi si sono diretti verso la sede di Coldiretti, dove nessuno ha voluto parlare con i contestatori
Commenta (0 Commenti)La protesta degli agricoltori irrompe sulle elezioni europee. L’estrema destra cavalca il malcontento, il sovranista Lollobrigida si barcamena. La Commissione Ue, dopo aver smontato il Green Deal, ora concede una deroga sui terreni a riposo. Oggi manifestazione a Bruxelles
LA PROTESTA. La Commissione Ue introduce deroghe all’obbligo di mantenere i terreni a riposo. Nel mirino i negoziati sull’accordo con Mercosur
Gli agricoltori francesi bloccano un’autostrada foto Ansa
Oggi i trattori degli agricoltori belgi, con delegazioni da Francia, Germania, Olanda e Italia con Coldiretti in rinforzo, accoglieranno i 27 capi di stato e di governo a Bruxelles, riuniti per il Consiglio straordinario dedicato ai finanziamenti all’Ucraina, 50 miliardi rimasti in forse a dicembre a causa dell’opposizione ungherese. L’Eliseo ha annunciato un incontro tra Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen sulla crisi agricola. Ieri, il ministro dell’agricoltura francese, Marc Fesneau, è andato a Bruxelles per «gestire le emergenze».
LA COMMISSIONE comincia a rivedere alcune regole: sulle terre da lasciare a riposo, destinate a proteggere la biodiversità – in principio il 4% per ottenere i versamenti Pac (la nuova politica agricola comunitaria), regola sospesa nel 2022 in seguito all’aggressione dell’Ucraina e rimessa in vigore da gennaio – oggi verrà annunciato un passo indietro, prolungando la deroga fino al gennaio del prossimo anno. La Francia ha inoltre presentato un progetto, approvato da una decina di paesi, che prevede di sostituire il 4% a riposo con l’impegno a destinare il 7% del totale a coltivazioni favorevoli alla biodiversità (leguminose) o a stagni o siepi, a scelta del coltivatore.
La Commissione, che intende confermare a giugno, per un altro anno, le esenzioni dai dazi e dalle quote per l’import dei prodotti agricoli ucraini, ha dichiarato ieri di essere pronta a
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