IL CASO. Oggi il via libera a un provvedimento eterogeneo: risultati modesti, massimi i danni. Sinistra, Verdi-M5s: «Costituzione violata, ecosistemi danneggiati»
Il prezzo del gas scende, le bollette aumentano, la benzina è alle stelle. E tornano le trivelle in Adriatico. L’ultima trovata di un governo provato da un inizio d’anno devastante è spuntata nel «Decreto aiuti quater», un minestrone di norme che favoriscono interessi consolidati anche nel campo del capitalismo fossile. Sarà approvata in maniera definitiva oggi alla Camera dopo la fiducia ottenuta ieri dal governo con 205 voti favorevoli, 141 contrari e 4 astenuti.
LA NORMA sulle trivellazioni servirà a derogare dalla legislazione ambientale vigente e permetterà nuove estrazioni offshore di idrocarburi nell’Alto Adriatico, in particolare quelle che fronteggiano il Delta del Po. La sua approvazione contrasta con gli impegni presi dall’Italia sull’azzeramento delle emissioni inquinanti prese a livello internazionale, e con una modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione che stabiliscono la protezione dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni. Le trivelle in mare sono da tempo un simbolo per tutti i partiti, e le lobby, che sostengono le ragioni dell’estrattivismo. Si ricordano per esempio le uscite dei renziani, fuori e dentro il Pd, contro un referendum abrogativo del 2016 che non ha raggiunto il quorum (31,6%), anche se la stragrande maggioranza (l’85%) votò l’abrogazione della norma che stabiliva lo sfruttamento fino ad esaurimento dei giacimenti entro 12 miglia nautiche dalla costa. Oppure la fretta del governo Draghi di riaprire la partita insieme a quella dei rigassificatori, a cominciare da quello di Piombino, per accumulare risorse energetiche dopo il taglio del gas dalla Russia a seguito della guerra in Ucraina. Le rinnovabili? Ci penserà il «Pnrr», dicono.
CON L’INSEDIAMENTO del governo Meloni la trivella è diventato un altro totem della maggioranza delle destre leghiste e postfasciste che combinano un ancora tiepido negazionismo climatico con gli interessi del capitalismo fossile. Lo stesso accade alle altre consorelle dell’internazionale reazionaria dagli Stati Uniti al Brasile e oltre.
QUELLO CHE COLPISCE in questa decisione è la modestia dei risultati attesi. «L’incremento della produzione nazionale di metano sarà di 15 miliardi di metri cubi di gas in un decennio: si tratta di meno del 2% del fabbisogno italiano annuo» ha detto Alfonso Colucci, capogruppo Cinque Stelle nella commissione Affari Costituzionali di Montecitorio. «Il governo italiano riprende le trivellazioni e vuole trasformare il nostro Paese in un hub europeo del gas infischiandosene del cambiamento climatico – ha sostenuto Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) – Gli obiettivi climatici nel 2030 non saranno assolutamente rispettati». Nella sua sostanza, questo è un provvedimento criminale, senza esagerare i termini, perché sempre più governi sono trascinati nei tribunali e chiamati a pagare per le misure contro l’ecosistema» ha accusato Eleonora Evi (Alleanza Verdi e Sinistra).
TRA LE ALTRE MISURE contenute nel decreti ci sono i crediti di imposta per contrastare l’aumento dei costi dell’energia elettrica e del gas a carico delle imprese energivore e gasivore (40%). Sarà ridotto il taglio delle accise sui carburanti in vigore dal precedente decreto Aiuti, il terzo varato dal governo Draghi, rimasto in vigore fino al 30 novembre 2022. Sarà riconosciuto alle imprese agricole e della pesca un credito di imposta del 20 percento sull’acquisto del carburante per la trazione dei mezzi utilizzati. Prevista l’stensione dei bonus aziendali da 600 a 3mila euro, totalmente senza tasse. Li chiamano «fringe benefits»
Commenta (0 Commenti)IL CASO. Inflazione, le previsioni della Banca Centrale Europea: «Altri due anni così». Ma il calo del tasso dell’inflazione non implica un aumento dei livelli di vita
Il pasticcio sul prezzo della benzina combinato dal governo Meloni potrebbe essere l’antipasto che lo attende nella prossima primavera. Allora dovrebbe esaurirsi l’effetto «tampone» degli oltre 21 miliardi di euro stanziati dalla legge di bilancio per bloccare l’aumento dei prezzi dell’energia. «A fine marzo – ha scritto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti nel Documento programmatico di bilancio 2023 – il governo rivaluterà la situazione e, se necessario, attuerà nuove misure di contrasto al caro energia utilizzando prioritariamente eventuali entrate aggiuntive e risparmi di spesa che si manifestassero nei primi mesi dell’anno».
