TRA SIRIA E IRAQ. Quella dei curdi non è solo una solitudine istituzionale, cioè solitudine in una dimensione giuridico-legale; è diventata un fenomeno storico: l'aggressione turca al popolo curdo in Medio Oriente prosegue nell'apatia della comunità internazionale
Roma, manifestazione di solidarietà al Rojava - LaPresse
Solitudine e solitudine, ancora! Oggi voglio parlare dei curdi e della loro solitudine. Dopo l’attacco di Istanbul-Taksim del 13 novembre scorso, i curdi sono stati nuovamente presi di mira, anche se le forze democratiche siriane Ypg e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) hanno dichiarato di non avere legami con l’attentato.
Pochi giorni fa, dopo la riunione di gabinetto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato alla stampa il possibile movimento di terra verso la Siria: «La nostra determinazione a mantenere sicuri i confini del nostro Paese sotto uno scudo di protezione di 30 km continua. Mentre stiamo adottando misure riguardanti la sicurezza della nostra patria e del nostro popolo, non accettiamo il permesso da nessuno, né siamo responsabili nei confronti di nessuno».
SE DA UNA PARTE queste parole significano violare il diritto internazionale e violare il territorio di un altro paese, dall’altra sono una chiara indicazione del suo bullismo e dell’autoritarismo della sua politica.
L’integrità del paese e la sicurezza sono state la principale ragione o giustificazione alle continue politiche di sterminio e sfruttamento contro i curdi. I curdi, ovviamente, non sono stati visti solo come una minaccia all’esistenza della Turchia. Storicamente, ci sono stati problemi simili nell’arena internazionale. Ad esempio, ogni volta che i curdi cercavano di stabilire un proprio governo o uno stato indipendente, gli Stati che all’inizio li sostenevano poi li abbandonavano.
Proprio quando gli Stati uniti d’America aprivano spazi alla Turchia nella regione, la Repubblica di Muhabad (Komarî Mehabad in curdo), costituitasi in Iran nel gennaio 1946 con l’appoggio dell’Unione sovietica, è stata occupata nello stesso anno dall’esercito iraniano a seguito del ritiro dell’Urss. L’Iran ha distrutto quella repubblica.
LA STORIA si ripete dolorosamente. I curdi sono stati colonizzati, frammentati, dispersi, banditi, oppressi e isolati dai diversi paesi. Il crimine collettivo e internazionale continua. Quando guardiamo alla questione curda di oggi, come ha affermato Fehim Tastekin, giornalista esperto di Caucaso e Medio Oriente, invece di risolverla all’interno dei propri confini, sia l’Iran che la Turchia l’hanno esportata in Iraq, oltre i propri confini.
Quella dei curdi non è solo una solitudine istituzionale, cioè solitudine in una dimensione giuridico-legale; è diventata un fenomeno storico. I curdi sono isolati in ogni campo e di questa solitudine stanno cercando di liberarsi coraggiosamente. È una solitudine supportata dal silenzio sociale e politico dell’attuale arena internazionale.
Per rompere questo silenzio, le comunità internazionali possono/devono ascoltare le richieste di 187 organizzazioni siriane che richiamano l’attenzione sulle vittime civili causate dagli attacchi del governo turco.
QUESTE ORGANIZZAZIONI hanno fatto appello al mondo e chiesto che sia intrapresa un’azione urgente e che gli attacchi aerei del governo turco e quelli di terra pianificati siano fermati. Attacchi che non solo danneggeranno i civili e i luoghi in cui abitano, ma che provocheranno anche una nuova ondata di spostamenti e migrazioni e la continua violazione del diritto internazionale.
