LEGAMBIENTE A CONGRESSO. I troppi ritardi dell’Italia, che accelera solo sui rigassificatori. «Cambiare rotta»
Stefano Ciafani (Legambiente)
La posizione di Legambiente, impegnata fino a oggi a Roma nel XII Congresso nazionale per definire le caratteristiche del cantiere Italia per la transizione ecologica, è chiara: «Stop fossili, start rinnovabili». Un netto «no» quindi ai sussidi a chi inquina e alle strategie fossili ma anche a quelle che l’organizzazione definisce «false soluzioni, come il nucleare e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, che rischiano di far perdere al Paese le vere occasioni di innovazione e sviluppo per i territori».
Nucleare al centro ieri della Cop28 di Dubai, con la premier Meloni che ha ribadito di non avere preclusioni «su nessuna tecnologia che possa essere sicura e che possa aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica». Ieri, nel secondo giorno di Congresso, Legambiente ha sottolineato come nell’accelerazione della transizione ecologica pesino i cronici ritardi di alcuni cantieri nazionali, iter lunghi, riforme in stallo e chiara mancanza di volontà politica.
Il documento dell’associazione evidenzia le maggiori lacune: lo sviluppo delle rinnovabili, ad esempio, è lento e faticoso, con 1.400 progetti in valutazione al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), come quello di eolico off-shore presentato nel Golfo di Manfredonia, dopo 15 anni ancora fermo. Anche la riconversione industriale non decolla: l’esempio più significativo è la mancata decarbonizzazione dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto.
Pesa anche la lentezza nella realizzazione di nuove aree protette previste da leggi nazionali o regionali: come quella marina Costa di Maratea in Basilicata (L. 394/91), richiesta dagli anni Novanta e non ancora realizzata, e il Parco nazionale del Matese (L. 205/2017) tra Campania e Molise, ostaggio di interessi politici e lungaggini burocratiche delle Regioni. Nella lotta all’illegalità e all’abusivismo edilizia si fa ancora fatica ad abbattere gli ecomostri, che non sono una priorità nazionale.
Tra i ritardi che riguardano l’attuale governo, l’approvazione del decreto del Pnrr sul bando per lo sviluppo delle comunità energetica rinnovabili nei piccoli comuni, l’approvazione del Pnacc (Piano nazionale di adattamento climatico) e di una legge contro il consumo di suolo ma anche la mancata piena attuazione delle direttive comunitarie per archiviare la stagione delle discariche e degli inceneritori.
Tutto questo mentre «il nostro Paese impiega mediamente sei anni per l’autorizzazione di un impianto eolico contro la media europea di due, e mentre si accelera l’iter di autorizzazione dei rigassificatori, prevedendola in 6 mesi come a Piombino e Ravenna, e si pensa al Ponte sullo Stretto di Messina per collegare Calabria e Sicilia dove, per andare da Trapani a Ragusa, si impiegano 13 ore cambiando 4 treni regionali. Chiediamo al Governo Meloni, alle Regioni ed enti locali di cambiare rotta con politiche climatiche coraggiose e ambiziose» commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente fino al rinnovo delle cariche, previsto per oggi
Firmate intese sul fondo “loss and damage” e sull’agricoltura sostenibile. Testi che definire memorabili sembra esagerato, ecco perché
Il primo giorno della conferenza (30 novembre) è stato trovato un accordo “storico” per rendere operativo il fondo loss and damage (perdite e danni) per assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Il fondo sarà gestito e supervisionato da un board e amministrato dalla Banca Mondiale.
Gli Emirati arabi uniti hanno annunciato un impegno di 100 milioni di dollari per il fondo, stessa cifra la Germania, 40 milioni il Regno Unito, 10 milioni l’impegno del Giappone e 17.5 quello degli Usa. Si tratta di impegni assunti volontariamente, e la cifra raggiunta è abbastanza ridicola. Basti pensare, per fare una paragone, che l’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna ha causato, da sola, oltre 10 miliardi di danni.
