Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Secondo i risultati dell'Osservatorio Futura sono crisi economica e inflazione a spaventare gli italiani. Ai sindacati si chiede di difendere il lavoro

 Foto:  emme ci pi da Flick

Il 2022, per usare un eufemismo, non è stato un granché. E dal 2023 non ci si aspetta che vada tanto diversamente. Questi, in estrema sintesi, i risultati del sondaggio realizzato dall’Osservatorio Futura per conto della Cgil.  Gli italiani, dunque, esprimono giudizi assai negativi sull’anno appena terminato: sia dal punto di vista economico che politico e sociale oltre il 70% dà un voto inferiore o uguale al 6. Solo il 5% dà un voto pienamente sufficiente. 

Con queste premesse – e vista la continuità con situazioni drammatiche come la guerra in Ucraina e la pandemia non ancora risolta – le aspettative per il 2023 degli italiani si dimostrano particolarmente negative: oltre il 70% del campione esprime voti inferiori al 6. I più positivi sono in generale i giovani e i residenti al Centro.

 

 

Le preoccupazioni

Ma quali sono le preoccupazioni che caratterizzano maggiormente il sentimento negativo degli italiani per l’anno che verrà? Al primo posto stanno di gran lunga la crisi economica e l’inflazione. Per il 35% del campione l’inflazione imporrà di rinunciare a qualche spesa e per il 19% impatterà in modo rilevante sulle spese non essenziali. Per un altro 19% l’inflazione impatterà in maniera preoccupante anche sulla possibilità di sostenere le spese essenziali.

 

Preoccupa anche, e molto, il conflitto in Ucraina e le sue conseguenze: l’aumento dei prezzi dei prodotti essenziali (6 italiani su 10), il possibile uso di armi nucleari e l’estensione del conflitto. Va invece meglio con la pandemia, la metà degli italiani è ottimista nei confronti della pandemia: il 49% pensa infatti che potrebbe esserci un ritorno del Covid, ma che l’esperienza fatta nel biennio passato possa aiutare a superare l’eventuale riaccendersi dell’emergenza. Equamente distribuiti coloro che sostengono che la pandemia è sostanzialmente finita e coloro che invece la ritengono ancora un’emergenza assoluta. 

 

 

Qual è, infine, il ruolo che i sindacati possono giocare in questo contesto di ansia e preoccupazione? Alle organizzazioni dei lavoratori i sindacati chiedono soprattutto di occuparsi della crisi economica e del mercato del lavoro. “Decisamente più contenuta l’attesa di occuparsi di temi come l’emergenza sanitaria, l’emergenza climatica o il conflitto in Ucraina”, conclude l’indagine.

SCARICA IL RAPPORTO COMPLETO

La fondazione Terra Santa lancia una petizione dopo l'ennesimo appello del vescovo di Roma per la fine della guerra.

Sosteniamo papa Francesco per la pace in Ucraina e su tutta la Terra Sosteniamo papa Francesco per la pace in Ucraina e su tutta la Terra - www.fondazioneterrasanta.it

La Fondazione Terra Santa lancia la petizione "Io sto con papa Francesco per la pace in Ucraina e in ogni altra parte della Terra". A partire da oggi sulla piattaforma www.change.org è possibile aderire, firmando sulla piattaforma www.change.org.

Facendo seguito all’appello lanciato da Papa Francesco nel suo recentissimo libro Un’Enciclica sulla pace in Ucraina, nel quale invita tutte le donne e gli uomini di buona volontà ad agire ad ogni livello per la cessazione del conflitto tra Russia e Ucraina e per favorire una pace giusta e duratura, Fondazione Terra Santa vuole farsi eco dell’appello del Santo Padre, lanciando, nell’imminenza del primo anniversario dell’inizio della guerra (24 febbraio), una petizione per mobilitare l’opinione pubblica a sostegno del dialogo tra le parti in conflitto e per la pace.

