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Il vaccino anti-Covid Soberana sviluppato a Cuba ha un’efficacia superiore al 90% e potrebbe essere presto prodotto in Italia per il mercato europeo

Sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Regional Health i risultati dei trial clinici sul vaccino anti-Covid Soberana 2 in combinazione con una terza dose del vaccino Soberana Plus, entrambi sviluppati dall’istituto Finlay dell’Avana (Cuba). La sperimentazione ha coinvolto 44 mila volontari in un periodo in cui a Cuba dominavano le varianti beta e delta del coronavirus. Il vaccino in tre dosi ha dimostrato un’efficacia del 92%, con un margine di incertezza compreso tra l’80% e il 97%. Al test, randomizzato e in doppio cieco secondo gli standard della ricerca farmacologica, hanno partecipato anche ricercatori dell’università di Gand (Belgio) e Teheran (Iran) coordinati dal direttore del Finlay, il vaccinologo Vicente Vérez Bencomo.

IL VACCINO CUBANO dunque ha dimostrato sul campo un’efficacia paragonabile a quella dei più costosi vaccini a mRna, con il vantaggio di poter essere somministrato anche nei neonati. La tecnica impiegata dai ricercatori cubani infatti è la stessa di altri vaccini ben noti, sicuri e già utilizzati anche con il riconoscimento dell’Oms. Soberana è un cosiddetto vaccino «a subunità proteica»: mette l’organismo a contatto con una porzione della proteina esterna del coronavirus – la cosiddetta «spike» – in modo che il sistema immunitario possa riconoscerla e sviluppare anticorpi specifici.

FINORA I VACCINI cubani avevano ricevuto molti elogi, perché uno Stato così piccolo e con un’economia fragile è riuscito in un’impresa medico-scientifica fallita da Stati assai più attrezzati, come la Francia e la stessa Italia. Ma avevano incontrato anche molta diffidenza nella comunità scientifica occidentale. Mentre le prove sull’efficacia dei vaccini occidentali erano state pubblicate su riviste scientifiche prestigiose come New England Journal of Medicine o Lancet, i risultati ottenuti da Cuba non erano stati validati dalle riviste che selezionano gli studi attraverso la peer review – la revisione delle ricerche da parte di esperti indipendenti – le sole ritenute rilevanti dalla comunità scientifica. Questo faceva dubitare della trasparenza dei ricercatori cubani. Invece, «con la pubblicazione su Lancet Regional Health cade anche questo alibi: la ricerca pubblica cubana si è dimostrata all’altezza di quella realizzata dalle industrie private, a costi decisamente superiori, negli Usa e in Europa» spiega il biologo molecolare italiano Fabrizio Chiodo del Cnr, che ha collaborato con l’istituto Finlay nello sviluppo di Soberana.

COME MAI i dati sul vaccino cubano arrivano così tardi e su una rivista meno importante, come Lancet Regional Health? «I ricercatori cubani – spiega Chiodo – hanno sempre divulgato su Internet i propri risultati attraverso la piattaforma aperta medrXiv, quella usata in tutto il mondo per condividere le ricerche ancora prima di pubblicarle sulle riviste. Ma quando si tratta di pubblicare i risultati, le riviste maggiori hanno spesso messo i bastoni fra le ruote a Cuba» spiega Chiodo. «In un caso, una delle riviste più accreditate ci ha messo sei mesi solo per trovare i revisori che valutassero lo studio, rallentando così la pubblicazione. Perciò, dato che stava diventando un ritornello stucchevole, per la sperimentazione del vaccino Soberana si è scelto un compromesso: accettare di pubblicare in tempi ragionevoli, su una rivista magari meno blasonata ma con la peer review. Lancet Regional Health è pur sempre una rivista del gruppo Lancet e applica gli stessi criteri rigorosi nel selezionare le pubblicazioni».

NON È COMUNQUE il primo studio cubano convalidato dalla comunità scientifica ufficiale. Solo sul vaccino Soberana l’Istituto Finlay ha all’attivo 13 pubblicazioni scientifiche su varie riviste. Tra queste, ne spicca una del novembre 2022 sull’International Journal of Infectious Diseases che dimostra la sicurezza del vaccino nei bambini. Cuba è stato il primo paese a vaccinare in sicurezza anche quelli più piccoli. «Oggi il 97% dei bambini cubani al di sopra dei 2 anni è vaccinato contro il Covid» sostiene Chiodo.