Tra tre o quattro mesi potremmo rivedere governo e maggioranza attorcigliarsi di nuovo per trovare altri fondi, tagliare un bonus per finanziare un altro, opponendo chi prende il «reddito di cittadinanza» a chi riceva l’assegno per i figli, e entrambi a chi deve prendere la macchina e pagare il doppio la benzina. Sempre che non inizino a tagliare altre voci del Welfare. Il «reddito di cittadinanza» resta un osso da spolpare.
Per capire lo scenario sul quale sta ragionando il governo possiamo leggere il bollettino mensile pubblicato ieri dalla Banca Centrale Europea. Da qui si possono capire le preoccupazioni di Meloni & co. L’inflazione dei beni energetici e alimentari resterà più elevata delle attese e si potrarrà per almeno altri due anni in Europa, dice la Bce. I primi segnali di rallentamento registrati dall’Eurostat in una stima preliminare (a novembre i prezzi erano al 10%, in calo rispetto a ottobre: 10,6%) restano ben lontani dall’obiettivo del 2%. Un simile livello dovrebbe essere raggiunto nel 2025 (il 2,3%). Quest’anno, la media europea dovrebbe attestarsi al 6,3%. Nel frattempo la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina continuerà «a destabilizzare i mercati delle materie prime energetiche e alimentari e i prezzi dell’energia resteranno volatili». Si prevede una recessione, ma a Francoforte dicono che sarà breve e «lieve». In ogni caso la Bce aumenterà la possibilità di recessione: rialzerà ancora i tassi di interesse oltre i 50 punti base, il denaro costerà di più, aumenteranno i mutui, calerà il potere di acquisto dei salari.
La Bce ha fatto un’osservazione interessante: le dispendiosissime misure a sostegno delle famiglie e delle imprese per contenere, senza riuscirci, il caro-energia «dovrebbero» frenare l’incremento dei prezzi nel 2023. Ma «una volta revocate, l’inflazione riprenderà a salire». Gli aiuti «contribuiscono considerevolmente alla correzione verso l’alto nel 2024 in un contesto in cui si prefigura la scadenza di molti di questi provvedimenti».
Sembra, dunque, che al di là dell’andamento decrescente dell’inflazione, i prezzi dei beni e dei servizi resteranno alti, e non solo quelli della benzina. Un problema per chi ritiene che la base sociale della «democrazia di mercato» siano i «ceti medi» e i «consumatori».
A differenza di quanto scrive la Bce la questiona centrale della nuova inflazione non è in sé l’aumento dei prezzi, ma il loro impatto sui salari e sui redditi. L’effetto del riflusso dei primi sarà comunque negativo sui secondi visto che i bonus governativi sono destinati prima o poi – più prima, che poi – a esaurirsi. Non per volontà di chi governa, ma perché i singoli Stati non possono finanziare a fondo perduto un sistema alle prese di una crisiprovocata anche dal blocco delle catene globali di approvvigionamento, dal calo della produttività e dagli effetti della crisi climatica. I margini di profitto delle aziende sono stati rosicchiati. Davanti a loro c’è una scelta: aumentare i prezzi delle merci oppure dare un altro taglio ai salari?
