Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

L’azione di Ultima Generazione «è stata come sempre pacifica e non violenta, non avrebbe mai potuto né voluto arrecare danno alle persone. Il semplice imbrattamento è considerato punibile dal codice […]

Blitz al senato, tre a processo. Ultima generazione: «E’ un abuso» La facciata di Palazzo Madama imbrattata dagli attivisti di Ultima generazione

L’azione di Ultima Generazione «è stata come sempre pacifica e non violenta, non avrebbe mai potuto né voluto arrecare danno alle persone. Il semplice imbrattamento è considerato punibile dal codice penale con un reato specifico. Gli attivisti però, nonostante la chiarezza della previsione di legge e nonostante siano rimasti sul posto in attesa dell’intervento delle forze dell’ordine nel pieno rispetto dei principi della non violenza, sono stati trattenuti e verranno processati per direttissima con l’accusa ben più grave di reato di danneggiamento».

Al contrario di altre forme di lotta nonviolenta, nelle quali chi agisce non evita – anzi persegue – il procedimento penale a proprio carico, i militanti di Ultima Generazione non ci stanno ad essere processati per aver imbrattato con vernice lavabile la facciata del Senato. Infatti, dopo il fermo dei 5 attivisti che lunedì mattina hanno eseguito il blitz, tutti rimessi in libertà, il gup ha fissato per tre di loro – tre ragazze – l’apertura del processo il 12 maggio, rigettando la richiesta dell’obbligo di dimora avanzata dal pm.

«Siamo di fronte all’ennesimo abuso» per «intimorire e criminalizzare chi sta cercando di portare l’attenzione sul vero crimine che questo governo sta commettendo forte dell’appoggio di una classe politica corrotta e di parte dei media», spiegano gli attivisti che annunciano un presidio davanti al Tribunale di Roma. Intanto a Pavia, la questura ha chiesto, per una ventenne protagonista di un’altra serie di blitz ambientalisti, la sorveglianza speciale per «pericolosità sociale». Ma sarà il tribunale di Milano a decidere il 10 gennaio.

Commenta (0 Commenti)

LO SCONTRO. I sindaci del sud scrivono a Mattarella contro la "secessione dei ricchi". Il ministro per gli affari regionali Calderoli (Lega) sbotta e minaccia querele. Opposizioni divergenti. Cinque Stelle e sinistre chiudono, Terzo Polo apre, il Pd dipende

 Il ministro per gli affari regionali e per le autonomie Roberto Calderoli - Ansa

Cinquanta sindaci si appellano via Pec a Sergio Mattarella chiedendogli di fermare la legge quadro sull’autonomia differenziata che il ministro Calderoli, puntuale come il capodanno, ha presentato quattro giorni fa. Esordiscono ringraziando il presidente per aver segnalato, nel suo discorso di fine anno «le ingiustizie determinate dalle differenze tra i diversi territori del paese». Chiedono un incontro con il presidente, consapevoli del monito forte che era implicito nel discorso di capodanno. Calderoli però non ci sta e sbotta: «Adesso si è passato il limite. Io ho giurato sulla Costituzione che sancisce l’unità nazionale: scrivere che voglio spaccare l’Italia significa darmi dello spergiuro. Sono ministro delle regioni, di tutte le regioni, non di alcune sì e altre no».

La forzatura, specialmente se sommata a quella veicolata dalla manovra con la creazione di una commissione per determinare i Lep, Livelli essenziali delle prestazioni, al posto del parlamento e della conferenza Stato-Regioni, suona però più che minacciosa per le regioni povere a vantaggio di quelle ricche. I governatori del Sud, a partire dal pugliese Emiliano, sono insorti subito appoggiati anche dall’emiliano Bonaccini, sin qui schierato invece a favore dell’autonomia differenziata. «Questa proposta spacca il paese. È una forzatura che mette a rischio la tenuta sociale delle nostre terre».