Al di là della condanna dell’attacco della Turchia all’Iraq e alla Siria, ascoltare le voci dei popoli siriani e del popolo curdo riporterà la fiducia nelle comunità internazionali e nella civiltà che difendono, una fiducia basata su «pace, democrazia, diritti umani». I curdi, nella loro solitudine, stanno cercando di creare una pace per tutti. Se è una pace che porta vantaggi alla vita e che la fa proseguire, allora bisogna sostenere quelli che cercano di realizzarla
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REGIONALI. Il voto nel Lazio. Domani, D'Amato presenterà la sua coalizione, al momento composta, oltre che da Pd e Azione-Italia viva, da Demos, Psi, +Europa ed Europa Verde
Alessio D’Amato, candidato di Partito democratico e Terzo polo alla presidenza della Regione Lazio, ha ribadito che non esiste alcuna possibilità di allargare la sua coalizione e che dunque è intenzionato a procedere per la sua strada anche senza M5S. Non solo, ha dichiarato conclusa la fase del cosiddetto «campo largo», che pure è stato la formula di maggioranza che ha retto la giunta Zingaretti in cui lui stesso è stato assessore alla sanità rilanciando il suo accordo con Calenda e Renzi come laboratorio nazionale.
«Stiamo costruendo una coalizione riformista – afferma D’Amato – Non guarda né a populismi né a sovranismi. Qualcuno ha coniato il neologismo del ‘campo largo’, ma non è mai stato sottoposto a nessun vaglio elettorale. Lo ritegno sbagliato, la tendenza ad ampliare coalizione ci appartiene ma va fatto con un chiaro baricentro riformatore. Vinceremo e che la nostra vittoria avrà un’influenza anche a livello nazionale».
Domani, D’Amato presenterà la sua coalizione, al momento composta, oltre che da Pd e Azione-Italia viva, da Demos, Psi, +Europa ed Europa Verde. È ormai certo che Sinistra italiana sarà della partita. Ed è ormai certo che il M5S proverà a dare vita ad un fronte progressista con il Coordinamento 2050 e Si (si vedrà in che forma: anche un pezzo di Unione popolare vorrebbe essere della partita) contrapposto sia alla destra che sostiene l’ex presidente della Croce rossa Francesco Rocca che al centrosinistra di D’Amato. Ma ancora non hanno un nome su cui puntare
Commenta (0 Commenti)CONGRESSO PD. L’ex ministro: «La destra si combatte con una guida di sinistra». Con lei anche Provenzano e Franceschini. Bonaccini: «Se vinco io non saremo mai la fotocopia del M5S»
Elly Schlein con Stefano Bonaccini - Ansa
Elly Schlein chiama Francesco Boccia nella sua squadra in vista delle primarie di febbraio. L’avvicinamento dell’ex ministro degli Affari regionali (e attuale responsabile enti locali con Letta) verso Schlein era noto, ma l’annuncio a sorpresa di ieri ha fatto rumore: si tratta del primo dirigente di peso del Pd attuale che l’ex eurodeputata chiama ufficialmente accanto a sé, dopo settimane in cui si era mossa da totale outsider, lontana dalle dinamiche e dalle correnti dem.
«Ho chiesto Boccia di coordinare le relazioni politiche per la nostra mozione. Non solo per la sua esperienza, per la conoscenza del partito e dell’importanza strategica della questione meridionale, ma anche per le scelte sulla linea politica che ci hanno tenuto sempre vicini in questi anni», spiega lei.
«Non sarà un ticket, ma una squadra», dicano dallo staff di Schlein. Due gli elementi chiave di questa scelta: il voto negativo di Boccia sul Jobs Act e le sue posizioni a favore di un’«alleanza organica» con il M5S e nettamente contro l’autonomia differenziata. Ma anche la necessità di darsi un profilo più di governo e meno movimentista.
Da alcuni giorni chi aveva parlato con Boccia lo aveva visto sempre più convinto di questa ipotesi. «La destra va affrontata con una guida di sinistra», il suo ragionamento confidato agli amici. «Serve una guida che porti aria nuova, giovani, che rompa gli schemi, una rottura vera rispetto al passato».
Altri nomi del team arriveranno nei prossimi giorni. Si parla di Marta Bonafoni, consigliera regionale nel Lazio e in prima fila al Monk di Roma quando Schlein lanciò la candidatura. Ma anche di nomi di giovani dirigenti della sinistra, come Marco Sarracino e Marco Furfaro.
