Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

L'ALTRA SPONDA. Prevista la costruzione di due Cpr per gestire tra 36 e 39 mila persone l’anno. L’Ue: «L’Italia rispetti il diritto internazionale»

Accordo con Edi Rama, l’Italia manderà i migranti in Albania 

L’Italia si prepara a costruire la sua Ellis Island, un posto dove rinchiudere i migranti, raccogliere ed esaminare le domande di asilo e organizzare gli eventuali rimpatri. Solo che al contrario dell’isola al largo di New York, dove fino alla metà dello scorso secolo veniva radunato chi cercava un futuro in America, questa troverà posto lungo la rotta balcanica, in Albania, lontano dai confini (e probabilmente dai controlli) nazionali.

E’ quanto stabilisce un accordo siglato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni con il premier albanese Edi Rama e che una volta a regime prevede il trasferimento in due Cpr costruiti in Albania di tremila migranti al mese per un costo approssimativo di 36 milioni l’anno. «E’ un accordo di respiro europeo» ha spiegato Meloni al termine dell’incontro di ieri a palazzo Chigi con Rama. «Dimostra che si può collaborare sul fronte della gestione dei flussi. L’Albania darà la possibilità di utilizzare alcune aree del suo territorio all’Italia che potrà allestire i centri». Per il premier albanese l’intesa rappresenta soprattutto un investimento sulla possibilità di accelerare l’ingresso nell’Unione europea. «L’Albania non è uno stato Ue ma è in Europa – ha detto a sua volta Rama – E’ uno Stato europeo e questo non ci impedisce di vedere il mondo come europei». Proprio da Bruxelles arriva però la richiesta a Roma di agire rispettando i diritto comunitari e internazionale: «Siamo a conoscenza dell’accordo operativo tra le autorità italiane e albanesi», ha spiegato un portavoce dell’Ue. «Siamo stati informati di questo accordo ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate. Comprendiamo che questo accordo operativo dovrà ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato».

L’intesa sui migranti è nata la scorsa estate, durante la visita di due giorni fatta ad agosto dalla premier in Albania, ma stata resa nota solo una volta messi a punto tutti gli aspetti tecnici. Per Meloni si tratta di un altro tentativo nella sua strategia di raggiungere accordi con paesi terzi nella speranza di mettere un argine agli sbarchi (145.314 fino a ieri), specie dopo gli scarsi risultati ottenuti con il Memorandum siglato con la Tunisia e lo stallo in cui rischia di finire a Bruxelles il patto su immigrazione e asilo. Da questo punto di vista l’Albania, che per di più ha un forte scambio commerciale con l’Italia, offre a palazzo Chigi maggiori garanzie.

Stando a quanto previsto i migranti salvati in mare dalle navi di Guardia di finanza, Guardia costiera e Marina militare (ma non dalle navi delle ong) potranno essere trasportati direttamente in Albania a eccezione di minori, donne incinte e vulnerabili. Due centri verranno costruiti, «entro la primavera del 2024», uno nel porto di Shengjin e l’altro a Gjader, nell’entroterra, in grado di accogliere complessivamente tremila persone al mese. Nel primo si procederà allo sbarco e all’identificazione dei migranti, mentre nel secondo funzionerà come un Cpr. «La giurisdizione all’interno di questi centri sarà italiana», particolarità che, oltre a far valere le leggi italiane, dovrebbe consentire di raccogliere ed esaminare eventuali richieste di asilo. Italiano sarà anche il personale che opererà nelle strutture, mentre alle autorità albanesi spetterà la sorveglianza esterna.

Nei programmi del governo c’è l’intenzione di definire le varie posizioni – asilo o rimpatrio – entro il primo mese dallo sbarco, ma si tratta di un obbiettivo a dir poco ambizioso viste le difficoltà incontrate anche in Italia nell’organizzare i rimpatri. Senza contare che nonostante i tempi di detenzione nei Cpr siano stati allungati dal governo Meloni fino agli attuali 18 mesi, una volta superato questo limite i migranti dovranno essere rilasciati, e di certo non in Albania. Di conseguenza verranno portati in Italia.