Certo, il passo indietro sull’autonomia differenziata è anche il prezzo chiesto a Bonaccini dai potenti governatori del sud, Emiliano e De Luca, per appoggiarlo nella corsa alla segreteria del Pd. Ma resta il fatto che la Lega, unico partito a esultare per la proposta Calderoli, appare ora del tutto isolato. Lo stesso silenzio della premier è più gelido che complice e del resto sono noti i suoi crescenti dubbi su una misura che scontenta l’elettorato del sud, cioè la parte meno volatile del suo consenso, e sul quale il capo dello Stato ha fatto capire che non resterebbe a guardare se venisse violato il principio costituzionale dell’eguaglianza territoriale. Quella di Calderoli, insomma, è prima di tutto una forzatura nei confronti del governo e della maggioranza.

L’autonomia è il prezzo che la premier deve pagare alla Lega in cambio dell’appoggio sul presidenzialismo. La tabella di marcia su quel fronte è già fissata: entro gennaio o poco oltre la ministra Casellati incontrerà i partiti di opposizione. Se troverà una disponibilità al dialogo sul modello di presidenzialismo da adottare il governo procederà per via parlamentare, altrimenti avanzerà una sua proposta entro la pausa estiva. Il Terzo Polo aprirà le porte, il M5S le blinderà quasi di certo. Dunque tutto dipenderà dal Pd, che al momento appare attestato sulle stesse posizioni dei 5S ma con la nuova segreteria potrebbe ammorbidirsi, tanto più che la presidente è disposta a partire dal modello privilegiato a suo tempo dall’allora Pds, il semipresidenzialismo francese.

Va da sé che il peso e il condizionamento della Lega varieranno sensibilmente in conseguenza della scelta finale del Pd, impennandosi se la riforma sarà solo della maggioranza ed eventualmente del Terzo Polo ma calando vertiginosamente se invece si tratterà di una testo condiviso partorito da una commissione bicamerale o dalle commissioni Affari costituzionali congiunte. Inoltre i tempi della riforma costituzionale sono inevitabilmente lunghi. Calderoli ha deciso dunque di forzare con l’obiettivo di far approvare il suo testo dal Consiglio dei ministri subito per poi passare alla conferenza unificata e trasformarlo in proposta di legge entro gennaio. Ma in questa sfida la Lega è davvero sola contro tutti.

Commenta (0 Commenti)

IL CASO. Speculazioni sui prezzi, incapacità e interessi del governo Tutto converge per fare pagare la policrisi ai salari e ai redditi

Il regalo di inizio anno: benzina, gas, biglietti è record di aumenti La benzina torna ad aumentare - LaPresse

La decisione del governo Meloni di non prorogare il taglio delle accise sulla benzina sta producendo i primi effetti. Il costo di benzina e gasolio è salito di circa 20 centesimi al litro rispetto al 30 dicembre. L’aumento delle accise anche sul Gpl ha spinto i prezzi al livello del 21 marzo 2022, poco meno di un mese dopo l’inizio della guerra russa in Ucraina.

GLI AUTOMOBILISTI inizieranno a pagare tutto quello che non hanno versato direttamente nelle casse dei distributori e dei produttori di carburante. Prima lo facevano indirettamente attraverso lo Stato, grazie a una norma del governo Draghi che scontava 18 centesimi al litro. Non è stata prorogata da quello attuale. Il taglio, ha sostenuto ieri Giovani Paglia (responsabile economico di Sinistra Italiana), ha formato un tesoretto per pagare i «dodici condoni» contenuti nella legge di bilancio approvata alla fine dell’anno scorso. Osservazione maliziosa, ma che rende il senso politico della contraddizione: pagare la speculazione, tamponare gli aumenti, soddisfare gli interessi elettorali e corporativi, mentre l’inflazione aumenta e il governo stenta a stemperare gli effetti della policrisi che comporta anche conseguenze recessive. Quando era all’opposizione Meloni prometteva l’eliminazione progressiva delle accise e dell’Iva. Oggi parla di sfigurare la repubblica parlamentare in una presidenziale. Salvini preferisce la «secessione dei ricchi»: l’autonomia differenziata. Elementi che hanno indotto le opposizioni a riunirsi per un giorno. I Cinque Stelle hanno denunciato una «maxi stangata». Di Meloni «Robin Hood al contrario» ha parlato Elly Schlein. Dal cosiddetto «Terzo Polo» Matteo Renzi ha ironizzato: «Poi dicono che la pacchia è finita».