Dietro le quinte, da tempo, si muove il vicesegretario Peppe Provenzano, che sta lavorando per portare dalla sua parte i big della sinistra interna, da Andrea Orlando a Nicola Zingaretti. E poi Dario Franceschini, che ha investito sulla leader di «Occupy Pd» a costo di perdere pezzi dentro la sua corrente areadem: Piero Fassino, dopo oltre 13 anni di sodalizio, ha deciso di andare per conto proprio e sostenere Bonaccini.
La mossa di Boccia, che è commissario del Pd in Campania e sovrintende anche il congresso nella sua Puglia, rompe ufficialmente l’asse con i governatori del sud, Emiliano e De Luca, che hanno scelto il collega Bonaccini. A questo punto il risiko del congresso appare ormai definito, e così le squadre in campo.
Per ora, la maggior parte dei sindaci (da Nardella a Ricci e Decaro) e dei dirigenti è orientata verso Bonaccini, ma la scelta di Boccia potrebbe riaprire i giochi nel mezzogiorno, e spostare pezzi di apparato e amministratori verso Schlein. Lo stesso potrebbe accadere nel Lazio con Zingaretti.
Il “correntone” che si va riunendo attorno a lei è stato già battezzato «quelli del Conte 2», a indicare non solo la presenza di tre ex ministri di quel governo, ma anche una linea politica. E così la partita potrebbe farsi più competitiva. Le previsioni danno il governatore emiliano in vantaggio nel primo round tra gli iscritti. Ma alle primarie, stavolta, il risultato potrebbe invertirsi.
Sulle alleanze, le posizioni si stanno distanziando. Se Schlein guarda verso Conte, il suo sfidante spiega che «se vogliamo diventare la fotocopia dei M5s allora gli elettori scelgono l’originale, non dobbiamo schiacciarci su quelle posizioni».
Il governatore accentua la spinta rottamatrice, timoroso di essere percepito come candidato d’apparato contro la novità Schlein: «Qualcuno potrà ancora essere utile ma la classe dirigente che guiderà il Pd dovrà essere nuova». E lancia un questionario su Facebook in cui chiede ai simpatizzanti di indicare le politiche più utili per abbattere gli «ostacoli alla libertà, l’uguaglianza, la dignità e lo sviluppo dei cittadini»
Commenta (0 Commenti)Lavoro: dieci domande per Bonaccini e Schlein
di Piergiovanni Alleva
Stefano Bonaccini ed Elly Schlein li conosco bene, o almeno a sufficienza, per essere stato consigliere, di opposizione e di ultrasinistra, all’Assemblea regionale dell’Emilia-Romagna. Lui era il mio presidente, autorevole, solido, buon amministratore e ottimo navigatore politico, ma, per i miei gusti di vetero-marxista “irredento”, un po’ troppo interclassista, oltre che poco incline ai voli di fantasia. Lei, al contrario, era un fuoco di artificio di idee e suggestioni, tanto da indurmi, alla fine, ad aderire alla sua lista “Emilia Romagna coraggiosa”, seppur con la inquietante sensazione di non essere riuscito a distinguere davvero, e fino in fondo, “il fumo dall’arrosto”.
Adesso entrambi puntano alla segreteria del Partito democratico e “cavalcano”, come si dice, il tema sul quale quel partito, se vuole sopravvivere, deve realizzare un grosso recupero: il tema del lavoro, ovvero delle tutele e dei diritti dei lavoratori. E poiché questo tema mi impegna da una vita, nello studio, nella professione e nella politica, ho pensato di proporre ai due candidati, bonariamente, ma seriamente, un questionario-test di dieci domande su altrettanti argomenti centrali. Domande alle quali bisogna rispondere con un “sì” o con un “no”, ma con l’intesa che il “sì” comporta, poi, un coerente impegno politico. Ecco, qui di seguito, l’elenco degli argomenti e delle domande:
1) Sul Reddito di cittadinanza . “Sei d’accordo sul principio che vada mantenuto per tutti, anche per gli ‘occupabili’, e che non si possa parlare di un loro rifiuto di una offerta lavorativa congrua, se non previo formale e ufficiale interpello dell’amministrazione”?