È senz’altro positivo che sia stato trovato un accordo per rendere operativo il fondo, ma chiamarlo storico ci sembra esagerato. Le risorse sono poche e restano dubbi su come saranno utilizzate. Il ruolo della Banca Mondiale non rassicura. Non è solo un problema di risorse, ma anche di come saranno spese e su quali progetti
L’accordo non assicura che verranno decisi democraticamente coinvolgendo le comunità locali, le popolazioni indigene e tribali, i lavoratori e i sindacati, che nella realizzazione dei progetti saranno garantiti i diritti umani, i diritti dei lavoratori, dei migranti, delle persone marginalizzate, che saranno attivate politiche di giusta transizione, ridotti i divari di genere e generazionali.
Secondo giorno (1° dicembre): viene firmata da 134 Paesi, fra cui l’Italia, la dichiarazione su agricoltura sostenibile, sistema alimentare resiliente e azione per il clima.
Anche questa definita “storica” perché per la prima volta in una dichiarazione Cop sancisce la connessione fra cibo e cambiamento climatico e assume la necessità di coinvolgere anche il cibo e il settore agricolo nel contrasto al cambiamento climatico.
Certo, se è sufficiente la primogenitura per guadagnarsi l’appellativo di storico, allora non possiamo dire niente. Ma ci sarebbe piaciuto leggere, oltre alle belle promesse, anche qualche impegno su come realizzare una sicurezza alimentare inclusiva, sulla riduzione degli allevamenti intensivi, sulla promozione di un’alimentazione a base vegetale, per ridurre l’utilizzo dei pesticidi e preservare i semi e la biodiversità, per fermare la deforestazione.
Occasione per evitare la catastrofe ambientale. Nord e Sud del mondo hanno interessi diversi. Possibili piccoli passi, ma serve un cambiamento radicale
Oggi 29 novembre, giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese istituita nel 1977 dall’Assemblea Generale dell’ONU, la Segreteria nazionale ANPI ha deciso di sottoscrivere l’appello lanciato dal Laboratorio ebraico antirazzista, Assopace, Emergency e Mediterranea Saving Humans, per il cessate il fuoco permanente e per una soluzione politica del conflitto pluridecennale fra israeliani e palestinesi. Non basta la fragile tregua in corso. Occorre un definitivo cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e assieme, l’avvio, grazie a una mediazione internazionale, di una soluzione politica che salvaguardi la sicurezza di Israele e imponga la fine dell’occupazione e la nascita di un vero Stato palestinese. L’attacco criminale di Hamas del 7 ottobre e l’orrore di Gaza a cui stiamo assistendo da quasi due mesi hanno rappresentato il superamento di ogni limite di umanità e di civiltà. Non si costruisce nessuna sicurezza per nessuno con una spirale di barbarie e di sangue innocente.
Il testo dell'appello:
La fragile tregua ottenuta per Gaza eè il frutto di una lunga mediazione internazionale, ma servono un cessate il fuoco permanente e una vera soluzione politica per una prospettiva concreta di pace e giustizia.
Il 7 ottobre Hamas ha ucciso e rapito civili inermi nelle loro case, per strada, a un festival sottraendoli alle loro famiglie. È stato un attacco che ha colpito prevalentemente civili ebrei israeliani, tra cui bambini, anziani, attivisti storici per la pace e contro l’occupazione ma anche lavoratori migranti, palestinesi con passaporto israeliano o residenti in Israele. Sono seguite settimane di bombardamenti indiscriminati da parte del governo israeliano contro la popolazione di Gaza, con scuole ed ospedali divenuti cimiteri. Più di un milione di palestinesi è stato costretto a lasciare le proprie case per dirigersi nel sud di Gaza, che non è più un luogo sicuro. Non ci sono corridoi umanitari adeguati, acqua, cibo, energia. In Cisgiordania, è cresciuta esponenzialmente la violenza da parte di coloni armati contro la popolazione civile palestinese.
"Davanti a questi orrori, l’opinione pubblica internazionale in Europa si è polarizzata, con il ritorno di gravissimi episodi di antisemitismo e islamofobia, riportandoci alla retorica dello scontro di civiltà che ha fatto danni enormi negli ultimi decenni. La lotta contro l’antisemitismo non può essere né una mossa ipocrita per cancellare il retaggio del fascismo, né un’arma in più per reprimere il dissenso e alimentare xenofobia e pregiudizio antiarabo. Deve invece essere parte integrante della lotta contro ogni forma di razzismo.