Questa prospettiva non sembra rientrare nelle previsioni della Bce che, invece, parla di una «crescita dei salari superiori alle medie storiche». In realtà non sembra proprio così. Questa non è un’inflazione da salari, ma da profitti. In Italia lo è senz’altro. In Francia i salari reali sono arretrati del 3% nell’ultimo anno. Negli Stati Uniti quelli nominali sono i più deboli da agosto 2021. È in questa trappola che si trova anche il governo Meloni: il calo del tasso globale dell’inflazione non implica un aumento dei livelli di vita
Commenta (0 Commenti)CONGRESSO DEM. La direzione vara le regole per il congresso. a proposta di Schlein di voto digitale accolta solo per poche categorie: anche per chi vive lontano dai seggi. Giorni e notti di trattative per evitare la conta. Letta: sarebbe stata deleteria
Dopo infinite discussioni, che hanno dominato la vita del Pd nei primi giorni dell’anno, ieri a ora di cena la direzione ha approvato le regole per il congresso. Le tensioni sono arrivate alle stelle martedì e sono poi tracimate in tutta la giornata di ieri, tanto che la riunione della direzione, prevista per le 12.30, è slittata alle 19.30.
UNO PSICODRAMMA CHE HA riguardato sostanzialmente la proposta di Elly Schlein di votare anche online alle primarie di febbraio, che sono state spostate dal 19 al 26 con il consenso di tutti. Una proposta che gli altri candidati hanno guardato con sospetto, tanto che martedì sera dal comitato di Stefano Bonaccini era arrivata una dura presa di posizione: «Le regole del congresso sono state già cambiate per consentire a chi non era del Pd di partecipare (Schlein, ndr). La sola ipotesi che si possa spaccare il partito per cambiarle, a congresso già in corso, sarebbe sciagurata». «Se ci spacchiamo sulle regole rischiamo di essere individuati come marziani», è tornato di nuovo alla carica ieri il governatore emiliano.
In realtà, la proposta di Schlein poteva tranquillamente essere votata ieri dalla direzione. Ma a tutti i costi si è voluta evitare una conta che agli occhi di Letta sarebbe stata «deleteria». Perché non è chiaro. Ha provato a spiegarlo il suo braccio destro Marco Meloni: «Dovevamo evitare di spaccarci sulle regole, che sono il presupposto per il riconoscimento reciproco anche dopo le primarie». Tradotto: senza regole condivise chi perde avrebbe avuto una ragione in più per andarsene in caso di sconfitta.
ALLA FINE IL REGOLAMENTO è passato con 1 contrario e 9 astenuti. Paola De Micheli, una dei candidati, non ha partecipato al voto: «Il voto online andava discusso per tempo, non si introduce a 40 giorni dalle primarie». De Micheli contesta anche la mediazione trovata dagli sherpa dei candidati che hanno lavorato come matti.
In sostanza potrà votare online (e solo con una rigida modalità di registrazione come lo Spid e previa registrazione entro il 12 febbraio), solo chi risieda all’estero, abbia disabilità, una malattia o altro impedimento da autocertificare, e chi vive in località «troppo distanti» dai seggi delle primarie.
PIÙ CHE DI UN COMPROMESSO, si tratta di una bozza, che la commissione per il congresso (votata ieri) dovrà ulteriormente limare per stabilire, ad esempio, quale sia la distanza dal seggio che consente il voto online. «Com esi stabilisce la distanza? Questa è una pagliacciata inventata per dare soddisfazione a uno solo dei candidati», tuona dal palco Enza Bruno Bossio, ex deputata che sostiene De Micheli.
Soddisfatta invece Schlein: «È una vittoria per il Pd. Rompere il muro della partecipazione con primarie online è importante per definire il profilo di un partito unito, moderno e inclusivo».
LETTA È ARRIVATO STREMATO alla riunione. «So che questo accordo non ha soddisfatto tutti, ma sarò garante di questo punto di equilibrio. È stato un lavoro faticoso, tutti hanno fatto uno sforzo». E dopo il voto si è detto «molto soddisfatto e confortato. Era il migliore punto di caduta possibile». Il segretario uscente ha parlato di un «percorso congressuale difficile» e, ricordando in mattinata David Sassoli a un anno dalla morte, ha esortato a essere «orgogliosi di essere democratici» e «uniti fino alla fine». «Basta farsi del male nel racconto che si fa all’esterno».