«La guerra in Ucraina – scrive il Papa nel suo testo Un’Enciclica sulla pace in Ucraina – ha interrogato ciascuno di noi. Dopo gli anni drammatici della pandemia, quando, non senza grandi difficoltà e molte tragedie, stavamo finalmente uscendo dalla sua fase più acuta, perché è arrivato l’orrore di questo conflitto insensato e blasfemo, come lo è ogni guerra? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra giusta? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra santa? Noi, uomini di Dio che annunciamo il Vangelo del Risorto, abbiamo il dovere di gridare questa verità di fede. Dio è un Dio della pace, dell’amore e della speranza. Un Dio che ci vuole fratelli tutti, come ci ha insegnato il Suo Figlio Gesù Cristo. Gli orrori della guerra, di ogni guerra, offendono il nome santissimo di Dio. E lo offendono ancora di più se il suo nome viene abusato per giustificare tale indicibile scempio».

E ancora: «A quante altre tragedie dovremo assistere prima che tutti coloro che sono coinvolti in ogni guerra comprendano che questa è unicamente una strada di morte che illude soltanto alcuni di essere i vincitori? Perché sia chiaro: con la guerra siamo tutti sconfitti!».

Il grido di Papa Francesco deve risuonare forte nel mondo, perché si giunga velocemente ad una risoluzione pacifica di questo conflitto che troppa sofferenza, morte e distruzione ha già provocato. «Non dobbiamo, per nessuna ragione al mondo, assuefarci davanti a tutto ciò, quasi dando per scontata questa terza guerra mondiale a pezzi che è drammaticamente diventata, sotto i nostri occhi, una terza guerra mondiale totale. Preghiamo per la pace! Lavoriamo per la pace!».

PER FIRMARE ANCHE TU CLICCA QUI

LA CAMPAGNA. Dopo anni di austerità e vincoli di bilancio per gli enti locali da sabato comincia la raccolta firme per invertire la rotta

Parte la campagna "Riprendiamoci il Comune" nell'imperieseL'Autonomia differenziata minaccia l'Unità dell'Italia ...  https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/

 

«Altro che autonomia differenziata: riprendiamoci il Comune!»: da sabato prossimo prende il via la raccolta firme per due leggi di iniziativa popolare che hanno l’obiettivo di restituire sovranità ai comuni, strozzati dalle regole dell’austerità degli ultimi anni e impossibilitati ad avere spazi di bilancio.

Lo strumento da superare si chiama Patto di stabilità e crescita che nel decennio 2000-2010 ha causato la perdita di oltre 50 mila occupati nel solo settore degli enti locali, personale di cui si sente la mancanza ora che gli enti locali dovrebbero gestire la cosiddetta «messa a terra» del Pnrr.

Per chiedere al parlamento di invertire la rotta servono almeno 50 mila firme. In teoria dovrebbero valere anche quelle digitali, ma il portale istituzionale che dovrebbe consentire la validazione non è ancora attivo. Dunque, dal 4 febbraio compariranno i tradizionali banchetti. Alla campagna ha aderito un vasto cartello di associazioni, dall’Arci alle Acli passando per il Forum per l’acqua pubblica, Attac, la Funzione pubblica Cgil, Fridays For Future, Unione Inquilini.

La prima legge, spiegano i promotori, punta a «cambiare radicalmente le regole di austerità che da trent’anni governano la gestione economica e finanziaria dei comuni e delle province: un quadro normativo che ha finito per strozzare gli enti locali». Nonostante il debito dei comuni corrisponda soltanto all’1,5% di quello complessivo, alle amministrazioni in questi anni sono stati posti vincoli di bilancio rigidissimi. Il contributo richiesto ai comuni, tra tagli ai trasferimenti e pareggio di bilancio finanziario, è passato da 1,65 miliardi di euro del 2009 ai 16,66 miliardi del 2015. Si propone dunque di affiancare all’obiettivo dell’equilibrio finanziario su base triennale anche il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere. E poi cancellare i vincoli per la spese di personale e disporre della facoltà di riportare agli enti locali la gestione dei servizi pubblici.

Ciò consentirebbe, ad esempio, di salvaguardare il territorio, visto che al momento l’unica possibilità di trovare i fondi per fare investimenti per le amministrazioni comunali risiede nel mettere a bilancio gli oneri di costruzione. Il che ha spinto gli amministratori ad allentare la pianificazione urbanistica e rinunciare alle politiche di regolazione. Soltanto nel 2021 le nuove coperture artificiali hanno interessato 69,1 chilometri quadrati, cioè 19 ettari in media al giorno. «Il valore più alto degli ultimi dieci anni», dicono le associazioni per sottolineare il nesso tra vincoli di bilancio e devastazione ambientale.