Questa logica binaria – da una parte o dall’altra – è la trappola a cui è necessario sottrarsi in questo momento. Non si può cancellare l’orrore del 7 ottobre, ma si può fermare la strage a Gaza. Un crimine di guerra non ne cancella un altro: alimenta solo l’ingiustizia che prepara il terreno ad altra violenza.
Rivendichiamo il diritto e il dovere di guardare la guerra sempre dal punto di vista delle vittime, perché sono loro l’unica certezza di ogni conflitto. La protezione dei civili, senza distinzione di nazionalità, residenza o religione, e degli ospedali, deve essere il primo obiettivo di un’azione diplomatica della comunità internazionale e delle forze della società civile.
Chiediamo la fine definitiva del massacro a Gaza, l’avvio di corridoi umanitari adeguati e la liberazione di tutti gli ostaggi. In Israele oltre mille palestinesi sono trattenuti in detenzione amministrativa, tra cui centinaia di minori, di cui chiediamo il rilascio. È necessaria una soluzione politica a partire dalla fine del regime di apartheid e delle politiche di colonizzazione e di occupazione militare israeliane. Non potrà mai esserci sicurezza – per i palestinesi, per gli israeliani, per nessuno di noi, – senza eguaglianza, diritti e libertà"
A Palazzo Chigi il governo conferma l’impalcatura della legge di bilancio che non convince i sindacati. Landini: “Fanno cassa sui lavoratori”
Un incontro fiume sulle legge di bilancio – tre ore e mezzo – che non ha partorito alcun risultato. "Sono confermate tutte le ragioni per lo sciopero”. Duro il giudizio del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini al termine dell’appuntamento di Palazzo Chigi col governo. Scontato il seguito: “Venerdì primo dicembre si conclude il giro degli scioperi con le manifestazioni nelle regioni del Mezzogiorno, la Campania, la Puglia, la Basilicata e la Calabria".
LANDINI: NESSUNA APERTURA DAL GOVERNO
Per Landini, infatti, "sono confermate le ragioni di quello sciopero perché al di là dell'ascolto e del confronto, il governo a ora non ha cambiato nulla della manovra di bilancio”. Anche rispetto all'articolo 33 – che taglia aliquote e rendimenti per le future pensioni di medici, infermieri, personale degli enti locali, maestre d'asilo, ufficiali giudiziari – e che i sindacati hanno chiesto di ritirare “il governo si è limitato a dire che stanno ragionando e valutando delle modifiche ma non il fatto che interverranno in quella direzione".
"Per noi – ha attaccato – continua a essere una manovra sbagliata, che fa cassa sui lavoratori e sui pensionati”. La mobilitazione dunque continua, ha incalzato il leader della Cgil, “perché siamo di fronte alla necessità di riforme strutturali nel nostro Paese a partire da una serie riforma fiscale oltre a quella delle pensioni, al rinnovo dei contratti nazionali e soprattutto per dare un futuro ai giovani". Infine occorre "cancellare quella precarietà assurda che oggi li porta ad andare via dal nostro Paese".
BOMBARDIERI: CORDIALITÀ MA NIENTE DI PIÙ
Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario generale della Uil Pierpaolo Bomabrdieri, che ha sottolineato come "il governo conferma la sua insensibilità alla richiesta delle piazze di queste settimane. È stato un incontro lungo e cordiale, in cui abbiamo riproposto tutti i temi spiegati ai lavoratori. E Il governo ha ascoltato e si è confrontato sui salari, sul recupero del potere d'acquisto e sugli extraprofitti”.
Tuttavia, ha aggiunto, “le decisioni illustrate alla fine riconfermano l'impostazione della manovra, anche sull'articolo 33 su cui si valuta un'eventuale modifica". D’altro canto, ha concluso, "era quello che ci aspettavamo, il governo ha chiarito che non ci sarebbero state modifiche. Eravamo preparati ma è strano che si riconfermi l insensibilità alle richieste delle piazze".
SBARRA, INCONTRO IMPORTANTE
Più conciliante il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, per il quale “è stato un incontro molto importante, sia nel metodo che nel merito. Una riunione lunga, articolata, complessa, alla presenza di quasi tutto il governo”. Si tratta, ha evidenziato, di “un segno di rispetto dopo le mobilitazioni e manifestazioni che abbiamo fatto in questi ultimi giorni, in modo particolare la partecipatissima iniziativa della Cisl di sabato a Piazza Santi Apostoli".