LA VERA NOTIZIA è che il vaccino cubano potrebbe a breve essere prodotto in Italia per il mercato europeo. «L’accordo con la società farmaceutica Adienne di Caponago (Monza) sta procedendo. I loro stabilimenti hanno la certificazione di qualità necessaria per l’approvazione del vaccino cubano da parte dell’Agenzia europea del farmaco europea, l’ostacolo che finora ha impedito a Cuba di esportare i vaccini in Europa». Se accadrà davvero, quello cubano sarà il primo vaccino anti-Covid prodotto da un’azienda italiana

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GERMANIA. Il boom dopo l'invasione russa perché l'unico teatro di combattimento possibile sarebbe quello ucraino. L'associazione degli obiettori di coscienza fa pressione: allargare la possibilità di uscita dalle forze armate a tutti, non solo ai "vecchi"

 Soldati tedeschi in Slovacchia, al confine con l'Ucraina per conto della Nato - Kay Nietfeld/Ap

Indossano l’uniforme della Bundeswehr con tanto di patch della Nato, eppure non hanno alcuna intenzione di andare a combattere in Ucraina, sebbene per ora sia solo una probabilità puramente teorica. Nel 2022 sono stati quasi mille i soldati professionisti che hanno presentato la domanda di «esenzione dal servizio di combattimento nelle zone di guerra».

Un vero e proprio boom rispetto a prima dell’invasione russa, come è costretto a confermare il governo Scholz: «Siamo passati da 201 richieste del 2021 alle 951 dell’anno scorso», dettaglia il portavoce del ministero degli Affari sociali, delegato alla raccolta della documentazione che in teoria riguarda tutte le aree belliche ma in pratica si riduce all’unico teatro dove si potrebbe profilare l’intervento tedesco: l’Ucraina.

IN GERMANIA la possibilità per i militari di chiedere di essere sollevati dalle missioni che prevedono il combattimento risale all’epoca in cui vigeva il servizio di leva, abolito nel 2011. Mentre i nuovi volontari della Bundeswehr non possono più presentare la domanda di esenzione, rimane un’opzione per chi è stato inquadrato prima della fine del servizio militare obbligatorio.

In totale negli ultimi dodici mesi i richiedenti sono quintuplicati, nonostante continuino a rappresentare meno dell’1% dell’organico delle forze armate federali forte di 183mila effettivi. Quasi tutti in servizio entro i confini nazionali o nel recinto operativo dell’Alleanza atlantica.

Fuori, dopo il ritiro dall’Afghanistan, la Germania impiega 82 militari nel contingente Kfor in Kosovo, 62 nell’ambito di Unimiss in Sudan e altrettanti in Unifil nel Libano. Seguono 1.500 inquadrati nelle missioni Eutm e Minusma in Mali (in ritiro), 164 inviati in Giordania per Minurso e la lotta a Daesh, più 235 in servizio nel Mediterraneo con l’operazione Irini che terminerà il prossimo aprile.

NON FA DISTINZIONI di ruoli né di teatri di impiego, invece, l’appello diffuso ieri dagli obiettori di coscienza della «Società per la Pace» (Dfk) innescato dai «numeri sintomatici» ammessi dal ministero degli Affari sociali.

In particolare Dkf chiede a governo e Bundestag di introdurre la possibilità di «exit» agevolata dall’esercito per chiunque lo vorrà, al di là dei limiti stabiliti dalla ferma volontaria: «In questo momento di instabilità politica e insicurezza, chi è giunto a conclusione che non vuole sparare deve avere una via d’uscita facile e rapida dalle forze armate», riassume il portavoce Michael Schulze von Glasser.

Perfettamente in linea con il valore fondativo della Bundeswehr: dopo la sconfitta del 1945 alla Germania venne permesso di avere un esercito solo difensivo, privo di qualunque capacità tecnica di proiezione offensiva

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Arrivato a Cosenza il primo gruppo di sanitari reclutati nel Paese centroamericano per sopperire le carenze strutturali della Regione. Il governatore Roberto Occhiuto (Fi): «Sarà un modello che anche altre regioni potranno applicare, in particolare per rispondere alla distorsione del mercato delle professioni. Mi riferisco alle cooperative di medici a gettone che fanno pagare alle aziende sanitarie 120 euro, in Calabria 150 euro, ad ora per ogni medico»