L’accordo Italia-Albania viene definito dal Pd un «pericoloso pasticcio»: «Se si è di fronte a richiedenti asilo, appare inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse le procedure di verifica delle domande di asilo», commenta Pierfrancesco Majorino. «Non si comprende poi come possano essere gestiti gli eventuali ricorsi». Per il deputato di +Europa Riccardo Magi, invece, il governo starebbe preparando una «Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori della Ue senza che possa esserci la possibilità d controllare lo stato di detenzione delle persone richiuse in questi centri»

Dopo tante bugie ora è tutto chiaro: il governo fa peggio della legge Fornero. La mobilitazione continua con lo sciopero

 

Come assestare il colpo di grazia alle speranze pensionistiche di tante persone. Fatto! Bastano poche mosse in legge di bilancio. E non importa se è il contrario di quanto promesso in campagna elettorale da Salvini al grido di: “Quota 41”. Il risultato è sotto agli occhi di tutti: mesi di tavoli inutili, con una pletora di interlocutori, per fare peggio dei governi precedenti e addirittura della madre di tutti i guai di oggi: la legge Monti-Fornero che ormai appare persino lecito ribattezzare legge “Salvini-Meloni”. Insomma: dopo tante bugie la verità è chiara: motivo in più per proseguire la mobilitazione con lo sciopero

Duro il commenta della Cgil. “Sul disastro previdenza e sulla necessità di promuovere correttivi di emergenza alla legge di bilancio, leggiamo dichiarazioni che ci preoccupano – osserva la segretaria confederale Lara Ghiglione –. La modifica delle aliquote di rendimento per i pubblici è assolutamente sbagliata e per questa ragione l’esecutivo deve fare una retromarcia totale, e non parziale su questo provvedimento che ha dei profili di incostituzionalità”. 

 

“La norma - aggiunge la dirigente sindacale - deve essere cambiata per tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori pubblici che il Governo pensa di penalizzare retroattivamente. L'idea di fare cassa con le pensioni è un errore rispetto al quale sciopereremo nelle prossime settimane, insieme alla Uil". Ma vediamo in sintesi come cambierebbe, in peggio, la previdenza italiana.

Leggi anche

WELFARE

In pensione più tardi e penalizzati

Il promesso superamento della Fornero si traduce in un ulteriore arretramento. Tagli per tutti e nessuna risposta per giovani e donne. Ghiglione, Cgil: la nostra mobilitazione prosegue

In pensione più tardi e penalizzati

FUORI QUOTA

Con le nuove norme non si dà alcuna risposta a giovani, donne e pensionati. Cominciamo dalle quote. “Quota 103”, cioè la pensione con 62 anni di età e 41 di contributi, subisce un ricalcolo col sistema contributivo che può portare a un taglio dell’assegno del 20%. Non solo: le finestre di uscita aumentano di altri 4 mesi per i privati e 3 mesi per i pubblici, mentre viene anche previsto un tetto massimo.

APE SOCIALE PIÙ DIFFICILE

Viene innalzato il requisito di età che passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Vengono esclusi tutti quelli nati dopo il 1° agosto 1961.

OPZIONE DONNA NON C’È PIÙ

È una delle novità più difficilmente digeribili, con l’innalzamento dei requisiti (35 anni di contributi e 6i anni di età al 31 dicembre 2023) e solo per caregiver, invalide dal 74%, licenziate o dipendenti da aziende con un tavolo di crisi aperto. La misura viene di fatto azzerata.

GIOVANI: SEMPRE PIÙ TARDI

Innalzato l’importo soglia da raggiungere per accedere alla pensione anticipata nel sistema contributivo (a 64 anni con almeno 20 anni di contributi), da 2,8 a 3 volte il minimo (1.596 euro circa)

QUALE ANTICIPO

Il traguardo agognato della pensione viene spostato ancora più avanti. Dal 1° gennaio del 2025, se crescerà l’attesa di vita, potrà non bastare più avere 42 anni e 10 mesi di contributi, uno in meno per le donne.