2) Sulla riduzione d’orario ai fini di crescita occupazionale. “Approvi la proposta di riduzione della settimana lavorativa, a parità di salario, da cinque a quattro giornate, con parallela incentivazione di accordi ‘di solidarietà espansiva’, specialmente diretti all’assunzione di percettori di Reddito di cittadinanza”?
3) Sul salario minimo legale. “Concordi con la necessità di attuare subito la Direttiva europea sul salario minimo, e di fissarlo in 10 orari, in aggiunta (e non in sostituzione) alla estensione a tutti i lavoratori dei minimi della contrattazione collettiva”?
4) Sul ripristino della tutela di reintegra dell’articolo 18 dello Statuto. “Sei a favore del pieno ripristino della tutela di reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo non soltanto per i lavoratori pubblici, per i quali è già stato realizzato, ma anche per i lavoratori del settore privato”?
5) Sui diritti dei lavoratori degli appalti. “Concordi con la proposta di vietare gli appalti di mera manodopera e di stabilire una regola legale di totale parità di trattamento economico-normativo tra i dipendenti del committente e quelli dell ’appaltatore”?
6) Sulle delocalizzazioni produttive. “Sei a favore di una normativa legale di controllo delle delocalizzazioni di imprese e unità produttive, che comprenda la possibilità di una loro requisizione, sia temporanea che definitiva”?
7) Sui contratti di lavoro a termine. “Approvi la proposta di una nuova disciplina legale basata sui tre principi: a) della previa indicazione scritta della causale temporanea; b) del massimo di durata e c) del numero di percentuale massimo di lavoratori a termine dell’unità produttiva”?
8) Sui contratti di lavoro somministrati tramite agenzia .“Sei d’accordo con la proposta di estendere ai contratti di lavoro somministrato, in quanto contratti a termine ‘indiretti’, le stesse norme limitative da introdurre per i contratti a termine ‘diretti’ tra datore e il lavoratore”?
9) Sui falsi contratti a “part-time”. “Sei d’accordo sulla necessità di punire come reato di truffa aggravata la diffusa prassi di stipulare con il lavoratore un contratto formalmente a “part time”, ma con l’obbligo di lavorare, invece, per l’intero orario”?
10) Sul contrasto al “lavoro nero”.“Concordi sulla necessità, per eliminare rapidamente il lavoro nero, di introdurre un nuovo sistema di presunzioni legali, per il quale dall’accertamento di un periodo minimo di lavoro nero derivi automaticamente la costituzione di un rapporto subordinato a tempo indeterminato e assistito da stabilità”?
È ovvio che dovrebbe diventare segretario del Partito democratico il candidato che risponda positivamente al maggior numero di queste domande, ma vogliamo sottolineare che se la risposta positiva dovesse valere per tutte e dieci sarebbe realizzata ipso facto l’unità delle forze progressiste, perché su quelle risposte vi sarebbe certamente l’assenso del Movimento 5 Stelle e di Sinistra Italiana.
pubblicato su "Il Fatto Quotidiano" del 20 dicembre 2022
Commenta (0 Commenti)CONVEGNO DEGLI EX PPI. «No a modifiche al manifesto dei valori scritto da Scoppola e Reichlin»|. I timori per una svolta a sinistra con Schlein. Letta: nessuno si senta escluso. Ma Zanda lascia il comitato dei saggi
Pierluigi Castagnetti - LaPresse
«Se il Pd cambiasse la sua natura di partito dove si incontrano culture diverse, allora i popolari ne trarrebbero le conseguenze». Parola di Pierluigi Castagnetti, uno dei fondatori del Pd, che ieri ha riunito all’istituto Sturzo di Roma l’associazione «I Popolari». Un incontro lungo e molto partecipato degli eredi della sinistra dc, molto contrariati dal tentativo di riscrivere il manifesto dei valori del Pd. E timorosi che una vittoria di Schlein sposti il partito troppo a sinistra (di qui la scelta di molti di loro di sostenere Bonaccini).
