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Il segretario generale della Cgil chiede l'apertura di un confronto con le parti sociali per superare l'emergenza sociale del Paese. E invita tutti alla grande manifestazione di sabato 8 ottobre a Roma

"Noi chiediamo al prossimo governo che con i sindacati e con le parti sociali apra un confronto vero prima di prendere delle decisioni, sia per la legge di bilancio, sia per la battaglia da fare con l'Europa per superare l'austerità e che definisca nuove regole". Così Maurizio Landini a margine dell'assemblea della Cgil di Roma e Lazio. "Noi su questo ci mobiliteremo il prossimo 8 ottobre, data che avevamo stabilito prima delle elezioni. Il lavoro fa delle proposte all'Italia e all'Europa. E avevamo detto che qualsiasi governo ci sarà, noi ci confronteremo. Il sindacato non cambia idea a secondo del quadro politico che c'è. Noi dobbiamo dare risposte ai lavoratori, giovani e pensionati, cambiando leggi e politiche sbagliate''.

Per il leader di Corso d'Italia "oggi le emergenze che c'erano prima delle elezioni ci sono ancora di più, la gente alla fine del mese non ci arriva, le bollette continuano ad aumentare. Lo stesso documento presentato dal governo in questi giorni indica il prossimo anno un rischio recessione, con una caduta secca della crescita del nostro Paese. Noi vogliamo che tutto questo non si traduca in un arretramento dei diritti e una ulteriore perdita dei posti di lavoro. Ci vogliono interventi adesso, che affrontino il caro bollette, mettendo un tetto al prezzo del gas e tassando gli extra profitti delle imprese, da ridistribuire ai salari e alle pensioni''.

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Torna il Friday for future: le immagini del corteo di Roma

Roma 23 settembre

 Il segretario generale della Cgil alla testa della delegazione della confederazione al corteo romano del "Global climate strike". "La sfida per il clima è intrecciata a quella per un'occupazione di qualità. Bisogna cambiare la logica dello sviluppo economico e rimettere al centro le persone"

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LEGGE ELETTORALE. Al cittadino elettore è imposto di votare in maniera obbligatoriamente congiunta il candidato nella parte uninominale e la lista (o la coalizione ad esso collegata)per la parte proporzionale. Con l’aggiunta che se non esprime alcun voto nel proporzionale, questo si attribuisce, pro-quota alle liste collegate. Viceversa , se vota una lista nel proporzionale, la sua scelta si trasferisce automaticamente al candidato uninominale

Protestiamo, nel nostro seggio, compilando il modulo Il 25 settembre tutti e tutte al seggio a presentare un reclamo!

 Il testo in formato stampabile si trova QUI 

Passiamo ogni giorno dinanzi ai tabelloni delle affissioni comunali e sono desolatamente vuoti; solo alcuni tradizionalisti nostalgici ricorrono ancora alla tipografia e all’attacchinaggio. Non c’è alcun motivo per spendere un solo centesimo per farsi conoscere dall’elettore dal momento che il suo destino politico dipende solo dalla scelta operata in suo favore dal capo partito e dalla sua collocazione nell’ordine di lista. Dunque può stare comodamente a casa o in vacanza. Non deve ricercare voti.
Il lavoro lo fa il meccanismo elettorale che prevede un Parlamento eletto in parte con sistema uninominale ed in parte con sistema proporzionale. Non possono dirsi elezioni ma nomine.

Al cittadino elettore è imposto di votare in maniera obbligatoriamente congiunta il candidato nella parte uninominale e la lista (o la coalizione ad esso collegata)per la parte proporzionale. Con l’aggiunta che se non esprime alcun voto nel proporzionale, questo si attribuisce, pro-quota alle liste collegate. Viceversa , se vota una lista nel proporzionale, la sua scelta si trasferisce automaticamente al candidato uninominale.
Qualcuno ha detto che questo sistema è giusto in quanto assicura la “coerenza” della intenzione di voto del cittadino nonché la cosiddetta “governabilità”.

La prima osservazione è che questo concetto della “governabilità” non c’è in nessuna parte della Costituzione ed il motivo è semplicissimo: perché le elezioni si fanno per trasferire nel Parlamento la proiezione del corpo elettorale, non per stabilire che chi vince prende tutti i posti di potere, anche perché questo sistema come è da decenni sotto gli occhi di tutti, non produce stabilità, si litiga ed i governi si sfasciano più di prima.

La “stabilità” è il frutto della mediazione non della imposizione. Si chiama politica ed è un lavoro affascinante e faticoso. Ma per questa classe dirigente è meglio il mantra “la sera delle elezioni si deve sapere chi ha vinto”. Come nella domenica sportiva. Il destino di un Paese non è una partita di calcio. In ogni caso la china è pericolosissima e siamo giunti al punto di non ritorno.
La seconda osservazione è che quando lo Stato decide cosa e come debba intendersi per “coerenza” siamo vicini alla crisi di una democrazia. Nella Costituzione non c’è la categoria etica dell’obbligo di “coerenza”. E’ una invenzione di chi vuole ridurre le Istituzioni a semplice centro di potere, senza il confronto delle idee. E’ ovvio, invece che ,dovendo esprimere due voti, si può benissimo ritenere coerente il voto sia per un candidato portatore di certe idee che quello per una lista diversa, portatrice di altre idee. Si chiama libertà di pensiero e comporta anche il diritto di essere ritenuti incoerenti.