INDICIZZAZIONE, TAGLIO CONFERMATO

Nessun intervento per la piena indicizzazione delle pensioni. Viene infatti confermato il taglio previsto lo scorso anno oltre 4 volte il trattamento minimo. Si punta poi a costituire una commissione che possa rivedere l’inflazione attraverso l’utilizzo del deflattore del Pil, sentito il Cnel.

SCURE SULLE PENSIONI PUBBLICHE

Infine, la ciliegina sulla torta. Dal 1° gennaio 2024 vengono riviste le aliquote di rendimento per la quota pensione retributiva per chi lavora negli enti locali, per chi è iscritto nella cassa sanitari, alla cassa degli ufficiali giudiziari e insegnanti delle scuole dell’infanzia o parificate.

Leggi anche

WELFARE

Il taglio è pubblico

La denuncia di Cgil, Fp e Flc: "Il governo fa cassa sui dipendenti statali. Sono riusciti a peggiorare la Legge Monti-Fornero”

Il taglio è pubblico

La vicenda risale all'aprile dello scorso anno. Un recente verbale di conciliazione ha portato sindacato e obiettore a rinunciare al risarcimento e il Comune a rinunciare al ricorso. Consolidato un principio fondamentale: l'arma non è obbligatoria

 

Sancito definitivamente in Corte d’Appello il diritto all’obiezione di coscienza in tema di utilizzo dell’arma da parte degli Agenti di Polizia Locale. Una vittoria importante che consolida un principio fondamentale: l’arma non è obbligatoria per gli Agenti di Polizia Locale. Non è scontato, con l’aria che tira.

Mentre suonano le fanfare per un anno di governo della destra più destra dell’era repubblicana, la Cgil a Ferrara, grazie alla causa portata avanti dalla Funzione Pubblica, la categoria che difende i lavoratori dei servizi pubblici, con l’assistenza legale delle Avvocate Marina Capponi e Sibilla Santoni, batte il Comune in primo grado e costringe il Comune stesso a riconoscere le ragioni della vittoria con un accordo in Corte d’Appello.

La vicenda

La vicenda ha origini nell’aprile dello scorso anno, quando una sentenza dà ragione all’Agente di Polizia Locale che, per obiezione di coscienza, si era rifiutato di girare armato e per questo era stato spostato a mansioni d’ufficio e dà ragione alla Funzione Pubblica Cgil di Ferrara che si era costituita a difesa delle Agenti donna a cui non era stata data la possibilità di esprimere obiezione di coscienza. E di fronte alla sentenza del giudice di primo grado il Comune stesso aveva annunciato ricorsi in tutte le sedi, ma “qualcuno deve averli riportati a più miti consigli – ci spiega al telefono Marco Blanzieri, segretario generale della Fp Cgil cittadina –. Così in questi giorni siamo arrivati a una conciliazione nella quale la categoria e l’Agente obiettore hanno rinunciato al risarcimento economico riconosciuto dal giudice di primo grado, ma il Comune ha rinunciato al ricorso. Insomma, abbiamo ‘inchiodato’ per sempre questa sentenza. Il verbale di conciliazione è una grande vittoria, sancisce il principio in base al quale un agente della Polizia Locale non può essere obbligato all’utilizzo dell’arma o discriminato nel caso in cui rifiuti di portarla. La partita in tribunale è chiusa e la sentenza farà giurisprudenza a Ferrara ma anche in altre amministrazioni”. 

Un passaggio a suo modo storico che la Cgil e la Funzione Pubblica hanno voluto fissare e spiegare per bene questa mattina in una conferenza stampa molto partecipata nella quale sono intervenute, insieme a Marco Blanzieri, anche la segretaria generale della Camera del Lavoro, Veronica Tagliati e la funzionaria Silvia Pivetti.

