Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

 Guerra del grano, la strategia russa: pronti a riaprire le rotte commerciali
anche su Odessa
Biden cambia idea sui missili Porti, Putin rilancia il «ricatto»
Il presidente Zelensky distribuisce onorificenze nella regione di Kharkiv - 
Ufficio stampa della presidenza ucraina via Ap

Contrordine. «Non invieremo all’Ucraina sistemi missilistici che possono colpire la Russia» ha dichiarato il presidente americano Joe Biden ai giornalisti uscendo dalla Casa Bianca ieri pomeriggio. Ne consegue che l’invio dei sistemi lanciarazzi multipli (Mlrs) che secondo Zelensky dovevano contribuire a sbarrare l’avanzata russa nell’est, per il momento non ci sarà, nonostante le ultime notizie l’indicassero come una decisione già presa dal consiglio di sicurezza Usa.

Per Dmitry Medvedev, vice capo del Consiglio di sicurezza russo ed ex-presidente, si tratta di una decisione «ragionevole», aggiungendo che «in caso contrario, se le nostre città venissero attaccate, le forze armate russe dovrebbero prendere atto della minaccia e colpirebbero i centri dove

vengono prese tali decisioni criminali». A scanso di equivoci, Medvedev ha concluso che «alcuni (di questi centri decisionali, ndr) non si trovano a Kiev». In altri termini, nella guerra parallela dell’informazione e dei comunicati stampa, la minaccia velata è ormai una costante.

A PROPOSITO DI COMUNICATI, il Cremlino ha fatto sapere lunedì che il presidente russo Vladimir Putin ha parlato al telefono con il suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan e ha discusso «tra le altre cose» dell’Ucraina. Stando al resoconto «l’accento è stato posto sulla questione della sicurezza della navigazione nel Mar Nero e nel Mar d’Azov» che passa attraverso lo sminamento delle acque. Non è casuale in quanto negli ultimi giorni la comunicazione di Mosca ha insistito molto sulla riapertura dei porti, sia quello di Mariupol che quello di Odessa. Nel primo caso si tratta dell’ennesima mossa per rendere palese che l’occupazione non si esaurirà con la fine del conflitto, ma che l’amministrazione filo-russa intende ristabilire (per quanto sembri strano usare tale termine parlando della città più martoriata di questa guerra) la normalità. E la ripresa dei commerci sembra andare proprio in questa direzione. Nel secondo caso, è evidente la mossa strategica, definita «ricatto» dagli ucraini, che punta ad alleggerire le sanzioni occidentali in cambio dello sblocco delle esportazioni del grano.

DI GRANO HANNO PARLATO a Vilnius i legislatori dei Paesi della Nato. Allo stesso incontro al quale doveva partecipare anche l’ex-presidente ucraino Poroshenko, che al terzo tentativo è riuscito finalmente a passare la frontiera ucraina e a recarsi in Lituania, la rappresentante spagnola Zaida Cantera ha dichiarato che «l’Africa e il Medio Oriente importano circa il 50% di questi prodotti» e che, in base ai dati delle Nazioni Unite, «l’Africa rischia la carestia». A conclusione del suo intervento Cantera ha aggiunto che tale situazione «potrebbe portare ad un aumento dei flussi migratori verso le zone meridionali dell’Europa».

L’assemblea si è conclusa con una risoluzione congiunta che chiede sanzioni più severe contro la Russia e una maggiore fornitura di armi all’Ucraina. Ruslan Stefanchuk, presidente del parlamento ucraino, ha ribadito nel corso dell’incontro che il suo Paese non accetterà alcun accordo «terra in cambio di pace».
Tornando a Putin, il presidente russo avrebbe «preso atto della disponibilità della parte russa a facilitare il transito marittimo senza ostacoli delle merci in coordinamento con i partner turchi» e, aspetto molto significativo, «ciò vale anche per l’esportazione di grano dai porti ucraini». Ancora una volta, il Cremlino ha “confermato”, ieri alle orecchie di Erdogan, che la Russia sarebbe in grado di esportare «quantità significative di fertilizzanti e prodotti agricoli» se le sanzioni venissero revocate. Secondo Mosca la crisi alimentare è aggravata (se non determinata) dall’incapacità di Kiev di esportare grano mentre è sotto attacco. Il che equivale in un certo senso a biasimare qualcuno perché non riesce a correre con le gambe rotte.

PER CITARE SOLO UN DATO, secondo le Nazioni Unite, le famiglie di tutta l’Africa stanno già pagando circa il 45% in più per la farina di grano a causa della guerra iniziata dalla Russia. Alcuni Paesi, come la Somalia, prima del 23 febbraio ricevevano più del 90% del loro fabbisogno nazionale di grano da Russia e Ucraina. Non c’è affatto bisogno di segnalare le conseguenze di questa situazione ma vale la pena citare le parole del direttore generale del Programma Alimentare Mondiale, David Beasley, secondo il quale la guerra della Russia contro l’Ucraina sta «accumulando catastrofe su catastrofe» per i poveri del mondo.

Mentre l’unità europea sulle sanzioni vacilla, la Nato sembra più che mai rinvigorita. Ieri, in un discorso per i 40 anni dall’ingresso della Spagna nell’Alleanza atlantica, il segretario generale Jens Stoltenberg ha dichiarato che il vertice del mese prossimo a Madrid sarà un’opportunità «storica» in quanto «tracceremo la strada da seguire per il prossimo decennio». Chissà perché, nonostante i sorrisi e gli applausi al discorso di Stoltenberg, questa strada sembra già discendere verso un baratro di sofferenza e insicurezza.