Invece qui siamo in pieno Grande Fratello che, tradotto in politica vuol dire una sola cosa: la deriva autoritaria, punto e basta.
La considerazione finale: come è noto i Parlamentari – secondo Costituzione – non hanno vincolo di mandato. Ed è giusto perché rappresentano la Nazione, e non il partito e quindi possono esprimere liberamente il loro voto nelle Camere, talvolta per provvedimenti presentati dal loro gruppo parlamentare, dal Governo o anche dalla parte avversa, secondo coscienza, si dice. Possono addirittura trasmigrare dalla forza politica per la quale sono stati eletti ad un’altra opposta. E poi passare ad un altra, quante volte si vuole senza problemi. Insomma sono liberi, come dice la Costituzione e come è giusto.

Ed allora la domanda è :perché il parlamentare nominato può essere totalmente libero di esprimere la propria idea, di cambiarla e di essere incoerente, mentre l’elettore deve essere soggetto ad un “vincolo del mandante” e ad una “coerenza imposta” senza poter scegliere liberamente se e chi votare?

La risposta l’ha data in una scena memorabile il Marchese del Grillo: “Perché io so’ io e voi …”. E sappiamo come è finita.
Solo una grande mobilitazione popolare e democratica può invertire la rotta. Si può iniziare domenica 25 settembre chiedendo – al momento del voto- al Presidente di seggio di verbalizzare comunque una formale protesta contro questa legge elettorale, come ha proposto il senatore Felice Besostri.

Le principali compagnie fossili europee, tra cui Eni, distribuiscono i ricavi aggiuntivi agli azionisti e non aumentano gli investimenti nelle energie pulite. Le analisi ReCommon-Merian Research.

 

Le compagnie oil&gas  realizzano profitti extra beneficiando dei prezzi elevati dei combustibili fossili, ma non aumentano gli investimenti nelle energie rinnovabili, perché i proventi aggiuntivi sono distribuiti agli azionisti, sotto forma di dividendi e programmi di riacquisto di azioni proprie (share buyback).

Intanto famiglie e imprese pagano bollette sempre più care e gli Stati cercano di arginare la crisi energetica con varie misure, tra cui, in alcuni casi, tasse sui ricavi straordinari delle imprese petrolifere e del gas.

Ma queste tassazioni non stanno funzionando come dovrebbero, in particolare in Italia, dove il gettito finora è rimasto ben sotto le attese.

A quanto ammontano gli extra profitti delle aziende fossili? E dove finiscono esattamente?

Una nuova ricerca di ReCommon (think tank indipendente che promuove la transizione green) e Merian Research (società di consulenza basata a Berlino), ha provato a rispondere a queste domande, esaminando le sei principali compagnie petrolifere europee.

È bene precisare che i ricercatori hanno confrontato i numeri del primo semestre 2022 con quelli di gennaio-giugno 2019, in modo da tralasciare il 2020-2021, un biennio fortemente condizionato dagli impatti della pandemia.

Nel documento si spiega che gli autori hanno calcolato la differenza tra i profitti dei due periodi sia dal punto di vista reddituale (utili netti adjusted), sia dal punto di vista finanziario (free cash flow).

In altre parole, si sono considerati gli extra profitti sia in termini di costi e ricavi (con relativi debiti e crediti commerciali), sia in termini di entrate e uscite effettive dei flussi di cassa, considerando come free cash flow la liquidità rimanente dopo aver finanziato gli investimenti, gli interessi e altre spese finanziarie e prima di pagare dividendi o riacquistare azioni proprie.

La tabella sotto, tratta dal documento, riassume le principali conclusioni.

Dalle analisi emerge che gli extra profitti delle compagnie petrolifere europee, in termini di utile netto adjusted, ammontano a un totale di 74,55 miliardi di dollari in più nel primo semestre del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2019. In termini di free cash flow il totale è pari a 46,22 miliardi di $.

In media, si legge nella ricerca, gli extra profitti costituiscono il 3% degli asset in termini di utili e il 2% in termini di free cash flow; Equinor ha fatto risultati ben sopra la media, a causa della sua maggiore esposizione al mercato del gas.

Dalla prossima tabella emerge che le sei compagnie fossili hanno trasferito agli azionisti, tramite dividendi e programmi di riacquisto di azioni, 31 miliardi di dollari, che corrispondono rispettivamente al 42%-67% circa degli extra profitti generati, in termini di utili e di cash flow.

Gli analisti osservano che per il 2022 si prevedono investimenti nelle fonti rinnovabili per circa 8,72 miliardi di dollari; ciò significa che i ricavi aggiuntivi trasferiti agli azionisti, nel solo primo semestre 2022, sono più del triplo di tutte le risorse finanziarie destinate alla transizione verde in un anno intero.