(Dichiarazione video di Silvia Pivetti, Fp Cgil Ferrara, a cura di Susanna Garuti)

Punito il comportamento discriminatorio del Comune

Una vicenda che ricorda a tutti, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza del sindacato nella difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. “Per essere stato confinato in ufficio, senza possibilità di svolgere servizi fuori, all’Agente era stata di conseguenza decurtata la quota di indennità legata ai servizi in esterna. Una doppia discriminazione che la Giudice di primo grado nella sentenza ha sottolineato parlando proprio di ‘comportamento discriminatorio’”.

Una vicenda che è riuscita a creare una breccia anche in quel tetto di cristallo che troppo spesso penalizza le donne sui luoghi di lavoro, poiché le Agenti di Polizia Locale, non essendo sottoposte all’obbligo di leva, non si erano mai potute pronunciare sul tema dell’obiezione di coscienza riferito all’utilizzo delle armi. Questa sentenza, estendendo il principio anche a loro, ha costretto il Comune a interpellarle una per una.

Una vittoria importante

“La riteniamo una vittoria importante – ci ha detto Marco Blanzieri – anche perché dà una prospettiva diversa a quello che sta succedendo politicamente nel nostro Paese. Oggi obbligare tutti gli Agenti di Polizia locale a utilizzare l’arma aumenta il rischio che gli stessi vengano utilizzati per compensare le carenze di organico delle altre Forze di Polizia a discapito delle funzioni proprie della Polizia Locale". Quando il sindacato rivendica un grande piano di assunzione che supplisca alle mancanze in organico dei lavoratori dei servizi pubblici spesso corriamo con la mente alla sanità, dimenticandoci che tutti i comparti del settore sono in realtà in grande difficoltà e sottodimensionati. 

“Proprio lo scorso venerdì abbiamo fatto il punto con il comitato iscritti del Comune di Ferrara. Ci sono persone che lavorano senza sosta e senza prendere gli straordinari dalle 8 di mattina alle 8 di sera, persone che stanno dando tutto per garantire i servizi pubblici. Abbiamo appena analizzato i risultati di un questionario sul benessere organizzativo in Comune a Ferrara, cioè il clima che si respira tra i dipendenti comunali. Il 18% di chi ha risposto denuncia di sentirsi oggetto di mobbing e il 7% dichiara di essere stato oggetto di discriminazione. Già di per se sono percentuali importanti ma lo diventano ancora di più se consideriamo che ha risposto solo il 39% dei dipendenti comunali".

"La sensazione – ci ha detto Marco Blanzieri – è che il Comune stia esercitando una grande pressione nei confronti dei propri dipendenti. E all’interno di un documento obbligatorio – e pubblico – che si chiama ‘piano delle azioni positive’ è stata espressa apertamente la volontà di inasprire le sanzioni disciplinari basate sull’utilizzo dei social da parte dei dipendenti. Un clima di tensione inaccettabile”.  La Cgil e la Fp di Ferrara oggi si godono una vittoria importante sul fronte dei diritti, ma la strada è ancora lunga. E nessuno ha intenzione di lasciare i lavoratori da soli a percorrerla

Rinunce a cure sanitarie e alimentazione, preoccupazione per il futuro: queste le ripercussioni del carovita sulle famiglie, secondo l'Osservatorio Futura

 

Acausa dell’inflazione un italiano su tre ha dovuto rinunciare alle cure sanitarie, uno su quattro ha limitato la spesa per l’alimentazione. Le aspettative per il futuro non sono migliori: per un terzo ci sarà un impatto sulle spese essenziali, la metà pensa che a essere sacrificate saranno le non essenziali e quelle per gli svaghi. Solo il 14 per cento afferma che gli aumenti generalizzati dei prezzi avranno un effetto minimo sul proprio tenore di vita.