Calabria, la carica dei 51 medici cubani LaPresse

Sono 13 donne e 38 uomini. Tutti medici di nazionalità cubana. Più della metà ha già operato in altri Paesi. È il contingente sanitario reclutato a tempo determinato dalla Calabria per sopperire alle carenze di personale sanitario. A Cosenza, dovunque li riconoscano, i cittadini li accolgono con sorrisi e strette di mano. Fino al 20 gennaio, quando il primo gruppo di specialisti si trasferirà negli ospedali di Locri, Polistena, Gioia Tauro e Melito Porto Salvo, faranno vita monastica. Sono alloggiati nella caserma dei bersaglieri della città bruzia e frequentano il corso intensivo d’italiano all’Unical. Studiano la nuova lingua anche quando rientrano nelle loro camere, fino a tarda notte. E nonostante le temperature miti, soffrono il freddo che discende dai monti della Sila. Sono motivatissimi. Ma avvertono già la nostalgia di casa e non vedono l’ora di farvi ritorno. A questo primo gruppo se ne aggregheranno altri, fino a un totale di almeno 200 unità da assegnare alle poche e fatiscenti strutture rimaste nelle diverse province calabresi.

NON È LA PRIMA VOLTA che la Regione si vede costretta a«chiedere aiuto ai comunisti» (il copyright è dei giornali di destra, ndr) per affrontare l’emergenza sanitaria. È già accaduto due anni fa, quando l’organizzazione Emergency operò nell’ospedale di Crotone a pochi mesi dall’inizio della pandemia. Chissà cosa avrebbe detto Gino Strada dell’iniziativa calabro-cubana. Lui che ha provato a riassestare la rattoppata sanità regionale durante quei mesi difficili. E che sarebbe stato un ottimo commissario regionale alla sanità se non gli avessero messo i bastoni tra le ruote. Ed è lo stesso medico di Sesto San Giovanni a raccontare il calvario degli ospedali calabri in un eccellente docufilm: «C’era una volta in Italia. Giacarta sta arrivando», che proprio in questi giorni è nelle sale. Racconta lo sfacelo calabrese e la lotta di chi vuol provare a cambiare le cose davvero. Come gli occupanti dell’ospedale “Giuseppe Cosentino” di Cariati.

Oggi il commissario alla sanità è il presidente di Regione, Roberto Occhiuto (Fi). È lui l’artefice dell’accordo italo-cubano. Accompagnato dall’ambasciatrice di Cuba, Mirta Granda Averhoff, ha presentato i termini dell’operazione. «Sarà un modello che anche altre regioni potranno applicare, in particolare per rispondere alla distorsione del mercato delle professioni. Mi riferisco alle cooperative di medici a gettone che fanno pagare alle aziende sanitarie 120 euro, in Calabria 150 euro, ad ora per ogni medico».

LA CARENZA DI PERSONALE sanitario in Calabria è endemica. Parte sin dal 2004 con la norma che ha introdotto il blocco del tetto di spesa per le aziende sanitarie. A questo va aggiunto l’imbuto formativo che ha ridotto il numero di medici specialisti a disposizione del sistema sanitario, risolto con l’aumento delle borse di specializzazione ma il cui effetto si avrà solo tra 4-5 anni. Molti bandi di concorso in alcune aree sono andati deserti.

Senza l’aiuto in extremis dei medici cubani l’alternativa sarebbe stata smantellare alcuni servizi o presidi sanitari. L’accordo di cooperazione tra il governo cubano e la Commissione europea risale al 2017. La Calabria è la prima Regione ad usufruirne. Da un punto di vista giuridico i medici – è previsto nello schema di assunzione- saranno contrattualizzati dalle aziende del Servizio sanitario regionale nella forma del contratto libero professionale secondo le procedure previste dalla normativa vigente. La durata dei contratti con i singoli professionisti è a tempo determinato e non potrà superare i limiti temporali previsti dalla normativa italiana, in ogni caso non più di due anni. Soddisfatta anche l’associazione Italia-Cuba. «Oggi come sempre Cuba esporta medici e non armi. Nelle nostra regione viene negato pervicacemente il diritto alla salute. È una operazione riuscita malgrado i dubbi e le perplessità dimostrati proprio dai responsabili del disastro e dai portatori di interessi corporativi e dei privilegi di casta, fino ai tentativi palesi ed occulti di boicottare l’operazione», afferma Pino Scarpelli, della segreteria nazionale.