La maggior parte delle compagnie petrolifere analizzate, afferma il rapporto di ReCommon e Merian Research, ha diminuito sensibilmente sia la produzione di idrocarburi sia il Capex, mentre ha aumentato la distribuzione dei profitti addizionali agli azionisti, senza annunciare (con qualche eccezione) nuovi investimenti nelle tecnologie pulite.

Si evidenzia poi che gli impatti delle tassazioni introdotte da alcuni Stati, come Italia e Gran Bretagna, finora sono stati molto contenuti: intorno al 5% degli extra profitti in termini di utile netto; gli extra profitti generati da Equinor saranno tassati al 70%-75% in virtù di una tassa addizionale sui redditi da petrolio già esistente in Norvegia, pari al 56% degli utili.

I risultati di Eni

Per quanto riguarda Eni, più in dettaglio, si parla di extra profitti, misurati come differenza tra primo semestre 2022 vs primo semestre 2019, che ammontano rispettivamente a 5,52-3,22 miliardi di euro, in termini di utili e di free cash flow.

Questi risultati straordinari, si spiega (neretti nostri nelle citazioni), “hanno spinto Eni ad aumentare i dividendi e le risorse destinate al riacquisto di azioni proprie. In termini di cash flow, nel primo semestre sono state riacquistate azioni proprie per 195 milioni di euro e sono stati pagati dividendi per 1,53 miliardi di euro”.

Si ricorda poi che il 26 maggio il CdA di Eni ha approvato un programma di acquisto di azioni proprie minimo di 1,1 miliardi, incrementabile fino a 2,5 miliardi, in funzione dello scenario del prezzo del Brent. Nel luglio del 2022, tale impegno di buyback è stato aumentato a 2,4 miliardi.

Gli analisti infine evidenziano che “il surplus straordinario di cash non è stato accompagnato da impegni per un maggior investimento nelle energie verdi“.

Nel primo semestre 2022, Eni ha già speso 1,73 miliardi di euro per pagare dividendi e riacquistare azioni proprie, mentre il target di investimento del comparto Green-Plenitude (decarbonizzazione, economia circolare e rinnovabili), per tutto il 2022, arriva a 1,92 miliardi di euro.

Guardando agli impatti della tassa italiana sugli extra profitti, i ricercatori sottolineano che “l’onere stanziato da Eni nel conto economico del primo semestre 2022 ammonta a 546 milioni di euro, di cui l’acconto del 40% è stato versato nel mese di giugno; il saldo è dovuto entro il mese di novembre”.

Mentre la Energy Profits Levy britannica sulle attività Uk di Eni dovrebbe fruttare circa 230 milioni di euro.

In tutto, quindi, “i due interventi di tassazione straordinaria dovrebbero costare a Eni circa 776 milioni di euro nel 2022, circa il 14% degli extra profitti calcolati come differenza tra primo semestre 2022 e primo semestre 2019″.

Ma a Eni, “in base al ricalcolo reso noto dalla stessa azienda il 31 agosto 2022, la tassa addizionale sugli extra profitti dovrebbe costare in realtà 1,4 miliardi di euro […] che si sommano ai 230 milioni stimati per le attività nel Regno Unito. In tutto, il peso delle tassazioni addizionali su Eni dovrebbe essere di circa 1,63 miliardi di euro nel 2022″.

Il punto, conclude il documento, è che per ora “le entrate fiscali dall’imposta italiana sono state decisamente minori delle attese. Entro giugno sarebbero dovuti entrare nelle casse pubbliche più di 4 miliardi di euro, la prima rata, mentre per ora ne sarebbe arrivato solo uno. Entro novembre dovrebbero arrivare altri 6 miliardi, ma il ritmo attuale pone seri dubbi sul risultato finale”.

Il 21 settembre di ogni anno ricorre la giornata internazionale della Pace, quest'anno l'appello per fermare i conflitti è ancora più urgente visto l'imperversare della guerra in Ucraina. Ma i luoghi di scontro armato sono quasi 60 in tutto il mondo e oltre 300 le aree di crisi cronica mentre le spese per le armi e militari continuano ad aumentare ovunque

L' Assemblea delle Nazioni Unite istituì nel 1981 la giornata internazionale della Pace che successivamente venne fissata per il 21 settembre di ogni anno. Nel 2001 gli Stati membri votarono una risoluzione affinché in quella giornata vi fosse il cessate il fuoco su tutto il pianeta. Che si fermassero le armi di tutti i conflitti almeno nel giorno della pace. Un giorno che durasse per sempre.  

Purtroppo, l’appello non ha messo a tacere le armi ma è sempre più urgente ricordarlo e rilanciarlo visto che la produzione e il commercio di armi, la spesa militare e le guerre godono di ottima salute. Chi sta male, invece, sono le popolazioni e il pianeta.

L’industria mondiale di armi, dal 2010 al 2020, ha prodotto un fatturato pari a 5.000 miliardi di dollari, con un trend di continua crescita