Il quadro è delineato dall’indagine demoscopica realizzata dall’Osservatorio Futura per conto della Cgil, da cui emerge una forte preoccupazione per il caro vita per più della metà del campione (il 52 per cento su 800 intervistati), quota che sale a 57 se lo sguardo si volge ai prossimi mesi.

 

 

 

Bollette, benzina, cibo

Bollette di luce e gas, benzina e carburanti, prodotti alimentari sono le tre categorie che per gli intervistati risentono maggiormente dei rincari e che potrebbero registrare ulteriori aumenti nel prossimo anno. Decisamente più contenuti i valori relativi a trasporti, viaggi e ristoranti.

Secondo il campione, tra i fattori che scatenano l’inflazione ci sono l’aumento dei prezzi delle materie prime e la speculazione finanziaria, responsabili rispettivamente per il 61 e il 46 per cento della perdita di valore del denaro. Impattano anche i problemi geopolitici (40 per cento) e la stagnazione dei salari (37 per cento).

 

 

 

Risparmi & dintorni

Per fronteggiare la situazione, le famiglie hanno eliminato nel 64 per cento dei casi le attività del tempo libero e dello svago, le più penalizzate dalle rinunce, a seguire ci sono le spese per l’abbigliamento. Ma se il taglio dei beni non essenziali è la misura più adottata, anche il risparmio ha risentito negativamente della perdita di potere di acquisto dei redditi.

Il 52 per cento è in serie difficoltà economiche, di questi il 25 circa deve chiedere aiuto ad amici e familiari, prelevare dai risparmi, fare debiti per arrivare a fine mese.

Un dato che va a braccetto con quello emerso nella prima indagine di Eurostat sulle condizioni di vita delle persone in Europa: in Italia il 63 per cento delle famiglie fa fatica ad arrivare a fine mese, a fronte di una media Ue del 45,5 per cento e di una quota più bassa, inferiore al 25 per cento, di Germania, Svezia, Paesi Bassi.   

Sul fronte finanziario la cosa che preoccupa di più, secondo il sondaggio di Futura, è la limitata possibilità di continuare a risparmiare per il futuro. Al secondo posto, a pari merito, l’aumento delle spese mediche e la riduzione delle opportunità di crescita economica. Come se non bastasse, un intervistato su tre è anche in apprensione per la possibile perdita del posto di lavoro.

 

 

 

Quali soluzioni?

E il governo, in tutto questo, che cosa dovrebbe fare per alleviare il peso dei crescenti costi? Gli italiani interpellati non hanno dubbi: il 53 per cento pensa che dovrebbe ridurre le tasse, il 52 per cento sostiene che occorre regolamentare i prezzi, il 51 che bisognerebbe aumentare i salari minimi. Anche perché una grandissima fetta del campione, il 75 per cento, ritiene che l’aumento dei prezzi avrà una durata di qualche anno o di parecchi anni, fino a diventare una situazione strutturale. Decisamente pochi gli ottimisti, convinti che si tratti di una contingenza limitata a qualche altro mese (2 per cento).

Dall’altro lato, tra le soluzioni che gli intervistati hanno preso in considerazione, c’è anche quella di cambiare città o Paese a causa del costo della vita: uno su tre ci ha pensato almeno una volta, soprattutto se giovani e residenti nel Nord-Est. Il 9 per cento conta di farlo in un futuro prossimo.

Il ruolo dei sindacati

L’indagine ha chiesto al campione, rappresentativo della popolazione di età superiore ai 18 anni e con accesso a Internet, qual è il ruolo dei sindacati rispetto al carovita: il 35 per cento ritiene che siano determinanti. Inoltre, il 61 per cento pensa che dovrebbero tutelare i lavoratori maggiormente colpiti dall’aumento dei prezzi, il 59 che dovrebbero battersi anche politicamente per contrastarli, il 55 che dovrebbero avere una funzione più centrale in merito alle politiche adottate dall’esecutivo per combattere l’inflazione.  

