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Nelle carceri ungheresi c’è il fondato rischio di trattamenti inumani e degradanti. Lo ha detto la Corte d’appello di Milano, negando la consegna di un antifascista italiano. Ma Ilaria Salis è ancora in quelle celle, in attesa che il governo Meloni muova un passo con l’amico Orbán

IL CASO. «Legittime le preoccupazioni su tortura e trattamenti inumani». Sospesa l’estradizione. Si apre uno spiraglio anche per Ilaria Salis

Le prigioni ungheresi spaventano i giudici. Marchesi resta a casa

Le preoccupazioni per «possibili violazioni dei diritti fondamentali» nelle carceri ungheresi sono «legittime». Così si è espressa la corte d’Appello di Milano nel sospendere la consegna a Budapest di Gabriele Marchesi, 23 anni, accusato di aver preso parte all’aggressione di due neonazisti nella notte del 10 febbraio del 2023. Il giovane, sul quale pende un mandato d’arresto europeo spiccato dalla procura di Budapest, rimarrà ai domiciliari al massimo fino al 18 maggio, mentre la decisione sul suo trasferimento potrebbe già arrivare alla prossima udienza, fissata al 28 marzo. I giudici di Milano hanno chiesto al ministero della Giustizia italiano e all’Eurojust di attivarsi per domandare all’Ungheria se è disposta a riconoscere l’efficacia della direttiva quadro 829 del 2009 sul reciproco riconoscimento delle misure cautelari tra paesi comunitari. Nello specifico, a quanto si è appreso dalla lettura dell’ordinanza, si vuole sapere se «esiste il rischio di una disparità di trattamento» tra un cittadino ungherese e un cittadino italiano, visto che, a parità di accuse, il primo potrebbe accedere a misure alternative alla detenzione in carcere e il secondo no. La risposta di Budapest dovrà arrivare entro il

15 marzo.

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È LA STESSA IDENTICA linea che gli avvocati di Marchesi, Eugenio Losco e Mauro Straini, tengono anche per un’altra loro assistita: Ilaria Salis, detenuta a Budapest da un anno e anche lei accusata dell’aggressione insieme da altri di tre neonazisti in due circostanze distinte. «La Corte ha chiesto all’Ungheria di valutare in base al principio di proporzionalità se è possibile applicare una misura diversa, anche non detentiva, che permetta al signor Marchesi di partecipare al processo», spiega Straini. Su Salis, prosegue il legale, «qualche parallelismo è venuto fuori, visto che questa misura è la stessa che le permetterebbe anche in questo momento ottenere gli arresti domiciliari in Italia». Da qui rinasce qualche dubbio anche sull’idea, annunciata lunedì sera dal padre, Roberto Salis, di chiedere per la donna gli arresti domiciliari in Ungheria. La questione, in ogni caso, verrà affrontata confrontandosi con i suoi avvocati ungheresi. Per quello che riguarda Marchesi, i giudici milanesi della quinta sezione penale d’appello intanto hanno preso tempo, fatto di per sé rilevante: i mandati d’arresto europeo sono procedure sostanzialmente burocratiche e che da tre mesi se ne stia discutendo testimonia la particolarità del caso. Losco e Straini, durante l’udienza di ieri, hanno presentato tre memorie nelle quali si evidenziano tutte le criticità del sistema penitenziario ungherese: oltre alle lettere di Ilaria Salis dal carcere, sono stati consegnati anche diversi rapporti – stilati sia da orgnani Ue sia da ong – che descrivono un quadro a dir poco preoccupante. Come se già non fossero bastate le immagini di Salis che entra in tribunale incatenata: «Una condizione comune a tutti gli imputati di quel paese», hanno sottolineato gli avvocati.

LA PROCURA GENERALE, rappresentata per l’occasione dal sostituto Giulio Benedetti, ha fatto presente che l’Ungheria ha risposto in maniera «totalmente insufficiente» alle domande poste due mesi fa dalla Corte sulle sue carceri e per questo ha confermato il suo parere contrario alla consegna di Marchesi. Le preoccupazioni riguardano soprattutto la salute dei detenuti e i servizi igienici dei penitenziari, oltre al fatto che non è stato detto dove verrebbe tenuto l’imputato, dettaglio che è necessario indicare nei mandati europei e che però la procura di Budapest ha dimenticato. Benedetti aveva chiesto anche la scarcerazione di Marchesi, che però non è stata concessa. La Corte comunque ha preso atto del fatto che debba essere l’Italia a «garantire che la persona destinataria di un mandato di arresto europeo non sarà soggetto né a tortura, né a trattamenti inumani, né a trattamenti degradanti». Garanzie che sin qui l’Ungheria non ha fornito. I fatti contestati al giovane, come del resto quelli di cui è accusata Ilaria Salis, poi, appaiono di una dimensione decisamente diversa rispetto alle pene prospettate dalla giustizia Ungherese. Per Marchesi si va da un minimo non specificato a un massimo di 16 anni, mentre a Salis è stato proposto di patteggiare a 11 anni, ma lei si è dichiarata innocente e adesso rischia di prenderne fino a 24. «È quasi il triplo della pena massima che le potrebbe essere applicata per gli stessi fatti in base alla legge italiana», sottolineano Losco e Straini.

FUORI DAL TRIBUNALE di Milano, decine di antifascisti si sono riuniti in presidio per tutta la durata dell’udienza, una prsenza costante e che già si era registrata alle altre udienze in cui era coinvolto Marchesi. Oggi pomeriggio, alle 18, a Roma, in via San Nicola de’ Cesarini, su largo di Torre Argentina, il comitato «Liberiamo Ilaria Salis» ha organizzato una fiaccolata per chiedere il suo ritorno in Italia. All’iniziativa hanno aderito decine di sigle tra partiti, sindacati e associazioni