Quelli che sul serio pensano che dall’alluvione dobbiamo imparare che “non si può ricostruire come prima” diano un segnale concreto… rispetto ad annunciate nuove urbanizzazioni in zone potenzialmente a rischio, il caso più noto, ancora oggetto di discussione, iniziative, petizioni, ecc. è quello dell’area della Ghilana ma, come abbiamo recentemente indicato, ve ne sono anche altri (un’area attigua alla rotonda XXV Aprile, vicino alla “casa sul fiume”, un’altra in via Chiarini, ecc.).
Allora noi avanziamo una proposta rivolta in primo luogo agli amministratori pubblici e poi a tutti i soggetti privati coinvolti, oltre che alla cittadinanza: fermiamoci un attimo, facciamo una moratoria su tutti questi progetti, prima venga discusso e approvato il famoso Piano Urbanistico Generale (PUG) e poi alla luce di quelle indicazioni si discuta del resto.
Oggi il problema non può essere una discussione burocratica sulle norme su: “diritti acquisiti”, quali modifiche ai progetti (magari in deroga a norme vigenti), quali “compensazioni”, ecc. , ma piuttosto il disegno generale della città che tenga conto dei cambiamenti necessari per far fronte a possibili altre emergenze.
È una richiesta che rivolgiamo agli amministratori, ma anche a tutti i consiglieri comunali e dell’URF (forse dovremmo fare meno affidamento su quelli dell’opposizione – che si caratterizzano per polemiche strumentali, ma sono in prima fila per sostenere nuove costruzioni – ma almeno da dentro la maggioranza qualche sensibilità in più sarebbe auspicabile).
La richiesta è rivolta anche a tutti i soggetti privati coinvolti. È comprensibile che le proprietà interessate si dolgano delle perdite economiche (o dei mancati introiti) che ne deriverebbero, ma anche se avessero il via libera per costruire sono sicuri che queste villette siano così appetibili?
Noi abbiamo avanzato l’idea che forse anche questi danni potrebbero ricadere tra i ristori che il Governo Meloni ha garantito al 100%. In ogni caso non va dimenticato che vi sono cittadini che dall’alluvione hanno già perso molto di più, in particolare in rapporto al rispettivo patrimonio.
Proprio nella prospettiva di un diverso disegno della città, che il nuovo PUG dovrà indicare – privilegiando la riqualificazione e la rigenerazione del patrimonio già costruito – sarebbe possibile che le proprietà che dovessero rinunciare a vecchi progetti di nuove costruzioni possano trovare opportune agevolazioni.
A questo proposito vorremmo ricordare un caso positivo, quello della rigenerazione dell’ex sede USL in Via Masoni, proprio ad opera di CO.ABI, una delle proprietà coinvolte nell’area della Ghilana.
Chi ha, o dichiara di avere, qualche sensibilità sociale e ambientale in più, dia qualche segnale concreto. Un altro modo di costruire è possibile!
Italia gigante dai piedi d’argilla sempre più soggetto ad alluvioni e piogge intense
In 14 anni di monitoraggio registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente
684 allagamenti e 86 frane da piogge intense, 166 le esondazioni fluviali
In Emilia Romagna due eventi alluvionali in pochi giorni nel mese di Maggio hanno messo in ginocchio la Romagna.
In compenso il Governo Meloni dimezza le risorse destinate a contrastare il dissesto idrogeologico,
da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno
per la gestione delle emergenze
Legambiente: “Urgente definire una nuova governance che abbia una visione più ampia di conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Quattro le priorità da cui ripartire: serve approvare il PNAC,
una legge contro il consumo di suolo, superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, definire una regia unica da parte delle Autorità di bacino distrettuale che preveda anche una maggiore collaborazione tra enti”
L’Italia è sempre più soggetta ad alluvioni e piogge intense, e sempre più fragile e impreparata di fronte alla crisi climatica. È quanto emerge dal “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, che quest’anno dedica uno speciale proprio al tema alluvioni denunciando anche i tagli che ci sono stati alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico. I numeri parlano da soli: negli ultimi 14 anni-dal 2010 al 31 ottobre 2023 - sono stati registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia, con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Per le esondazioni fluviali al primo posto la Lombardia con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18 eventi. Va segnalato anche il numero di frane da piogge intense che hanno provocato danni in particolare in Lombardia (12), Liguria (11), Calabria e Sicilia (entrambe con 9 eventi). Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma, dove si sono verificati 49 allagamenti da piogge intense, Bari con 21, Agrigento, con 15, Palermo con 12, Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre; seguono Sciacca (AG) con 4, Genova e Senigallia (AN) con 3.