IMMANCABILE è arrivata la polemica sulla selva di accise che gravano su un litro di carburante. Tra le 17, più l’Iva al 22%, la più «antica» è quella applicata per pagare i danni prodotti dal fascismo in Etiopia nel 1935-36. Si aggiungono quelle seguite alla crisi di Suez, per il Vajont nel 1963 e l’alluvione di Firenze nel 1966 fino alla missione in Bosnia nel 1996 o ai terremoti dell’Aquila nel 2009 o a quello in Emilia nel 2012. Se a Rimini il gasolio sfiora 1,90 euro e la benzina lo segue a ruota, a Napoli il prezzo del diesel ha superato i 2 euro in Corso Vittorio Emanuele. Si cercano le cosiddette «pompe bianche», cioè i distributori che non fanno parte delle compagnie di distribuzione più note.

GLI AUMENTI dei prezzi alla pompa di benzina stanno trascinando quelli dei settori collegati alla mobilità stradale con i veicoli costruiti dalle multinazionali dell’auto e al consumo delle energie fossili. I pedaggi autostradali, ad esempio. Dal primo gennaio sono aumentati del 2% con l’aggiunta di un altro 1,34% dal prossimo primo luglio. Secondo Assoutenti per andare da Roma (Sud) a Milano (Ovest), ad esempio, il pedaggio sale dai 46,5 euro del 2022 agli attuali 47,3 euro, per poi raggiungere 48 euro a luglio, con un aumento di 1,5 euro. Da Napoli (nord) a Milano si spendevano lo scorso anno 58,6 euro mentre ora servono 59,7 euro e da luglio prossimo 60,5 euro. In un anno ci potrebbe essere un aumento medio delle spese di 366 euro a famiglia. Sono aumentati anche i prezzi dei biglietti per bus e metro. A Napoli da qualche mese si è passati da 1 euro a 1,20; dal 9 gennaio a Milano il biglietto costerà 2,20 con un aumento di 20 centesimi. Dal prossimo agosto a Roma passerà addirittura da 1,50 a 2 euro.

IL RINCARO del gas prosegue senza ostacoli. Ieri l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) ha comunicato l’aumento delle bollette del 23,3% per i consumi realizzati a dicembre 2022. Malgrado abbia usato il vecchio metodo di aggiornamento della tutela del gas nell’ultimo trimestre, l’Arera ha sostenuto che la spesa per la «famiglia tipo» tra gennaio e dicembre sarà di circa 1.866, il 64,8% in più rispetto al 2021.

MOLTE AZIENDE, pur acquistando gas ed energia elettrica a prezzi più favorevoli in queste settimane, continuano a rivenderli agli utenti a prezzi esorbitanti. Ieri, all’apertura dei mercati, il gas si era attestato a 77,5 euro al Mwh, -23% rispetto alla media del mese precedente e il -31% rispetto a due mesi fa. Questo è il nodo della speculazione che non si riesce, o non si vuole, sciogliere. Federconsumatori suggerisce di alzare le soglie Isee fino almeno a 20 mila euro, fermare i distacchi per morosità incolpevole e rafforzare la tassazione degli extraprofitti. Ma su questo il governo ha alzato bandiera bianca. «Inaccettabile – ha detto Angelo Bonelli (Alleanza Verdi Sinistra) – Sono oltre 50 i miliardi di euro legati alla speculazione del gas. Il governo intervenga per garantire il prezzo corretto. Presenteremo una proposta di legge per istituire una Commissione d’inchiesta che indaghi sulle ragioni per cui si è determinata una tale speculazione senza alcun intervento per arginarla».

 
 
 
 
 
Commenta (0 Commenti)

REGIONALI. Tra i firmatari il nobel Parisi, Christian Raimo e Luciana Castellina. L’economista: la destra attacca il welfare, bisogna tentare di fermarla

 La sede della regione Lazio

Un tweet di Fabrizio Barca, a cavallo del Capodanno, scatena la rivolta dei tanti che non accettano il suicidio del centrosinistra alla regionali del Lazio. «Pd e M5S nel Lazio siete grotteschi. Chiudetevi in una stanza. Datevele di santa ragione. Trovate un punto di caduta», scrive l’economista. «Accordatevi su 5 obiettivi, concordate una bella giunta. E uno o una dei due candidati si ritiri e faccia il numero 2 dell’altra o altro. Non diteci che è impossibile».