«Avvertiamo che questo congresso può assumere decisioni che possono determinare un oggettivo tradimento di quell’originaria intenzione-intuizione che generò nel 2007 la novità più significativa dal dopoguerra», ha detto Castagnetti, che ha contestato la commissione dei 100 che sta lavorando al nuovo manifesto dei valori «senza che il gruppo dirigente abbia ricevuto un mandato congressuale per fare questo».
«Vorrei sapere quali sono questi nuovi valori. Quelli che sono nella Carta del 2007 sono stati scritti da Reichlin e da Scoppola, che vi avevano riflettuto bene». «Qualunque documento produca questo gruppo di persone, non può che essere consegnata alla dirigenza che uscirà dal prossimo congresso, come un contributo al dibattito», l’avvertimento di Castagnetti.
Cui è seguito l’annuncio di Luigi Zanda: «Ho partecipato alle prime riunioni del comitato e poi ho dato le dimissioni. Al di là dei contenuti, non ho condiviso in modo radicale il metodo. Sarebbe stato meglio fare una conferenza nazionale, lunga anche un anno, per analizzare le ragioni della nostra crisi». Molti i presenti, tra cui Beppe Fioroni, Francesco Garofani (consigliere di Mattarella), Antonello Soro, Bruno Tabacci, Roberto Di Giovan Paolo.
Letta ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Vi invito a non avere paura di questo dibattito. Il Pd è e sarà lo spazio politico delle nostre idee ed è l’unico soggetto che può mettere in campo quelle idee legate profondamente alla nostra Costituzione. Nessuno deve sentirsi escluso». Letta ha difeso l’idea di un processo costituente al posto di un normale congresso: «Occorre un dibattito approfondito perché dal 2007 una serie di avvenimenti hanno cambiato la realtà. All’esterno esce un racconto distruttivo dei lavori del comitato, ma dentro si discute in modo costruttivo delle sfide che ci portano i tempi nuovi».
Immediata la replica di Castagnetti: «Contano i fatti, ma dai lavori del comitato escono cose inquietanti. Se torniamo a 20 anni fa, meglio chiudere bottega». Anche Graziano Delrio ha invitato alla calma: «Abbiamo il compito di non demordere, di procedere con decisione perché il Pd non si perda e il nostro seme possa germogliare»
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Dopo una lunga strada in salita e una serie di vertici andati a vuoto, la Ue ha approvato un tetto al prezzo del gas: sarà di 180 euro a megawattora, che scatterà dopo un’impennata di almeno tre giorni lavorativi, sempre che superi di 35 euro il prezzo fissato dal Ttf di Amsterdam. Non c’è stata unanimità al Consiglio Energia, ma un voto a maggioranza qualificata: la Germania ha accettato, mentre Olanda e Austria si sono astenute, l’Ungheria ha votato contro. Il ministro Pichetto Fratin prima e la premier Meloni poi esultano: «Vittoria dell’Italia». Per la commissaria all’Energia, Kadri Simson, «con questo meccanismo l’Europa è meglio preparata per la prossima stagione invernale e per il nuovo round di riempimento degli stock». La Russia attacca: «Inaccettabile», dice il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che promette una reazione di Mosca. Ma comunque le sanzioni europee non riguardano il gas ma solo carbone e petrolio grezzo.
L’accordo arriva mentre sui rifornimenti di gas alla Ue per l’inverno 2023-24 – che sarà senza i russi – si addensano nuove ombre, con la polemica del Qatar, che ora pesa meno del 5% per le forniture di Gnl ma ormai in corsa per diventare un fornitore importante, che rifiuta le accuse di corruzione dell’inchiesta belga e minaccia gli europei di mettere fine alla «cooperazione» e alla «sicurezza» se continueranno le «restrizioni discriminatorie» verso Doha in seguito allo scandalo della corruzione al Parlamento europeo.
