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Milad Basir: "Per fare la pace serve cultura, volontà e grinta"

Nei mesi scorsi sulla stampa americana è uscita una notizia che spiegava come si fa, in Medio Oriente, a trasformare cinque Stati in quattordici.
Non si sa se sia una fuga di notizie oppure una fantasia di carattere comunicativo. Mi è venuto in mente il famoso e drammatico accordo Sykes-Picot del 1916 che ha diviso tra Gran Bretagna e Francia tutto il Medio Oriente che abbiamo conosciuto fino ora, durando per oltre 109 anni.

Un ipotetico secondo accordo o suddivisione, qualsiasi altro nome avesse, non potrebbe avere alcun successo, né potrebbe durare nel tempo. Oggi la coscienza collettiva, l’autoconsapevolezza dei popoli della regione è più forte che mai. Semmai potrebbe battezzare una
nuova stagione di risveglio di tante etnie, gruppi linguistici, gruppi e fedi religiose presenti nella regione (curdi, armeni, alawiti, ismaeliti, cristiani, berberi, amazighi, drusi, turkmeni, siriani, yazidi, assiri, copti, maroniti, caldei, sunniti e sciiti).

Un secondo accordo di questo tipo prevederebbe la divisione del territorio, ridisegnando una nuova cartina del Medio Oriente nel modo seguente: la Siria sarebbe divisa in tre Stati su base etnico-religiosa: Alawistan, drusi, alawiti dal nord al sud della Siria; Kurdistan siriano
congiunto al nord dell’Iraq per fare uno stato curdo; Sunnitistan, che potrebbe congiungersi con i sunniti iracheni per formare un nuovo
Stato sunnita. L’Iraq a sua volta sarebbe diviso in tre stati: oltre il Kurdistan siriano e il Sunnistan, il terzo sarebbe lo Sciitistan per gli sciiti a sud dell’Iraq verso il confine con l’Iran.

L’Arabia Saudita sarebbe frammentata e lacerata al suo interno dal futuro rapporto conflittuale a livello generazionale tra i principi del Regno, che porterebbe alla divisione addirittura in quattro Stati: a nord-ovest la Mecca; a sud al confine con lo Yemen; nel centro il Wahbistan, il più grande, con capitale Al Riad Whabiti; Al Damam a maggioranza sciita.
La Libia tornerebbe ai tempi dei romani, divisa in due Stati: Tripolitana e Cirenaica lungo il confine con Niger e Ciad. Lo Yemen tornerebbe come era prima dell’unificazione del 1990, diviso in due Stati: lo Yemen del nord con capitale Sanaa, e lo Yemen del sud con la capitale
Aden.

Personalmente aggiungerei che non sarebbe possibile dividere il Medio Oriente che conosciamo lasciando inalterati due Stati di fondamentale importanza. Mi riferisco all’Egitto e alla Giordania. Nel primo, con una composizione sociale di carattere religioso, secondo dichiarazioni
del 2023 del Patriarca di Alessandria, i copti sono 15 milioni, rappresentano circa il 14% della popolazione, e non si potrebbe escludere un’eventuale rivendicazione di un loro Stato indipendente come tutti gli altri.

La Giordania ha circa dieci milioni di abitanti, quasi la metà di origine palestinese. I dirigenti sionisti hanno sempre pensato che potrebbe essere la patria alternativa per il popolo palestinese. Un’idea folle sotto tutti i punti di vista.
Si possono aggiungere a tutti questi gruppi etnico-religiosi altre formazioni di carattere tribale - in tutto il mondo arabo la Tribù (il legame di sangue) gioca un ruolo fondamentale all’interno della società - che potrebbero richiedere una rappresentanza politico-istituzionale.

Uno scenario di questa natura destabilizzerebbe tutta la regione generando diversi conflitti interni ed esterni che metterebbero a rischio non solo i collegamenti marittimi (vedi gli Houthi oggi), ma anche le tante risorse naturali presenti. Porterebbe tutta la regione in un percorso di conflittualità interne ai singoli Stati ed esterne contro gli Stati limitrofi.
In un quadro di questo genere, quale sarebbe il destino della questione palestinese?
Una nuova carta geopolitica della regione con queste caratteristiche favorirebbe sicuramente il consolidamento di movimenti estremisti di matrice religiosa.
Il primo ministro israeliano da tempo dichiara in ogni occasione che sta modificando la cartina geografica del Medio Oriente, e agisce
di conseguenza.
Nel 1916 furono il governo del Regno Unito e la Francia a siglare quell’accordo segreto, ma oggi i complici di un eventuale accordo di questa natura, assieme ad Israele, chi sarebbero? Gli Usa, i governi europei e Occidentali intendono spingersi a tanto?

In una tale temperie, vorrei ricordare e ringraziare Papa Francesco per tutto quello che ha fatto per la pace e la fratellanza tra i popoli, e soprattutto per il suo sostegno al diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, indipendenza e libertà, anche con la sue denuncia
che la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale dovessero indagare sulla possibilità che fosse in corso un genocidio.

Il presidente palestinese Abu Mazen l’ha definito “amico fedele del popolo palestinese”, e ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.
Il mio auspicio è che dal conclave venga eletto un Papa che continui sulla stessa strada di Francesco, perché l’intera umanità ne ha veramente bisogno in questo momento storico.