La seconda proposta di legge del cartello «Riprendiamoci il Comune» serve a riportare Cassa depositi e prestiti «al servizio delle comunità locali e non invece dei grandi interessi della rendita, della finanza e delle privatizzazioni» come accade da quando, venti anni fa, venne trasformata in una società per azioni che agisce e si muove come un istituto di diritto privato. L’istituto, tuttavia, era stato creato per raccogliere e tutelare il risparmio dei cittadini e utilizzare questa riserva per finanziare gli investimenti degli enti locali a tassi agevolati. Nel 2022 si tratta di 280,5 miliardi di euro versati da più di 20 milioni di risparmiatori. I dati forniti dal comitato promotore parlano chiaro: mediamente il 10% delle spese correnti di un comune serve a pagare gli interessi sul debito, questa cifra sale al 12% per 1403 piccoli comuni e supera addirittura il 18% per altri 727

Per il segretario generale della Cgil tutti i tavoli con l'esecutivo non portano a nulla perché non c'è la volontà di ascoltare le parti sociali

Intervista a Maurizio Landini su 'il Fatto Quotidiano' - "Cosa han fatto di  male i poveri a Meloni? Ora con Bonomi si dialoga" - Cgil

GUARDA IL VIDEO

"Questo governo anziché ridurre le fratture del Paese le sta aumentando. L'autonomia differenziata accresce le diseguaglianze tra Nord e Sud. Non fare una seria riforma fiscale significa che i lavoratori dipendenti e i pensionati pagano le tasse anche per il resto del Paese. Non ridurre la precarietà vuol dire contrapporre i lavoratori e non dare un futuro ai giovani. Tutto questo il governo lo sta facendo senza confrontarsi con i sindacati: siamo in presenza di molti tavoli di confronto, ma nessuna trattativa vera". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, parlando dal congresso del sindacato regionale in Sardegna.

I sindacati sollecitano modifiche alle nuove norme riguardanti la soglia minima di retribuzione dei lavoratori autonomi. E chiedono una riforma complessiva

 

Le nuove norme sull'equo compenso sono state approvate dalla Camera senza modifiche e attendono l'ok definitivo del Senato, ma i sindacati non si arrendono nel chiedere modifiche e incontri con il governo per cambiare una legge che non convince.

Il provvedimento parla di un compenso economico adeguato che viene erogato al professionista in modo proporzionato alle prestazioni e al lavoro svolto per i committenti come la Pubblica amministrazione, le banche e le assicurazioni e viene stabilita la soglia minima al di sotto della quale non si può andare. Il testo è il medesimo messo a punto nella precedente legislatura.

I punti critici

Per Federica Cochi, presidente di Apiqua (Associazione quadri professionisti e alte professionalità legata alla Cgil), "i problemi sono tre. Il primo è quello della platea dei beneficiari della legge: è ancora troppo ristretta, perché fa riferimento a chi lavora per i grandi committenti e anche le soglie non vanno bene. In questo modo infatti si allarga il divario tra professioni ordinistiche e non, con meno diritti per i lavoratori professionisti autonomi non iscritti agli ordini".

Il secondo problema riguarda le sanzioni, che colpiscono particolarmente i professionisti: "Loro - prosegue Cochi - sono la parte più debole nel confronto con i committenti interessai dalla legge. Se non accettano il compenso sotto soglia non sono agevolati alla denuncia perché vengono essi stessi sanzionati".   

Dello stesso parere anche Silvia Simoncini, della segreteria del Nidil Cgil, per la quale “siamo di fronte a un paradosso, perché la contrattazione uno a uno rende già debole di per sé il lavoratore, molto più di quanto si immagini”. 

"Infine - il terzo punto critico per Apiqua - non è previsto che siedano allo stesso tavolo tutti gli organismi di rappresentanza dei lavoratori, quindi degli autonomi. Si riduce così la portata di partecipazione, come la nostra con Cgil, Cisl e Uil".