DAL FRONTE BONACCINI (che ha inccassato il sostegno del capogruppo a Bruxelles Brando Benifei) si dicono «molto soddisfatti». «Abbiamo fatto di tutto per evitare una spacatura, con grande senso di responsabilità». E sottolineano che il grosso dei voti sarà in presenza ai gazebo: «Siamo un partito solido e radicato, una comunità, non una piattaforma virtuale».
Scintille tra i numeri due delle mozioni principali, Dario Nardella (Bonaccini) e Francesco Boccia (Schlein) sull’alleanza con i 5 stelle. «C’è futuro anche senza di loro», dice il sindaco di Firenze. E Boccia: «Nel 2022 un pezzo di Pd, con la testa in una parte del Nord, ha teorizzato la rottura con il M5s: il risultato è Meloni a Palazzo Chigi».
Il prossimo appuntamento è l’assemblea costituente del 22 gennaio, che dovrebbe votare il nuovo manifesto dei valori (se si troverà un’intesa). Le candidature a segretario dovranno essere presentate entro il 27 gennaio; tra il 3 e il 12 febbraio il voto nei circoli per selezionare i primi due classificati che si sfideranno alle primarie. Ogni potenziale candidato dovrà raccogliere le firme di circa 200 componenti dell’assemblea nazionale, o un minimo di 2000 firme di iscritti in almeno 12 regioni
Commenta (0 Commenti)CLIMA. Rapporto alla Commissione Ue del Copernicus Climate Change Service. Nell’aria 417 ppm nel 2022. Valori così alti non si avevano da 2 milioni di anni
Una centrale a carbone a Neurath, Germania - foto Ap
Non accadeva da 2 milioni di anni: la concentrazione media di CO2 nell’atmosfera nel 2022 è stata di 417 ppm (parti per milione), 2,1 ppm in più rispetto all’anno precedente e la più alta da un tempo così lontano che l’essere umano probabilmente fatica anche ad immaginare.
IL DATO è stato presentato ieri dall’osservatorio sul clima della Commissione europea, Copernicus Climate Change Service (C3S), che ieri ha presentato il rapporto «2022 Global Climate Highlights». Oltre al biossido di carbonio, preoccupante anche la concentrazione media del metano, che è arrivata a 1894 ppb (parti per miliardo), superiori di 12 ppb rispetto al 2021. Anche in questo caso si tratta delle concentrazioni più alte registrate dai satelliti e dei livelli più alti da oltre 800.000 anni per il metano.
Vincent-Henri Peuch, Direttore del Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus, ha spiegato, come se ancora ci fosse bisogno di farlo, che «i gas serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano, sono i principali responsabili del cambiamento climatico», aggiungendo che «dalle nostre attività di monitoraggio possiamo constatare che le concentrazioni atmosferiche continuano ad aumentare, senza segni di rallentamento» ha aggiunto.
NON RALLENTANO perché non rallentano le emissioni. In Italia, anzi, nei primi nove mesi dell’anno sono in aumento del 6%, secondo le stime dell’Enea. Ciò è legato al forte aumento dei consumi di petrolio e carbone (che ha riportato le fonti fossili a rappresentare a una quota di oltre il 77% dell’energia primaria, da meno del 75% dei primi nove mesi 2021). Con carbone si produce energia elettrica, anche per coprire in parte la riduzione legata al crollo della produzione idroelettrica (-38% nei nove mesi), un crollo figlio della siccità estrema, un altro degli effetti dei cambiamenti climatici che ha colpito l’Italia nel 2022, insieme alle temperatura estreme in alcuni mesi.