IL TWEET FA OLTRE 50MILA visualizzazioni. Partono

Commenta (0 Commenti)

IL DISCORSO DI FINE ANNO. Uno dei segnali lanciati al governo Meloni dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Reddito di cittadinanza: la ministra del lavoro Calderone e il grosso dell'esecutivo sono distanti

 Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il discorso di fine anno 2022 - Ansa

Il tempo dei «segnali», delle misure scelte per indicare una rotta ma in sé poco significative, è finito. D’ora in poi il governo di Giorgia Meloni dovrà fare sul serio, senza più l’alibi, peraltro fondato, del pochissimo tempo a disposizione. Più che con un’opposizione politica in stato comatoso, la premier dovrà vedersela con i problemi interni alla sua maggioranza, col rischio non peregrino di un’opposizione sociale fondata su un disagio trasversale alle aree elettorali e col Colle, il cui peso non può essere sottovalutato. E’ dunque certo che la presidente abbia ascoltato il discorso di fine anni di Mattarella con massima attenzione alle sfumature e ai messaggi impliciti.
L’intera prima parte del discorso è stata per lei un sostegno prezioso: neppure con una virgola il capo dello Stato ha avanzato dubbi sulla assoluta legittimità di questo governo o della sua presidente ex missina. Anche senza contare la sincera soddisfazione per l’ascesa di una donna ai vertici del governo, ha anzi invitato tutti, neppure troppo fra le righe, a mettere da parte ogni pregiudiziale. Altrettanto soddisfacente, per il team di Chigi, deve essere stata l’iniezione di ottimismo e fiducia nelle forze del paese da parte del capo dello Stato. Proprio questa disposizione d’animo, aveva sottolineato pochi giorni prima Giorgia nella conferenza stampa fiume, è a suo parere l’elemento decisivo. Senza contare la consonanza perfetta tra i due palazzi principali dello Stato sul tema più attuale di tutti, la guerra in Ucraina.

Sui passi concreti, ovviamente, la situazione è più sfumata. La premier è decisa a partire subito con la riforma costituzionale, con il presidenzialismo. Il guardiano della Costituzione ricorda che la Carta resta la bussola ma specifica che il rispetto della Costituzione è «dovere primario» di tutti, anche suo. Della Costituzione fa ovviamente parte anche l’articolo 138, quello che ne regola le modifiche. Il messaggio sembra dunque rassicurante: purché non si tocchino i princìpi e si rispettino le modalità di modifica dettate dalla Carta stessa, il Colle non si metterà di mezzo. Al secondo posto nella lista del governo c’è la riforma della Giustizia ed è significativo che il capo dello Stato abbia scelto di non parlarne, così come abbia preferito sorvolare sul nodo della discordia rappresentato dall’immigrazione. Il suo era un discorso che mirava a unire e non a dividere, anche a costo di qualche «dimenticanza». Sul fisco, altro elemento chiave nell’agenda del governo, Mattarella è stato in realtà attento a non travalicare in alcuna misura i limiti del suo ruolo e a evitare rotte di collisione. Ha sì segnalato che la Repubblica «è nel senso civico di chi paga le imposte» ma senza spendere mezza parola in difesa della tassazione progressiva.

Solo su un punto il presidente è stato in realtà severo e le sue parole dovrebbero preoccupare Chigi. Il passaggio sulle diseguaglianze sociali e geografiche tra le aree del paese è meno retorico di quanto non sembri. Sul tavolo del governo, in tandem col presidenzialismo, c’è l’autonomia differenziata. Quando il presidente ricorda che la Costituzione prescrive di rimuovere ogni ostacolo all’eguaglianza «senza distinzioni» fa capire che quella materia rientra invece a pieno titolo nel suo ruolo istituzionale e che non intende lasciar passare scelte che dividano il paese in un’Italia di serie A e una di serie B. Del resto è proprio sul fronte delle scelte materiali, quelle che impattano direttamente sulla vita dei cittadini, che il governo verrà messo subito alla prova. In campo, solo a gennaio, ci sono temi come la sicurezza sul lavoro, il 12, le pensioni il 19, entro il mese la riforma del reddito di cittadinanza, sulla quale la distanza tra la posizione della ministra del Lavoro Calderone e il grosso del governo è palese. Sin qui, grazie ai tempi ristretti, la strada è stata in discesa. Il cimento comincia adesso.

