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LA PACE IN PIAZZA. Preparando la mobilitazione per i giorni 21, 22, 23 ottobre in tutte le città italiane «verso una Conferenza internazionale di pace».

Il «No» alla guerra bisogna manifestarlo 

Missili puntati sui civili di Kiev, un crimine di guerra. Bisogna fermare la follia assassina del Cremlino che punta sulle città. Ma come? Lanciando altri missili assassini? Vendetta su vendetta, odio su odio, occhio per occhio ci renderà tutti ciechi. È il momento della condanna unanime del criminale ma bisogna farlo senza diventare come lui. La guerra atomica la perdono tutti, chi spara prima o dopo.

La guerra stessa è un crimine contro l’umanità. Eravamo a Kiev la settimana scorsa, con la Carovana “Stop the war now” nella zona universitaria colpita oggi. La gente che abbiamo incontrato ora è nei rifugi della metropolitana, interi quartieri senza luce e senza acqua. È terribile. Noi, che ora siamo qui “al sicuro”, abbiamo ancora più responsabilità: perseguire la via del cessate il fuoco, diplomazia, Conferenza internazionale di pace. Dunque, che possiamo fare?

Se facciamo la manifestazione per la pace, ci dicono che non serve a niente. Se non la facciamo, ci chiedono: Perché non scendete in piazza?». Insomma i pacifisti sarebbero colpevoli di non aver fatto niente, o di aver fatto troppo.  Vale quindi la pena ripercorrere quello che finora abbiamo fatto in questi mesi.

Prima però bisogna fare un passo indietro, quando denunciavamo che l’Italia vendeva armi alla Russia anche dopo l’annessione della Crimea, nonostante l’embargo: veicoli blindati terrestri Iveco per un valore di 25 milioni sono arrivati al regime di Putin e fino a novembre 2021 l’Italia ha trasferito 22 milioni di euro di armi e munizioni.

Quando l’Assemblea generale dell’Onu nel 2017 ha approvato il Trattato per la messa al bando della armi nucleari, noi abbiamo spinto affinché anche l’Italia votasse e ratificasse quella decisione, ma il governo italiano non ha aderito, allineandosi alla posizione nuclearista della Russia e degli Usa.

Sono solo due antefatti che dimostrano come noi ci siamo mossi prima della guerra odierna, in tempi non sospetti, per contrastare il potere militare anche della Russia, mentre altri facevano affari e permettevano a Mosca di armarsi sempre più.
Pochi giorni dopo l’inizio della guerra di aggressione, abbiamo convocato una manifestazione nazionale a Roma con il titolo «Cessate il fuoco!».

Più di 50 mila persone si sono ritrovate sulle tre parole chiave: Soccorrere – Trattare – Disarmare, che hanno costituito la base di impegno programmatico di un movimento che velocemente si è diffuso in tutte le città. Già ad inizio aprile è partita la prima Carovana di Stop The War Now (iniziativa che raccoglie 175 associazioni) in direzione Leopoli, con l’obiettivo di aprire un corridoio stabile per più missioni che potessero trasportare aiuti e portare in salvo più persone possibile. Nei mesi si sono succedute altre carovane, anche a Odessa e Mykolaiv, e abbiamo portato tonnellate e tonnellate di aiuti, compreso un dissalatore per assicurare acqua potabile alla città assediata, e abbiamo portato in salvo in Italia un migliaio di persone, donne e bambini, in fuga dalla guerra.

Il 18 giugno a Roma abbiamo realizzato un incontro pensato per costruire un’Europa di pace, da cui è nato un appello/proposta rivolta all’Unione Europea, e il coordinamento Europe for Peace, che il 23 luglio ha mobilitato 60 piazze italiane, con il documento «cessate il fuoco e negoziato subito».

Il 21 settembre Europe for Peace ha scritto una lettera al Segretario delle Nazioni Unite Guterres, sostenendo il lavoro «necessario a rafforzare percorsi multilaterali di Pace». Dal 26 settembre al 3 ottobre, abbiamo dato vita ad una nuova Carovana di pace in Ucraina, giunta fino a Kiev, per incontrare e stringere rapporti con la società civile, ed in particolare gruppi giovanili di studenti e obiettori di coscienza e il Movimento pacifista ucraino.