NON A CASO, nel nostro Paese il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1950. Lo stesso vale anche per la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, il Regno Unito, l’Irlanda e gran parte della Penisola balcanica. Lo abbiamo vissuto giorno per giorno, adesso ce lo confermano i dati del «2022 Global Climate Highlights». L’Europa ha vissuto l’estate più calda mai registrata (occhio: la precedente era stata quella del 2021) e diverse ondate di calore intense e prolungate hanno colpito parti dell’Europa occidentale e settentrionale.
L’AUTUNNO è stato il terzo più caldo mai registrato, battuto solo dal 2020 e dal 2006, mentre le temperature invernali sono state di circa 1°C superiori alla media. In termini di medie mensili, nove mesi sono stati superiori alla media, mentre tre (marzo, aprile e settembre) sono stati inferiori alla media. Il continente ha registrato il secondo giugno più caldo mai registrato, con circa 1,6°C sopra la media, e il suo ottobre più caldo, con temperature di quasi 2°C sopra la media.
In media, le temperature dell’anno in Europa sono state le seconde più calde mai registrate, superate solo dal 2020. Tutta l’Europa, ad eccezione dell’Islanda, ha registrato temperature annuali superiori alla media 1991-2020. «Il 2022 è stato un altro anno di estremi climatici in Europa e nel mondo. Questi eventi evidenziano che stiamo già sperimentando le conseguenze devastanti del riscaldamento del nostro mondo. Gli ultimi dati climatici del 2022 del C3S dimostrano chiaramente che per evitare le conseguenze peggiori sarà necessario che la società riduca urgentemente le emissioni di carbonio e si adatti rapidamente ai cambiamenti climatici», ha commentato Samantha Burgess, vicedirettore del Copernicus Climate Change Service.
A LIVELLO GLOBALE, invece, nel 2022 il mondo ha registrato il quinto anno più caldo in assoluto, secondo i dati del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine. In classifica l’anno appena passato viene subito dopo il 2016, il 2020, il 2019 e il 2017. La temperatura media annuale nel 2022 è stata di 0,3°C superiore al periodo di riferimento 1991-2020, che equivale a circa 1,2°C in più rispetto al periodo 1850-1900, tipicamente utilizzato per identificare la condizione dell’era preindustriale. Questo fa del 2022 l’ottavo anno consecutivo con temperature superiori di oltre 1°C al livello preindustriale
Commenta (0 Commenti)REGIONALI. L'alleanza tra Pd e M5S sembra destinato a compiersi per le elezioni in calendario per il 2 e 3 aprile prossimi
L’accordo tra Pd e M5S sembra destinato a compiersi per le regionali del Friuli Venezia Giulia, in calendario per il 2 e 3 aprile prossimi. Il dialogo tra le due forze politiche, fanno sapere i 5 Stelle, è cominciato al «tavolo allargato dell’area progressista» che ha avuto all’ordine del giorno i dieci punti posti in una conferenza stampa il mese scorso.
«Solo dopo il via libera da parte di tutte le forze politiche ai nostri dieci punti e alla loro piena approvazione si potrà parlare del candidato – spiega Luca Sut, coordinatore regionale M5S – Come abbiamo detto ampiamente per noi prima viene il programma poi il candidato. Positivo, infine, lo stop ai renziani e calendiani del Terzo Polo che sempre di più si dimostrano sia a livello nazionale che locale orientati su posizioni di centrodestra». Come già accaduto per l’accordo in Lombardia, i 5 Stelle non escludono di consultare i loro iscritti per ratificare una possibile intesa.
Commenta (0 Commenti)CARO VITA. Il consiglio dei ministri vara una «norma trasparenza» e altri 200 euro di «buoni». Meloni pronta a un video per spiegare il senso delle norme varate e placare polemiche
Creare aspettative in politica non è mai una buona idea. Specie se poi si tradiscono continuamente. E così per l’ennesima volta a Matteo Salvini costa una magra figura le roboanti dichiarazioni sulla riduzione dei prezzi della benzina.
Il consiglio dei ministri di ieri sera ha deluso tutte le attese limitandosi a una semplice «norma trasparenza» sui prezzi dei carburanti alla pompa e una nuova dotazione di buoni benzina per lavoratori dipendenti.
