Crisi Ucraina Per l’Ucraina restano inaccettabili le richieste territoriali russe e insiste sul cessate il fuoco prima
In un locale a Kyiv le notizie sulle trattative a Istanbul – foto Ap
Nei colloqui di Istanbul le delegazioni russa e ucraina hanno concordato che ciascuna delle parti «presenti la propria visione di un possibile cessate il fuoco» e hanno ritenuto «opportuno continuare i negoziati», inoltre Mosca «valuta la richiesta di negoziati diretti Putin-Zelensky». Lo ha detto il capo delegazione russo Vladimir Medinsky – che, va sottolineato, prima aveva incontrato la delegazione Usa; e il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov ha affermato che le delegazioni ucraina e russa hanno discusso la possibilità di uno scambio di mille prigionieri ciascuno e «lavorando ad altre modalità di questo scambio». Trump – nonostante la pronta telefonata dei leader europei da Tirana perché considerasse il negoziato fallito per responsabilità dell’assente Putin, dall’alto del suo protagonismo d’affari imperiale ma al centro del mondo ormai, ha ammonito rassicurando.
Tutto si risolverà, ha dichiarato, «con un colloquio diretto tra me e il leader del Cremlino».
L’informazione retorica darà per falliti i colloqui di Istanbul, ci vuole poco. Invece è un momento, solo un momento prezioso che fotografa un cambio di attitudine decisivo: dopo tre anni di conflitto le parti tornano a parlarsi, certo con parole non ancora disarmate e disarmanti, e non a caso nel luogo del primo negoziato a Istanbul nell’aprile 2022 – quello fatto fallire dall’intervento del leader britannico Johnson, centinaia di migliaia di morti dopo, distruzioni e odio seminato sul quale abbiamo riversato solo armi su armi. Certo il “risultato” non c’è e si può parlare legittimamente di stallo, visto che per l’Ucraina restano inaccettabili le richieste territoriali russe e insiste sul cessate il fuoco prima, mentre i mediatori russi, provocatoriamente, citano la “storia”, insomma senza accordo niente tregua.
Ma il «momento» resta importante. Almeno per chi ha seguito questa crisi dalle cosiddette rivoluzioni colorate a Kiev e poi dall’oscura Majdan per arrivare alla presa della Crimea da parte russa e a otto anni, dimenticati, di guerra civile nel Donbass – quando il presidente Poroshenko si vantava che «noi siamo tranquilli nelle nostre case e i loro bambini stanno invece sotto le bombe»; poi l’iscrizione nella Costituzione ucraina dell’ineludibile ingresso nella Nato – del resto presente in Ucraina fin dal 2014 per ammissione dell’ex segretario atlantico Stoltenberg; per arrivare alla tragedia dell’invasione russa decisa da Zar Putin che ha aperto il vaso di Pandora di una guerra sanguinosa, di trincea, nel cuore d’Europa con centinaia di miglia di vittime.
A contraddire però questa aspettativa positiva per un cambio almeno di atteggiamento dopo tanto sangue versato ecco l’ennesima scesa in campo della coalizione dei Volenterosi, stavolta da Tirana: sul cessate il fuoco prima e sul possibile intervento militare diretto «per le garanzie di sicurezza». Putin, lo ricordiamo, ha per primo invitato Zelensky a Istanbul, lui ha risposto recalcitrando che sarebbe andato ma a condizione del cessate il fuoco, e Trump lo ha corretto e impegnato invece ad andare «immediatamente». I Volenterosi, praticamente l’Europa rimasta fuorigioco dopo tanti invii di armi, hanno rialzato la velleitaria testa sul cessate il fuoco come condizione, quasi un ultimatum con nuova minaccia di sanzioni, aggiungendo alcune minacce pesanti davvero inedite: appunto, la missione militare per “monitorare” la sicurezza di una tregua con truppe europee per le quali ieri il ministro britannico della Difesa è stato più preciso e preoccupante, dichiarando che Londra è ormai «disponibile a inviare truppe» e non dando dettagli ulteriori su tempi e modi «per non informare Putin» ha detto; e il giorno prima Macron ha tranquillamente annunciato la pronta disponibilità della Francia a dare le sue armi atomiche a Polonia, Lituania e non solo, per la prima volta aprendo l’ombrello nucleare della force de frappe ad altri paesi.
Siamo dunque all’invio di truppe, «per la sicurezza» di una tregua che non c’è, anzi c’è ancora la guerra, e che questi termini insidiosi rischiano di impedire, con una nuova minaccia nucleare ai confini russi. Ritorniamo all’obiettivo della “vittoria” con l’aggiunta di ultimatum da terza guerra mondiale. Ma non è stato Zelensky a riconoscere dopo tre anni di guerra che «non abbiamo la possibilità di riconquistare i territori occupati» come del resto il Pentagono diceva da due anni?
«Portarlo (Putin ndr) al limite – ha scritto nel suo editoriale Marco Imarisio sul Corriere della Sera di eri – come sembra voler fare l’Europa con i suoi ultimatum che dimostrano soprattutto una scarsa comprensione della mentalità e della percezione che i russi hanno di sé, può essere controproducente», e concludeva nella speranza su Istanbul: «Anche perché l’alternativa non esiste. A meno di voler accettare altri anni di questa macelleria senza alcun senso». Siamo sul baratro perché non solo la guerra non finisca ma si allarghi: che ci riarmiamo a fare? Meloni, che si chiama fuori dai Volenterosi, strabica tra difesa armata dell’Ucraina-riarmo Ue e/o il sodale Trump, per ora non vuole mandare truppe sul terreno, inizio di una deflagrazione a dir poco incontrollabile del conflitto. Attenzione perché lei è proto-fascista ma non per questo stupida e i sondaggi li vede. E certo ora l’opposizione non può limitarsi ad accusarla di «non partecipare» a questa avventura.