Commenta (0 Commenti)

Il testo alla Camera. Terzo soccorso per la nave Geo Barents di Medici senza frontiere

Migranti, Mattarella firma il decreto che «ferma» le ong 

In serata, dopo oltre sei ore di ricerche in mare, del barcone segnalato ieri mattina da Alarm Phone non c’era ancora traccia ma la Geo Barents non per questo ha interrotto le ricerche pur senza lasciare mai la rotta verso Taranto, il porto indicato dal Viminale dove far sbarcare gli 85 migranti già soccorsi in due interventi precedenti. Quello di ieri è il primo «soccorso plurimo» compiuto dalla nave di una ong da quando il consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto immigrazione che impone alle navi umanitarie di dirigersi verso il porto assegnato subito dopo aver eseguito il primo intervento di salvataggio. Un escamotage con cui il governo conta di limitare le operazioni delle ong nel Mediterraneo centrale.

Varato la scorsa settimana, il provvedimento è stato firmato ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e nelle prossime ore sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale, ma già ieri pomeriggio è arrivato alla Camera e assegnato alle commissioni Trasporti e Affari costituzionali per essere convertito in legge.

Per la nave di Medici senza frontiere il 2023 comincia con tre interventi in sole 24 ore, il primo dei quali richiesto la notte di Capodanno proprio dall’Imrcc, il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (l’ultima volta che la Guardia costiera aveva segnalato alla Geo Barents un’imbarcazione i difficoltà risale allo scorso ottobre). In questo caso si trattava di un peschereccio con 41 persone a bordo che si trovava i acque internazionali al largo della Libia. «L’operazione di salvataggio si è svolta nel buio più totale e in condizioni difficili perché la barca su cui viaggiavano le persone si era capovolta», ha spiegato la ong. Tra i naufraghi anche sue donne. Successivamente, sempre dalle autorità italiane è arrivata la richiesta di prendere a bordo 44 migranti precedentemente soccorsi da una nave mercantile. Stando alle nuove norme i trasbordi sono vietati, ma in questo caso la richiesta è arrivata direttamente da Roma.

A questo punto alla nave è stata data l’indicazione di dirigersi verso Taranto, destinazione che avrebbe raggiunto in due giorni, ma ieri mattina è arrivato l’ennesimo allarme da parte di Alarm Phone riguardante un’imbarcazione con 45 migranti in difficoltà in zona Sar (ricerca e salvataggio) maltese. «Abbiamo subito chiesto il permesso di intervenire alle autorità italiane, ma non abbiamo ricevuto risposta», ha detto il portavoce di Msf. «Se troviamo la barca ed effettuiamo un salvataggio senza permesso, l’Italia potrebbe teoricamente ritenere che abbiamo violato la nuova legge. Ma secondo le leggi internazionali e le convenzioni marittime, siamo obbligati ad aiutare coloro che sono in pericolo».

Quanto accadrà nei prossimi giorni potrebbe rappresentare un precedente per le navi delle ong. La Geo Barents ha avvertito, come previsto dal decreto scritto dal ministro dell’Interno Piantedosi, le autorità italiane che sarebbe intervenuta in soccorso di un’altra imbarcazione, quindi pur non avendo ricevuto risposta non dovrebbe incorrere in nessuna sanzione.

Intanto proseguono gli sbarchi dei migranti che arrivano da soli lungo le coste italiane. Tra domenica e ieri sono arrivate 616 persone, numero che fa salire il totale degli sbarchi avvenuti nel 2022 a 105.140, il 55,8% in più rispetto al 2021. Ieri al Guardia costiera è intervenuto prima per trarre in salvo 50 migranti in pericolo su un a barca a sud dell’isola di Lampedusa poi, in serata, in soccorso di un’imbarcazione con 170 persone a bordo che imbarcava acqua. In quest’ultimo caso i naufraghi sono stati condotti ad Augusta

Commenta (0 Commenti)