INTANTO, MENTRE proseguono i lavori per la realizzazione del nuovo ospedale della Sibaritide, ai nosocomi di Reggio e Cosenza la Regione ha assegnato rispettivamente altri 689 e 308 milioni che si aggiungono a quelli già stanziati. In generale, la situazione sanitaria rimane drammatica. Le carenze più gravi di personale si registrano nei Pronto soccorso. In quello di Cosenza, tra dimissioni dal tempo indeterminato, rinunce e fughe dopo il primo trimestre di prova, sono scappati quasi tutti i medici. Sanno che di notte devono curare fino ad 82 pazienti. Il Pronto soccorso non ha sfogo nei reparti. Nei concorsi banditi negli ultimi anni, che avrebbero consentito l’assunzione di 8 nuovi medici, si sono presentati solo in due. Ecco perché la scelta del presidente Occhiuto di convocare specialisti cubani è stata interpretata come uno schiaffo morale ai giovani medici calabresi.

LA CALABRIA resta ultima nella graduatoria nazionale dei livelli essenziali di assistenza. Lo ha certificato nel novembre scorso la Corte dei Conti. Circa il 20% dei ricoveri dei residenti calabresi risulta effettuato presso strutture collocate al di fuori del territorio regionale. Le risorse pubbliche per la sanità continuano a finire nelle casse dei privati. Significativi i dati sulla diagnostica. Per esempio, le apparecchiature diagnostiche «sono 213 di cui 120 in uso presso le strutture pubbliche e 93 in uso nelle private». I valori che destano più sospetto – precisa la Corte dei Conti – sono quelli relativi alle risonanze magnetiche, «soprattutto ove si rilevi che su un totale di 55 apparecchi, 36 sono in uso a strutture private e 19 in strutture pubbliche».

Nonostante la Regione abbia ricevuto, negli anni 2020 e 2021, risorse finanziarie per oltre 251,911 milioni, «ad oggi – annota la magistratura contabile – il 67% della somma non è stata ancora trasferita agli enti sanitari». I medici cubani in arrivo dovranno così costruire dalle macerie. Un’impresa difficile, un’utopia cubana

 

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REGIONALI. La candidata 5 stelle alla Regione Lazio non risponde all’appello all’unità che ha raccolto 3600 firme

Bianchi dice no al ticket. I Verdi: sei irresponsabile Donatella Bianchi - foto Ansa

«Nessun margine per un accordo col Pd alle regionali del Lazio», tuona dalle colonne del Fatto la candidata dei 5S Donatella Bianchi, conduttrice di Linea Blu ed ex presidente del Wwf. Una lunga intervista in cui Bianchi non giustifica in modo credibile il no ad una alleanza che il candidato Pd D’Amato ha rilanciato last minute mercoledì, proponendole un ticket per non regalare il Lazio alle destre. Anzi, ripete i vecchi argomenti di divisione, come il fatto che i dem abbiano anteposto la scelta del candidato ad una discussione vera sui programmi e l’ormai annosa questione del termovalorizzatore di Roma, che peraltro è di pertinenza del Comune.

«Io sono arrivata quando già si era chiusa ogni ipotesi di intesa», si chiama fuori Bianchi. E alla domanda sulle sue possibilità di vittoria pari a zero, risponde in modo surreale: «Da cittadina credo che si debba lavorare per costruire un futuro per i nostri figli e ridare ai cittadini fiducia nelle istituzioni».

Un no a prescindere, dunque, che non risponde all’accorato appello lanciato sul manifesto da Fabrizio Barca, Luciana Castellina, Giorgio Parisi e altri e che ha raccolto oltre 3500 firme in tre giorni. Un no ribadito ieri dal capogruppo alla Camera dei 5S Francesco Silvestri: «Con noi non serviva parlare di poltrone, ma di programmi, e dire un chiaro no all’inceneritore. Siamo coerenti con la nostra storia e non possiamo accettare un ambientalismo ad intermittenza in una coalizione guidata da chi, come Renzi e Calenda, è già la stampella di questo governo».