AL CONSIGLIO EUROPEO della scorsa settimana, i 27 avevano affidato ai ministri dell’Energia il compito di arrivare a una soluzione. L’accordo si applica dal 15 febbraio prossimo. Sul tavolo c’era la proposta della Commissione, che non è mai stata entusiasta a mettere un tetto, in sintonia con un gruppo di refrattari, Germania, Austria, Danimarca, Olanda, Ungheria, che temono prima di tutto i rischi di penuria e le conseguenze imprevedibili di un intervento sui mercati, la prima volta nella storia Ue. Bruxelles aveva suggerito di fissare il tetto a 275 euro, ma 16 paesi favorevoli hanno alla fine ottenuto un compromesso. Con dei «freni d’emergenza», garanzia per i refrattari: il price cap sarà sospeso in modo automatico in caso di un aumento dei consumi di gas, se uno stato si troverà in una situazione d’emergenza per gli approvvigionamenti e se si verificherà una sospensione massiccia delle importazioni di gas nella Ue.
IL MECCANISMO di correzione del mercato, cioè il price cap, è accompagnato da altre misure, tutte destinate a influire come calmiere dei prezzi: acquisti congiunti di gas e impegno rinnovato sulla transizione verso le energie rinnovabili. Ma anche su questo fronte ci sono ostacoli. La Commissione vorrebbe una svolta verso le fonti rinnovabili al 45% del fabbisogno entro il 2030. Nove paesi hanno firmato un paper per manifestare il loro d’accordo (Germania, Austria, Danimarca, Estonia, Lituania, Grecia, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, a cui si aggiunge la Finlandia, che però non ha sottoscritto il testo), ma la maggior parte degli altri (tra cui Francia, Olanda, Irlanda) preferiscono restare alla prima stesura del testo di Bruxelles, che stabilisce una riconversione al 40%, considerata più realista. La Svezia, favorevole al 45%, ha preferito astenersi perché dal 1° gennaio 2023 ha la presidenza del Consiglio Ue e deve mostrare imparzialità.
IL QATAR ALZA LA VOCE e minaccia di tagliare le forniture di Gnl alla Ue, rifiutando le accuse di corruzione dell’inchiesta belga. Ma gli accordi vanno avanti. Ieri, TotalEnergies ha annunciato un’intesa con QatarEnergy e Petronas Petroleo Brasil per Agua Marinha, una superficie di 1.300 km2, a 140 km dalle coste. Ci sono due grandi progetti di sfruttamento di giacimenti per il 2026 e 2027 nel Golfo Persico. Già Total collabora con il Qatar nel North Field East, il più grosso investimento nel Gnl al mondo, a cui partecipa anche Eni. In prospettiva c’è il North Field South. La Germania ha firmato in questi giorni un accordo tra i suoi industriali e il Qatar su un periodo di 15 anni, il solo di lungo periodo, mentre altri paesi Ue, come l’Italia, hanno concluso intese spot con Doha. La Ue guarda anche altrove, soprattutto per l’uscita dall’energia fossile: è stato firmato domenica un protocollo di accordo per lo sviluppo delle rinnovabili nel Mare del Nord, con Norvegia e Gran Bretagna.
UN SONDAGGIO Eurobarometro rivela che gli europei approvano all’82% le misure prese dalla Ue per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia e l’83% pensa che la guerra spinga gli investimenti nelle rinnovabili. L’85% dei cittadini europei sta subendo un impatto per l’aumento dei prezzi dell’energia, per il 49% le decisioni prese a Bruxelles avranno un effetto positivo sulla situazione economica (per il 18% sarà negativo, per il 22% sarà senza effetto), ma l’88% approva gli aiuti umanitari all’Ucraina, l’82% l’accoglienza dei rifugiati della guerra, il 71% le sanzioni alla Russia, il 70% il sostegno finanziario a Kyiv e il 59% gli aiuti militari