Nel frattempo abbiamo creato relazioni costanti con i pacifisti e gli obiettori di coscienza russi, facendo informazione e sostenendo la richiesta all’Unione Europea e ai governi degli stati aderenti di offrire protezione e asilo agli obiettori di coscienza russi, bielorussi e ucraini. Ora stiamo preparando la mobilitazione per i giorni 21, 22, 23 ottobre in tutte le città italiane «verso una Conferenza internazionale di pace».

Questo percorso sfocerà nella manifestazione unitaria nazionale che raccoglierà tutti i contenuti e le proposte elaborate fino ad oggi, e si rivolgerà a tutte le parti chiamate in causa che possono davvero contribuire a creare percorsi di pace. Sarà una manifestazione popolare, oltre i tradizionali steccati della politica, per tutti coloro che condividono il programma tracciato e l’obiettivo finale: tacciano le armi, spazio al negoziato, conferenza internazionale di pace. Una manifestazione non può fermare le bombe, ma può lanciare un messaggio di dialogo e solidarietà con le voci che in Russia e in Ucraina chiedono una pace giusta.

* Presidente del Movimento Nonviolento; Esecutivo di Rete italiana Pace e Disarmo

 

GUERRA UCRAÌNA. Ritornare in piazza, sulle strade è importante. Ecco perché saremo oggi con la Cgil a Roma e lo saremo poi dal 21 al 23 ottobre in tutta Italia.
È il momento di scegliere la pace
 

Dal 21 al 23 ottobre la rete Europe for Peace (di cui fanno parte Sbilanciamoci, Rete Disarmo, Anpi, Cgil, Emergency e oltre 400 organizzazioni della società civile) promuoverà iniziative in oltre 100 città italiane per chiedere l’immediato cessate il fuoco in Ucraina e l’avvio di negoziati verso una conferenza internazionale di pace.

La guerra si sta aggravando e il rischio nucleare incombe: ecco perché, dalla spinta delle prossime iniziative del 21-23 ottobre la possibilità di una mobilitazione e di un appuntamento nazionale – unitario ed inclusivo – si pone con grande forza e urgenza.

I pericoli che ci stanno di fronte sono incommensurabili: le parole pronunciate prima da diversi leader della Federazione russa sulla possibilità dell’uso dell’arma nucleare e le reazioni del Parlamento europeo (che invita l’Europa a rispondere in caso di attacco nucleare) e ancora di Biden il 6 ottobre scorso sulla possibilità di un’apocalisse nucleare, gettano grande allarme e apprensione. Alla guerra di parole può seguire una deflagrazione devastante. E le atomiche cosiddette «tattiche» di tattico non hanno nulla: la più piccola in circolazione devasterebbe l’intero centro storico di Milano.

Il deleterio rifiuto di Zelensky -stabilito per legge – a qualsiasi negoziato con la Federazione russa è un altro elemento che aggrava la situazione: scegliere la guerra come unica strada possibile, con il nucleare dietro le porte, è un segno di avventurismo e di irresponsabilità inaccettabili. La continuazione della guerra è un alibi per la criminale aggressione di Putin e a pagarne il prezzo sono le popolazioni ucraine, i ragazzi che muoiono in guerra, i pacifisti e i disertori russi che vengono messi in carcere.

Quello che è grave è che una parte della comunità internazionale (gli Stati Uniti, l’Unione europea) avvalla queste scelte di guerra. Invece di premere per il cessate il fuoco e riaprire i negoziati (e puntare da subito ad una conferenza internazionale di pace, come ha scritto ieri sul manifesto Gaetano Azzariti), continua a soffiare sul fuoco, a inviare le armi, a sostenere le scelte di chi rifiuta ogni possibilità di dialogo. Ora, il Segretario di Stato americano Blinken auspica una via diplomatica – contraddicendo apertamente Zelensky – e lo stesso presidente americano Joe Biden parla di off ramp, una via d’uscita a Putin per non fargli perdere la faccia. Staremo a vedere se si tratta di ipocrite parole al vento com’è spesso accaduto o se invece seguiranno atti concreti.

Questa guerra, oltre a prefigurare il rischio nucleare, alimenta un aggravamento economico, sociale e umanitario in ogni parte del mondo: non solo per l’emergenza energetica che colpisce anche noi, ma soprattutto per la difficoltà di rifornimento del grano per i paesi più poveri, che da questi approvvigionamenti dipendono per sfamare le popolazioni. È una guerra combattuta non solo sulla pelle della popolazione ucraina, ma su quella di tutto il mondo, ed in particolare quella più povera.