Numeri preoccupanti se si pensa che l’Italia è un gigante dai piedi d’argilla e ad elevato rischio idrogeologico con 1,3 milioni di persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il PNRR ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno (fonte Rendis- Ispra).
Secondo Legambiente a pesare in questi anni in Italia l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Per questo oggi l’associazione ambientalista, in occasione del lancio del suo report, ricorda quelli che devono essere i due pilastri cardine della buona gestione del territorio: ossia la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento. Al Governo Meloni lancia un appello affinché in tempi rapidi definisca una nuova governance del territorio, che riveda le politiche territoriali tenendo conto di quattro priorità su cui non sono ammessi più ritardi: 1) Occorre approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e individuare le linee di finanziamento stanziando adeguate risorse economiche (a oggi assenti) per attuare il Piano. 2) Approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni. Occorre, poi, far rispettare il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e i vincoli già presenti, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento. 3) Superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi. 4) Costituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio, e rafforzare la collaborazione tra gli Enti in modo da avere priorità di intervento e vincoli di tutela coerenti tra i diversi livelli, con l’obiettivo anche di fornire un quadro costantemente aggiornato dei progetti e dei cantieri in corso.
Nell’anno in corso due alluvioni hanno sconvolto l’Emilia-Romagna: il 2 e 3 maggio la prima e tra il 15 e il 17 maggio la seconda, più grave e che ha coinvolto 44 comuni, principalmente nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna. Le forti piogge hanno fatto straripare 23 corsi d’acqua e si sono verificate oltre 280 frane in 48 comuni. Sono stati evacuati grandi centri urbani come Faenza e frazioni del comune di Ravenna, mentre il centro storico di Castel Bolognese è stato allagato dall’esondazione del Senio. Numerose le strade e ferrovie chiuse e danneggiate.
Sono caduti più di 300 mm di piogge in due giorni e 21 tra fiumi e corsi d’acqua sono esondati; a inizio Giugno si contavano 936 frane principali e migliaia di microfrane attive, 726 strade chiuse totalmente o parzialmente . Il bilancio ufficiale è di 15 vittime, oltre alle 3 vittime dell’ondata di inizio maggio che aveva già compromesso abitazioni, viabilità e agricoltura. Il ripristino del territorio prevede 430 interventi per una spesa stimata di 360 milioni di euro.
“Ciò che è avvenuto a Maggio rischia di ripetersi ogni qualvolta ci sarà una pioggia intensa – dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia Romagna – Lo abbiamo visto solo qualche settimana fa quando in tutto l’appennino è scattata l’allerta rossa per forti piogge e possibili frane che ha poi innescato le allerte nei giorni successivi anche in pianura; per fortuna questa volta non è accaduto nulla, ma ogni allerta comporta chiusure di scuole, strade, ponti, un danno all’economia e una prova anche emotiva per le popolazioni. Occorre lavorare sulla mitigazione de rischio idrogeologo, restituendo spazio ai fiumi, delocalizzando le attività produttive realizzate in golena, disigillando i territori impermeabilizzati, realizzando opere di difesa passiva e di sfogo controllato come le casse di espansione. Ad esempio, sul fiume Senio l’unica cassa realizzata è stata fondamentale per contenere la piena a maggio, fin quando ha potuto, mancando ancora le altre; questi lavori vanno terminati e vanno pensati anche per altri fiume, come il Lamone, altro protagonista dell’alluvione di primavera.”
“La ricostruzione delle aree colpite dalle alluvioni, a partire dall’Emilia-Romagna -– spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente - deve essere l’occasione per ripensare la gestione del territorio, anche con coraggiosi cambi di uso del suolo, considerata l’ingente quantità di risorse pubbliche che saranno utilizzate. Sarebbe miope, infatti, pensare di ricostruire con la filosofia “dov’era, com’era”.