La richiesta al governo

Per Cochi la legge è quindi completamente da rifare, come proponeva Apiqua chiedendo al governo di ascoltare le richieste dei professionisti autonomi non ordinistici e di tutte le organizzazioni: "Ma noi opporremo tutti nostri sforzi e nelle future convocazioni continueremo a battere anche su questo tasto, anche perché al di là della forma di contratto il tema è la tutela dei diritti della persona”.

L'arma dello sciopero è difficilmente applicabile a fronte della frammentazione delle singole situazioni, quindi gli strumenti per opporsi alla norma dell'equo compenso come elaborata nel testo all'esame del Senato consistono nel fare rete, nel fare fronte comune per mostrare una forza collettiva, puntando sui molti punti in comune tra le diverse organizzazioni e associazioni sindacali.  

"Fare fronte comune - conferma Simoncini - è difficile ma non impossibile, perché in potenza c’è lo spazio per mettere in campo azioni di tutela e autotutela, Tutto passa per la messa in rete di esigenze e rivendicazioni, delle quali tutti abbiamo deciso di farci carico, anche per il raggiunto grado di consapevolezza. In questo il grande trampolino di lancio è costituito dalla Carta dei diritti universali (la proposta di leggedi iniziativa popolare per la riscrittura del diritto del lavoro depositata alla Camera nel 2016, ndr), che sposta l'oggetto dalla forma contrattuale al lavoratore".

Serve una riforma

Il Nidil sottolinea allora la necessità di una riforma del mercato del lavoro che sia complessiva, "per evitare i provvedimenti spot che danno una risposta, spesso non esaustiva, al singolo, escludendo altri soggetti e una visione globale".  

Anche l'Istat ha certificato che nel mercato del lavoro gli autonomi sono in continua crescita e, tra questi, sono sempre più coloro che hanno la consapevolezza delle tutele alle quali hanno diritto. "Abbiamo fatto un'inchiesta nazionale sui professionisti autonomi - ci racconta Cochi -, che pubblicheremo a breve e nella quale abbiamo chiesto della loro situazione durante la pandemia e dopo, quali sono le esigenze e cosa vogliono da noi. Ebbene, ci chiedono risposte collettive in termini di tutele sociali (malattia, maternità, infortuni) e di spingere su di un equo compenso che sia davvero tale. A questo dobbiamo perciò rispondere".

Ci sono infine altre due questioni. Quella dei giovani è toccata dalle parole di Federica Cochi: "Abbiamo sempre più risposte anche dalle lavoratrici e dai lavoratori tra i 30 e i 40 anni ed emerge l'esigenza di tutela, ma non di trasformazione in contratti da dipendenti, perché vogliono rimanere autonomi e questo ci rende consapevoli dell'esperienza e della trasformazione di vita e di cultura degli ultimi decenni."

L'altra la sottolinea Silvia Simoncini: "Sui lavoratori autonomi cade un pezzo di rischio d'impresa che deve essere pagato, lo stesso discorso he vale per la flessibilità. Ed è anche per questo che, quando si apre uno spiraglio di trattativa, dobbiamo cercare di contare di più"

Rapporto Legambiente: nel 2022 ben 72 città superavano i limiti di inquinamento dell’Oms, serve una svolta. Le proposte: limite a 30 km/h, piano di riqualificazione energetica per le case, piste ciclabili

 Traffico e smog a Milano - Foto LaPresse

Ben 72 su 95 capoluoghi di provincia italiani censiti superano i livelli di inquinamento fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Allo stesso tempo, 29 città sono fuorilegge rispetto alla molto più lasca normativa italiana sulle polveri sottili. L’inquinamento atmosferico continua a essere molto forte, specie lungo la pianura Padana, producendo costi sociali e sanitari fortissimi.
IL QUADRO È MOSTRATO dai dati del rapporto annuale di Legambiente «Mal’Aria di città 2023: cambio di passo cercasi» che partono con una clamorosa constatazione che rende bene l’idea di quanto il nostro paese sia ambientalmente arretrato: «Non è stato possibile recuperare e analizzare i dati per le regioni Abruzzo, Basilicata e Campania».
A guidare la classifica delle città più inquinate superando il limite dei 35 giorni di sforamento previsti per le famigerate Pm10 è Torino (centralina Grassi) con 98 sforamenti, seguita da Milano (Senato) con 84, Asti (Baussano) 79, Modena (Giardini) 75, Padova (Arcella)e Venezia (Tagliamento) con 70, limitandosi solo a quelle che hanno doppiato il numero di sforamenti tollerati dalla norma.