C’è una parte della comunità internazionale (maggioritaria sia per popolazione che per numero di paesi, ma non dal punto di vista geopolitico: India, Cina, Paesi africani, ecc.) che è contraria a questa escalation e che vorrebbe subito lo stop e i negoziati.

Ecco perché ritornare in piazza, sulle strade è importante. Ecco perché saremo oggi con la Cgil a Roma e lo saremo poi dal 21 al 23 ottobre in tutta Italia. È necessario far sentire di nuovo, con forza la voce della pace in ogni angolo del paese, organizzando manifestazioni, sit-in, presidi davanti alle prefetture, incontri, chiedendo al nostro governo attuale (e a quello futuro) di intraprendere una nuova strada.

Invece di essere subalterno ad una logica di guerra, il governo deve sposare un’altra via, quella della mediazione e del dialogo, deve fare concrete proposte di negoziato, coinvolgere le Nazioni unite. Non possiamo più stare a guardare delegando alla Nato la responsabilità di condurci verso scelte sbagliate che invece di fermare Putin, lo portano a legittimare una escalation incontrollabile.

In questi anni, dopo la guerra civile ucraìna iniziata nel 2014, si poteva prevenire l’aggressione della Federazione russa del 2022, ma nulla è stato fatto: anzi si è perso tempo volutamente, alimentando inutili provocazioni. Si poteva quest’anno, prevenendo l’aggravamento dei mesi a venire, facendo sentire la propria voce nei primi mesi di questa guerra, quando sono partiti i negoziati tra ucraini e russi, ma anche in questo caso la comunità internazionale è stata divisa, latitante e complice della continuazione dei combattimenti. Si potrebbe oggi prevenire l’escalation nucleare, ma continua a prevalere un atteggiamento che mette in campo una sola opzione: il sostegno alla guerra, accompagnata dalla propaganda.

Ma ora, di fronte al rischio nucleare non è il momento della propaganda e delle tifoserie. È il momento della pace e della responsabilità, è il momento dell’azione nel nome della nonviolenza. Come diceva Aldo Capitini: «A ciascuno di fare qualcosa».

* Per ogni contatto e per partecipare (qui le info)

Il 5×1000 all'ANPI

"STOP THE WAR NOW". La Carovana, guidata da Un Ponte Per e Movimento Nonviolento, è giunta a Kiev per incontrare e sostenere il Movimento Pacifista ucraino, una voce minoritaria che rifiuta la logica della guerra.
Leggere Gandhi a Kiev
 

Da Chernitvsi a Kiev ci sono circa 500 chilometri. Ma il treno notturno, con i finestrini coperti da nastro adesivo anti deflagrazione, per motivi di sicurezza la prende alla larga e ne fa più di mille, passando da Leopoli. Un viaggio di 15 ore attraverso tutta l’Ucraina.

La Carovana StopTheWarNow, guidata da Un Ponte Per e Movimento Nonviolento, è giunta a Kiev per incontrare e sostenere il Movimento Pacifista ucraino, una voce minoritaria che rifiuta la logica della guerra. Ci vuole del coraggio per andare controcorrente in un paese aggredito, per non unirsi al coro del nazionalismo esasperato, per dissociarsi dall’uso delle armi. Eppure gli obiettori di coscienza partecipano alla difesa del loro paese, ma lo fanno con la resistenza nonviolenta.

In migliaia sono disponibili a svolgere un servizio civile per la difesa non armata e nonviolenta della patria, ma invece l’attuale legislazione marziale prevede anche per loro la mobilitazione armata e se la rifiutano scattano le denunce e il procedimento penale.

La parola «pace» qui è vista con sospetto: «Sì, faremo la pace dopo la vittoria» dicono gli interlocutori più benevoli; i più ostili pensano che i pacifisti stanno lavorando per i russi. Niente di più falso, ma in tempo di guerra screditare chi non si allinea è d’obbligo «o con me o contro di me».

È la stessa sorte destinata agli obiettori, disertori, renitenti russi accusati di tradimento della patria, tacciati di essere filo occidentali. Ma è realistico pensare alla pace mentre le bombe cadono sui civili e prendono di mira addirittura i convogli umanitari? La nonviolenza non ha mai fermato un missile, è vero. Ma aggiungere altre armi più potenti a quelle che già ci sono, rinforza la follia della guerra, il più grande crimine contro l’umanità.