«Quelle di Bianchi sono parole terrificanti», sibilano i coordinatori regionali dei Verdi Filiberto Zaratti e Simona Saraceno. «È ufficiale che il M5S vuole regalare il Lazio alla peggiore destra. Dobbiamo ricordare a Bianchi che i primi provvedimenti della destra saranno la riduzione della superficie dei parchi e lo smantellamento del piano energetico regionale incentrato sull’implementazione delle rinnovabili, una proposta peraltro dell’assessore Lombardi del M5S». «Lasciare a questa destra la gestione dei 17,8 miliardi di euro del Pnrr, che potrebbero cambiare il volto della regione in chiave ecologista, più che sbagliato è francamente irresponsabile», l’attacco dei Verdi. «Il no senza appello di Bianchi è veramente irragionevole, ispirato a tattiche politiciste e all’interesse di partito, anziché al bene comune», attacca la consigliera uscente Marta Bonafoni. «Le priorità che indica Bianchi sono azioni già messe in campo dalle loro due assessore nella giunta Zingaretti».

Mentre il candidato consigliere dei rossoverdi Claudio Marotta invita tutti a «fermare i motori e insistere fino all’ultimo minuto utile per tenere unita l’alleanza progressista», da Pd e terzo polo già partono le bordate a Bianchi. «Ha detto che si metterà in aspettativa dalla Rai solo se sarà eletta presidente, dunque si prepara a prendere il doppio stipendio da furbetta se sarà solo consigliera regionale di opposizione?», domanda il dem Andrea Casu. «5 stelle o 5 poltrone?», il fendente del renziano Luciano Nobili, che la accusa di voler restare anche presidente del parco delle Cinque terre in Liguria. «Manca solo che mi chiedano di dimettermi dal condominio», la replica stizzita di Bianchi. Antipasto di una campagna elettorale che sarà una Caporetto

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MEDITERRANEO. 18 Ong del mare attaccano il decreto Piantedosi. Critiche anche Asgi, Libera e Cgil: regole sbagliate che faranno aumentare i morti

La Commissione Ue: «Stati rispettino legge del mare, i soccorsi sono un obbligo» Un soccorso in mare operato dalla Ocean Viking - Ap

«I Paesi membri devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare: salvare vite in mare è un obbligo morale e legale». Lo ha ribadito ieri la portavoce della Commissione Ue Anita Hipper, pur sottolineando come non spetti all’Unione analizzare il contenuto del decreto Piantedosi, firmato il 2 gennaio scorso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La netta presa di posizione di Bruxelles è arrivata nella stessa giornata in cui 18 Ong hanno fatto appello alle istituzioni europee affinché reagiscano con fermezza alle nuove norme che ostacoleranno, per l’ennesima volta, le attività di soccorso nel Mediterraneo centrale. Il comunicato congiunto è stato sottoscritto da tutte le organizzazioni non governative impegnate a vario titolo nei soccorsi in mare, con l’eccezione di Sos Mediterranée che ha pubblicato un suo testo dai contenuti simili ma a firma singola.

Le Ong sostengono che il decreto «ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo» e che «contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti

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REGIONALI LAZIO. Oltre 3000 firme per l'appello lanciato da Barca e Castellina sul manifesto. Sì anche dai dem Cuperlo e Crisanti. Il candidato Pd: favorevole a un accordo con Donatella Bianchi. Calenda furioso. La sinistra spinge per la ricomposizione. Per Conte «proposta tardiva»

D’Amato apre al ticket coi 5S: «Insieme governiamo bene» Alessio D'Amato, candidato Pd alle regionali del Lazio - LaPresse

Le oltre 3000 firme raccolte in due giorni dall’appello a Pd e 5S lanciato sul manifesto da Fabrizio Barca, Luciana Castellina e Giorgio Parisi per non regalare il Lazio alle destre hanno ottenuto un primo risultato. Ieri il candidato del Pd Alessio D’Amato ha fatto una prima mossa, proponendo un ticket alla candidata del M5S Donatella Bianchi.

«Da parte mia le porte sono sempre aperte, anche per un accordo in extremis. Se Bianchi volesse fare un ticket per me sarebbe cosa gradita», ha detto a Tagadà su La7, rispondendo a una domanda sull’appello. D’Amato ha fatto pesare i numeri dei sondaggi, che vedono attorno a lui un consenso molto più alto rispetto a quello del M5S. Ma ha precisato: «Non è un invito a casa mia, la casa è nostra perché il Lazio lo governiamo insieme da anni».