Anche per le Pm2.5 – il cosiddetto «particolato fine» caratterizzato da lunghi tempi di permanenza in atmosfera e in grado di penetrare più in profondità nell’albero respiratorio umano – la situazione di criticità è analoga. Delle 85 città di cui si aveva a disposizione il dato, ben 71 (l’84% del campione) nel 2022 hanno registrato valori superiori a quelli previsti al 2030 dalla prossima direttiva europea. Monza (25 nanogrammi per metro cubo), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23), Alessandria, Bergamo, Piacenza e Torino (22), Como (21) sono le città che di fatto ad oggi doppiano quello che sarà il nuovo valore di legge (10 nano grammi per metro cubo).

Situazione molto negativa anche per quanto riguarda il biossido di azoto (NO2) – inquinante molto pericoloso prodotto dal traffico veicolare e dagli impianti di riscaldamento – : sono 57 su 94 (il 61%) le città che, pur non superando il limite attuale, nel 2030 saranno fuorilegge (20 nanogrammi per metro cubo), con le situazioni più critiche registrate a Milano (38 nanogrammi per metro cubo), Torino (37), Palermo e Como (35), Catania (34).

I DATI PORTANO LEGAMBIENTE a denunciare come «le città italiane sono lontane dagli obiettivi da raggiungere nel giro dei prossimi sette anni»: per il Pm10 le città più lontane dall’obiettivo sono Torino e Milano (43%), Cremona (42%), Andria (41%) e Alessandria (40%). Per il Pm2.5 sono lontanissime Monza (60%), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (57%), Bergamo, Piacenza, Alessandria e Torino (55%), Como (52%), Brescia, Asti e Mantova (50%) che dovranno più che dimezzare le concentrazioni attuali. Per il biossido di azoto le città più indietro sono ancora Milano (47%) e Torino (46%), seguite da Palermo (44%), Como (43%), Catania (41%), Roma (39%), Monza, Genova Trento e Bolzano (34%) che dovranno ridurre di oltre un terzo le attuali concentrazioni. Stando «alle tendenze di riduzione registrate negli ultimi 10 anni, potrebbero impiegare mediamente altri 17 anni per raggiungerlo. Il 2040 anziché il 2030. E Città come Modena, Treviso e Vercelli potrebbero metterci oltre 30 anni!», denuncia Legambiente. Anche per «il biossido di azoto la situazione è analoga e una città come Catania impiegherebbe più di 40 anni a risanare l’aria».

PER «CAMBIARE PASSO» Legambiente lancia sei proposte. Si parte con il passaggio dalle attuali Ztl (zone a traffico limitato) alle Zez (zone a zero emissioni). La seconda riguarda i Lez (low emission zone, zone a bassa emissione) anche per il riscaldamento: «serve un grande piano di riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica e privata, incentivare una drastica riconversione delle abitazioni grazie a misure strutturali, come il Superbonus, opportunamente corretto dagli errori del passato come gli incentivi alla sostituzione delle caldaie a gas». La terza guarda al «potenziamento del Trasporto pubblico e Trasporto rapido di massa (Trm) quadruplicando l’offerta di linea e la promozione di abbonamenti integrati. E ancora: sharing mobility (incentivare la mobilità elettrica condivisa e realizzare ulteriori 16mila km di percorsi ciclabili invece azzerati dall’ultima legge di bilancio); ridisegnare lo spazio pubblico urbano a misura d’uomo, «città dei 15 minuti», sicurezza stradale verso la «Vision Zero», «città 30» all’ora seguendo l’esempio di Cesena, Torino, Bologna e Milano; tutto elettrico in città, anche prima del 2035, grazie alla progressiva estensione delle Zez, alla triplicazione dell’immatricolazione di autobus elettrici e l’istituzione dei distretti Zed (Zero Emissions Distribution) lasciando entrare solo veicoli merci elettrici.

Un piano che, considerando la sensibilità ambientale della maggioranza di destra, appare una sfida politica totale che va supportata con la mobilitazione di tutti