SCARICA L'INDAGINE COMPLETA

Il drammatico quadro internazionale e i riflessi su economia e finanza mondiale e italiana, con un nuovo rischio inflazione. L'analisi dell'economista Pianta

 

l conflitto mediorientale genera incertezza a livello internazionale con l’effetto immediato di aumentare l’instabilità finanziaria. L’economista Mario Pianta, ordinario di Politica economica alla Scuola normale superiore a Firenze e presidente della Società italiana di economia, spiega che le prospettive di crescita per il 2023-2024 sono intorno allo zero con oscillazioni modeste e ora la situazione potrebbe divenire ulteriormente critica con una nuova spinta verso l’alto dei prezzi dell’energia. “Quanto sta accadendo in Medio Oriente – afferma - porta a un’impennata del petrolio, che è già arrivato a oltre 90 dollari al barile, vicino alle quotazioni raggiunte con l’esplosione della guerra in Ucraina. L’effetto dell’aumento dei prezzi dell’energia è immediato in Paesi come l’Italia, perché siamo dipendenti dalle importazioni di gas e petrolio”.  

Energia inflattiva

Come abbiamo visto anche nel 2022, il costo dell’energia determina l’aumento dei prezzi, Pianta sottolinea però il ruolo che ha avuto la mancanza di politiche di controllo, “perché si è lasciato che le grandi imprese petrolifere come l’Eni facessero crescere i prezzi quanto desideravano. Senza politiche di controllo succede che la spinta inflazionistica si trasmette a tutta l’economia e tutte le imprese sono spinte ad aumentare i prezzi. Nel 2023 il motore principale dell’inflazione non più stato l’energia ma l’aumento dei profitti guidato dalle imprese che hanno potere di mercato e non temono di perdere quote di fronte alla concorrenza. Questo accade nei settori dei viaggi, dei trasporti, degli alimentari e in tutte le attività di servizi con domanda rigida rispetto ai prezzi". 

 

L'eventuale nuova impennata dell’inflazione, secondo l'economista, potrebbe portare a "un ulteriore inasprimento della politica monetaria della Bce e una recessione molto più grave per l’Europa. A quel punto alcuni problemi diventerebbero intrattabili: il peso del debito pubblico, i vincoli sulla spesa, la ulteriore caduta dei salari, l’aumento della disoccupazione, i licenziamenti. Si tratta quindi di uno scenario di grande fragilità, ma rendiamoci conto che gli strumenti a disposizione vengono usati male. Le risposte politiche della Bce troppo restrittive partivano dall’illusione di azzerare l’inflazione in poco tempo e così si è rinunciato alla politica del controllo dei prezzi, fondamentale invece per il recupero della stabilità". 

La speculazione

C'è inoltre da capire quanto le impennate dei prezzi dipendano da un reale maggiore costo delle materie prime e quanto da manovre speculative. "Le dinamiche alle quali assistiamo creano spazi per la speculazione finanziaria che guida i mercati - dice Pianta -. I prezzi di gas e petrolio sono legati ai contratti future, quindi a scommesse finanziarie il cui costo effettivo è meno importante dell’operazione speculativa. Il fatto che il governo europeo e italiano non abbiano messo in discussione radicalmente questo modo di fissare i prezzi di beni essenziali ha permesso la speculazione in modo grave. L’instabilità internazionale ha sempre portato a dinamiche speculative sulle quotazioni in borsa che provocano a loro volta ulteriore instabilità e rischio di crisi: anche su questo fronte non ci sono stati interventi che limitino i comportamenti speculativi".

L'industria delle armi 

I conflitti provocano poi un aumento di profitti legati alle produzioni militari: "In risposta alla guerra in Ucraina - ci ricorda l'analista economico - l'Europa si è impegnata ad aumentare la spesa militare, che ha all’interno una voce importante per le armi. Quindi le relative imprese europee hanno aumentato significativamente le commesse, la produzione, i profitti, le vendite e le quotazioni in borsa. Questa traiettoria della trasformazione dell’economia europea è molto pericolosa perché concentra risorse pubbliche nella spesa militare e attiva un meccanismo di ricerca di sicurezza attraverso l’aumento della forza militare che crea però maggiore insicurezza, quindi una spirale di corsa al riarmo con esiti di instabilità. È importante ci sia una politica che riduca l’incertezza e sappia, ridurre la potenzialità dei conflitti sul piano internazionale, attraverso la cooperazione e le prospettive di disarmo". 