In questo contesto difficile e delicato gli obiettori di coscienza ucraini si stanno preparando a celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza che l’Onu ha fissato oggi, al 2 ottobre, data di nascita di Gandhi. È la prima volta in tempo di guerra. Abbiamo scelto di ritrovarci insieme, nonviolenti ucraini e italiani, davanti alla statua di Gandhi che si trova nel giardino botanico «oasi della pace», donata dall’ambasciata indiana alla città. Leggere Gandhi a Kiev.

«La Russia ha un dittatore che sogna la pace e crede di riuscire ad ottenerla versando fiumi di sangue. Nessuno può dire quali effetti avrà sul mondo la dittatura russa». Lo diceva il Mahatma nel 1938. Profetico. Lo stesso Gandhi che nel pieno della seconda guerra mondiale lucidamente affermava «la causa della libertà diventa una beffa se il prezzo da pagare per la sua vittoria è la completa distruzione di coloro che devono godere della libertà».

E a proposito di guerra contro il carnefice: «Voi volete eliminare il nazismo, ma non riuscirete mai ad eliminarlo con i suoi stessi metodi» e proponeva alle nazioni occupate di ottenere la vittoria con la resistenza nonviolenta: «L’Europa eviterebbe lo spargimento di fiumi di sangue innocente e l’orgia di odio a cui oggi assistiamo». Ieri contro l’aggressione della Germania di Hitler, oggi contro la Russia di Putin. Dopo più di ottant’anni siamo ancora lì.

Forse peggio, perché si è aggiunta la concreta, possibile, minaccia nucleare. Ma anche su quella Gandhi ci aveva visto lungo e ci ha ammoniti: «Considero l’impiego della bomba atomica per la distruzione totale di uomini, donne e bambini l’uso più diabolico della scienza. Qual è l’antidoto? È diventata obsoleta la nonviolenza? No, al contrario, la nonviolenza è l’unica cosa che ci risolleva; l’unica cosa che la bomba atomica non potrà distruggere. Non mossi un muscolo quando ho sentito che la bomba atomica aveva spazzato via Hiroshima. Al contrario mi sono detto, a meno che ora il mondo adotti la nonviolenza, questo significherà il suicidio dell’umanità».

Abbiamo dunque una responsabilità enorme. Tocca proprio a noi, insieme a chi oggi in Ucraina e in Russia ha già scelto, pagando di persona, la via della resistenza civile per costruire la pace di domani, dimostrare che la nonviolenza è l’unica soluzione possibile. Altrimenti si arriva allo scontro finale.

* Presidente del Movimento Nonviolento Carovana “Stop The War Now”

 
 
 

Il segretario generale della Cgil chiede l'apertura di un confronto con le parti sociali per superare l'emergenza sociale del Paese. E invita tutti alla grande manifestazione di sabato 8 ottobre a Roma

"Noi chiediamo al prossimo governo che con i sindacati e con le parti sociali apra un confronto vero prima di prendere delle decisioni, sia per la legge di bilancio, sia per la battaglia da fare con l'Europa per superare l'austerità e che definisca nuove regole". Così Maurizio Landini a margine dell'assemblea della Cgil di Roma e Lazio. "Noi su questo ci mobiliteremo il prossimo 8 ottobre, data che avevamo stabilito prima delle elezioni. Il lavoro fa delle proposte all'Italia e all'Europa. E avevamo detto che qualsiasi governo ci sarà, noi ci confronteremo. Il sindacato non cambia idea a secondo del quadro politico che c'è. Noi dobbiamo dare risposte ai lavoratori, giovani e pensionati, cambiando leggi e politiche sbagliate''.

Per il leader di Corso d'Italia "oggi le emergenze che c'erano prima delle elezioni ci sono ancora di più, la gente alla fine del mese non ci arriva, le bollette continuano ad aumentare. Lo stesso documento presentato dal governo in questi giorni indica il prossimo anno un rischio recessione, con una caduta secca della crescita del nostro Paese. Noi vogliamo che tutto questo non si traduca in un arretramento dei diritti e una ulteriore perdita dei posti di lavoro. Ci vogliono interventi adesso, che affrontino il caro bollette, mettendo un tetto al prezzo del gas e tassando gli extra profitti delle imprese, da ridistribuire ai salari e alle pensioni''.

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Torna il Friday for future: le immagini del corteo di Roma

Roma 23 settembre

 Il segretario generale della Cgil alla testa della delegazione della confederazione al corteo romano del "Global climate strike". "La sfida per il clima è intrecciata a quella per un'occupazione di qualità. Bisogna cambiare la logica dello sviluppo economico e rimettere al centro le persone"

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