IMMEDIATA LA REAZIONE di Carlo Calenda, che fa parte della sua coalizione: «Faccelo sapere rapidamente Alessio D’Amato, in tempo per presentare un nostro candidato alternativo a questo eventuale pastrocchio con i 5S. Basta giochini e alchimie». Sulla stessa linea +Europa: «Quando abbiamo espresso il nostro convinto sostegno a D’Amato abbiamo esplicitamente chiarito che lo facevamo in una coalizione senza il M5S», twitta Benedetto Della Vedova.

COMPLETAMENTE DIVERSA l’opinione delle forze di sinistra, che in queste settimane si sono trovate sballottate tra i due litiganti. Dai Verdi ad Articolo 1 a Massimiliano Smeriglio di sinistra civica ecologista il coro è unanime: proviamoci fino all’ultimo minuto. E ai promotori arrivano applausi anche da numerosi esponenti dem: dal senatore Andrea Crisanti (che ha firmato) a Gianni Cuperlo che lo «condivide» all’ex vicesindaco Walter Tocci.

«Fa bene D’Amato a insistere fino all’ultimo giorno utile per ricomporre l’alleanza che già governa il Lazio», dice Smeriglio. «È una responsabilità enorme quella di rompere il campo largo e rendere più facile il compito della destra. Chi rompe paga. Ed è incomprensibile l’ostinazione di Calenda nel cercare di indebolire l’alleanza».

«La strada di una ricomposizione anche in extremis della coalizione è quella giusta per vincere nel Lazio», dice la consigliera uscente Marta Bonafoni, molto vicina a Schlein. «Un ticket tra D’Amato e Donatella Bianchi ci consentirebbe di ripartire proprio da qui, per una possibile riscossa anche a livello nazionale del fronte progressista». Segue un appello a Conte: «Dimostri di voler bene alle comunità della nostra regione e di dar ragione del grande lavoro svolto dal M5S insieme alle forze che hanno sostenuto la giunta di Nicola Zingaretti».

TRA I 5 STELLE NEL LAZIO c’è fermento. «Citofonare Conte», sussurra l’assessora uscente Roberta Lombardi, capofila di quelli che non hanno mai apprezzato la rottura coi dem. La candidata Bianchi ufficialmente tace. Dal quartier generale del Movimento filtra freddezza. Si tratta di una «proposta tardiva», il ragionamento condiviso da Conte e da Bianchi.

L’idea del ticket viene bocciata perché riproporrebbe lo stesso problema di qualche mese fa: «Per noi non è questione di poltrone, il confronto doveva partire dai temi». Il M5S nota poi una certa «confusione» nel fronte del centrosinistra, visto che D’Amato è stato «richiamato e smentito» da Calenda, il leader che più ha spinto la sua candidatura.

Porte chiuse, dunque, almeno all’idea del ticket. Tra i promotori dell’appello tornano a circolare nomi di possibili candidati unitari come Massimo Bray e Francesca Danese. Anche i verdi insistono: «Il M5S ha l’opportunità di rimettere in campo una proposta politica che può battere le destre nel Lazio», dice il deputato Filiberto Zaratti.

D’AMATO NON SI ARRENDE «Le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono», spiega al manifesto. «E in questi anni insieme abbiamo ottenuto buoni risultati su temi come ambiente e lavoro, oltre che sulla sanità. Ma è chiaro che i matrimoni si fanno in due, ci deve essere una volontà comune».

L’attuale assessore alla Sanità invita il M5S a mettere «in secondo piano» l’idea di una «competizione nazionale» tra Pd e M5S «per qualche voto in più». «Se mettiamo al centro la vita dei cittadini del Lazio è incomprensibile non arrivare a un’intesa, su questo hanno totalmente ragione i promotori dell’appello». E a Calenda ricorda: «La maggioranza attuale va dal terzo polo al M5S e non ha mai registrato gravi rotture».

Quanto all’ipotesi di un suo passo indietro, che Conte da tempo auspica, D’Amato è netto: «Non siamo a X Factor, io rivendico di aver portato la sanità del Lazio fuori dal commissariamento e la buona gestione del Covid. Dal M5S mi aspetto che spieghino chiaramente agli elettori le ragioni di un eventuale loro no alla mia proposta. In ogni caso mi rivolgerò anche ai loro elettori, il 12 e 13 febbraio si vota per un presidente e io sono un combattente: i cittadini hanno già verificato come lavoriamo, e hanno visto i disastri che ha combinato la destra». Contatti diretti con Bianchi a ieri sera non ce n’erano stati. Oggi è un altro giorno

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