Questione di scelte

Nonostante gli scenari che si prospettano e ai quali abbiamo già assistito, il governo italiano sta mettendo a punto una legge di bilancio "inadeguata, perché gestisce alcuni blocchi di interessi della base elettorale di destra con interventi di respiro molto corto, un esempio su tutti le agevolazioni fiscali. Non c’è una strategia per tutelare i redditi reali di fronte all’inflazione, specialmente per quelli più bassi, e difendere le retribuzioni e in questo caso l’esempio è il rifiuto di affrontare la questione del salario minimo".

Manca il riconoscimento dell’emergenza della spesa pubblica e Pianta porta l'esempio di come si stanno affrontando i gravi problemi in campo sanitario, "come non c’è nemmeno un intervento strutturale sul nostro modello di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale. Siamo sempre in un contesto di corto respiro con effetti non particolarmente positivi sulla crescita dell’economia italiana e la riduzione delle disuguaglianze, aumentate con pandemia e inflazione. La manovra - conclude - sembra proprio non tenere conto dei problemi strutturali del Paese e nemmeno della drammatica situazione internazionale"

Appello
a tutte le donne e gli uomini che, dentro e fuori le istituzioni, non hanno smesso di credere nell’impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia.


“E’ indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

Fermiamo le stragi!
Anche se sembra difficile, facciamo l’impossibile per spezzare la spirale della violenza.
Bomba su bomba, raid dopo raid, assassinio dopo assassinio, razzo dopo razzo, attentato dopo attentato, strage dopo strage, la violenza sta superando ogni immaginazione.
Ad un’esplosione così straordinaria di violenza occorre contrapporre un’azione altrettanto straordinaria di segno contrario.
Condanniamo “senza se e senza ma” l’attacco ad Israele e la reazione che ne sta seguendo. Come abbiamo sempre, puntualmente, condannato tutti gli atti di guerra, di terrorismo e di violenza in ogni dove. Ma non limitiamoci a condannare! Salviamo le vite umane che possiamo ancora salvare. Non arrendiamoci all’escalation! Non lasciamoci trascinare nel baratro. Non assecondiamo la spirale della morte.

Facciamo pace a Gerusalemme
A trent’anni dalla firma degli Accordi di Oslo, dopo decenni di denunce e allarmi inascoltati, i responsabili delle istituzioni e della politica internazionale devono recitare il “mea culpa” e riconoscere la necessità pressante di fare quello che non è ancora stato fatto: la pace tra i “nemici”, la pace a Gerusalemme.

C’è un solo modo per mettere fine a questo incubo che sta insanguinando la Terra Santa e minaccia di infiammare il mondo intero: riconoscere ai palestinesi la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Tanti lunghi e dolorosi decenni di occupazione militare, uccisioni mirate, bombardamenti, guerre, arresti, repressione indiscriminata, abusi, umiliazioni, deportazioni, apartheid e violazione di tutti i fondamentali diritti umani, ampiamente documentati delle Nazioni Unite, dimostrano il fallimento di tutte le opzioni militari. Non ci sarà mai pace senza giustizia.

Rinnoviamo dunque, ancora una volta, un accorato appello a tutti i responsabili della politica nazionale, europea e internazionale perché intervengano energicamente per mettere fine a questa tragedia facendo rispettare il diritto internazionale dei diritti umani, la legalità internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite. Israele e Palestina: due Stati per due Popoli. Stessa dignità, stessi diritti, stessa sicurezza.
 
 
INVIA LA TUA ADESIONE A: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.