PER QUEL POCO DI CONCRETO che viene previsto, i gestori saranno obbligati a esporre il prezzo medio nazionale dei carburanti accanto a quello di vendita, in ogni distributore di benzina. Il prezzo verrà calcolato giornalmente (non più settimanalmente) dal ministero dell’Ambiente e comunicato sul sito del dicastero.
In più sulla rete autostradale i prezzi di vendita non potranno essere superiori a una percentuale – che il governo non ha ancora bene definito – del prezzo medio nazionale.
Verrà inoltre irrobustita la collaborazione con la Guardia di finanza – prima del consiglio dei ministri Meloni e Giorgetti hanno incontrato il comandante generale Giuseppe Zafarana – sulle condotte speculative. In caso di violazione, sono previste sanzioni per i recidivi, con possibilità, da parte dei prefetti, di sospendere l’attività da 7 fino a 90 giorni.
In più il decreto rinnova per il primo trimestre la detassazione per le aziende che potranno elargire fino a 23 buoni benzina per un valore massimo di 200 euro per lavoratore dipendente.
Insomma, pura demagogia senza alcun potere di vero controllo sulle «speculazioni» denunciate dallo stesso Salvini.
Le norme sono frutto della mediazione di Giorgia Meloni: si racconta che le divisioni nella maggioranza hanno costretto la presidente del consiglio a intervenire spiegando con forza le ragioni «dell’operazione trasparenza» e rispedendo al mittente le richieste di intervenire sulle accise chiarendo che il problema non si può assolutamente risolvere in questo modo. Una spiegazione che potrebbe essere tradotta nelle prossime ore in un video che potrà essere visto da tutti i cittadini.
LA SCELTA DI CANCELLARE – in legge di Bilancio – la riduzione di 18,3 centesimi di accise al litro che il governo Draghi aveva introdotto a marzo continua a rivelarsi un boomerang per Meloni.
In mattinata il ministero dell’Ambiente aveva già reso noto come gli aumenti di benzina verde e diesel fossero «sostanzialmente in linea con il rialzo dovuto alla mancata proroga del taglio delle accise». Anzi, leggermente inferiori: l’8 gennaio la benzina in modalità self è salita da 1,644 euro a 1,812 euro al litro con un aumento di 16,8 centesimi. Il gasolio è passato da 1,708 a 1,868 euro, con un rialzo dei 16 cent.
Nel pomeriggio, registrando Porta a porta, il ministro forzista (il partito che più spingeva assieme alla Lega per reintrodurre il taglio) Picchetto Fratin aveva smentito Salvini sostenendo che «dai dati in nostro possesso dovrebbe esserci una stabilizzazione su questi prezzi».
Il consiglio dei ministri ha poi varato la primissima tranche delle nomine che governo farà nei prossimi mesi. Si parte con la conferma dell’ex renziano Ernesto Maria Ruffini all’Agenzia delle Entrate e di Alessandra Dal Verme al Demanio mentre Marcello Minenna alle Dogane sarà sostituito da Roberto Alesse, attuale capo di gabinetto al ministero di Nello Musemeci.
NON MANCA POI IL SOLITO contentino alle aziende, in questo caso quelle produttrici di dispositivi biomedicali. Il governo infatti fa slittare al 30 aprile il termine per il pagamento dei 2,2 miliardi previsti per ripianare del 50% lo sforamento di spesa delle Regioni. Con un decreto si evita alle aziende di dover versare le somme entro il 15 gennaio per la legge sul cosiddetto payback.
Ma per i produttori non è abbastanza. Striscioni alla mano, i rappresentanti del biomedicale avevano manifestato a Roma chiedendo la cancellazione del payback, che «uccide il Sistema sanitario nazionale», mette a rischio forniture agli ospedali e assistenza ai cittadini oltre che migliaia di posti di lavoro. «La proroga non basta, se non per mettersi al tavolo e discutere la cancellazione del payback», dichiara il presidente di Confindustria dispositivi medici Massimiliano Boggetti