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NON SI FA CREDITO. Incontro tra il governo, banche e costruttori per cercare una soluzione al problema provocato dalla decisione di bloccare le cessioni dei crediti e gli acquisti da parte delle regioni e altri enti locali. Il governo ha mostrato apertura alla possibilità di compensare i crediti fiscali delle imprese utilizzando, in parte, i debiti fiscali delle imprese attraverso il modello F24, secondo la proposta avanzata dall’Ance e dall’Abi. Avanzata l'ipotesi di mantenere la possibilità della cessione per i lavori legati al post sisma e agli incapienti. Il decreto varata il 16 febbraio scorso inizia l'esame giovedì in commissione Finanze alla Camera. Opposizioni sulle barricate. Giuseppe Conte attacca Meloni e Giorgetti e smentisce il buco di bilancio di cui parlano

 Cantieri edili a Roma - LaPresse

Dopo avere creato il panico con il decreto legge che ha bloccato i crediti fiscali a cominciare dal Superbonus, ieri il governo ha incontrato a palazzo Chigi i rappresentanti delle banche e dei costruttori per cercare una soluzione a un problema conosciuto, ma sottovalutato dalla stessa maggioranza almeno fino al 16 febbraio scorso.

LA STRADA per lo sblocco dei crediti incagliati potrebbe essere quella di intervenire attraverso le banche con il meccanismo della compensazione con gli F24. Questa ipotesi, avanzata dall’Abi e dai costruttori dell’Ance, oltre che da Luigi Marattin (Azione-Italia Viva), intende sollecitare l’acquisto di crediti da società pubbliche controllate dallo Stato. In pratica le banche non possono più acquistare nuovi crediti perché hanno esaurito lo spazio di ’smaltimento’ fiscale. Con questa soluzione potrebbero scaricare i debiti compensandoli con gli importi dei pagamenti fiscali fatti dai clienti con i modelli F24 ai propri sportelli.

L’IPOTESI, prospettata da Fratelli d’Italia, sulla «cartoralizzazione» ieri sembrava accantonata. Il meccanismo prevede l’individuazione delle risorse incagliate, la costruzione di ’pacchetti’ di crediti da cedere poi sul mercato con società veicolo specializzate. È uno strumento di mercato e al momento appare accantonata anche perché potrebbe prevedere tempi lunghi. Il governo avrebbe valutato l’intervento Cassa Depositi e Prestiti e della Sace. Tuttavia questa ipotesi richiede mesi per elaborare strumenti finanziari complessi. Per questo motivo è stata ritenuta improponibile dalle associazioni delle imprese edili per risolvere nell’immediato l’urgenza creata dallo stesso governo.

«SE TUTTO QUESTO prevede la costituzione di una società veicolo, la necessità di chiedere pareri e autorizzazioni, nel frattempo le imprese sono già belle e morte, i condomini scoppiati e i lavori bloccati” ha detto la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Nel frattempo le 25 mila imprese messe a rischio dal governo con il suo decreto rischierebbero il fallimento. E 100 mila persone rischierebbero di finire disoccupati, è la stima della Fillea Cgil. La soluzione degli F24 è uno strumento di finanza pubblica che prevede compensazioni tra crediti e debiti fiscali. Ance ha comunque chiesto «un’apertura da parte delle partecipate a comprare i crediti pregressi». È stato affrontato il problema dello sconto in fattura per alcune fasce di reddito e per gli incapienti, penalizzati dal decreto. Dal 17 febbraio chi potrà chiedere lo sconto sarà solo chi ha un reddito più che alto.

L’AZIONE IMPROVVISATA del governo sarebbe stata causata dal fatto che l’Eurostat ha pubblicato il nuovo Manuale su deficit e debito pubblico, che dà l’interpretazione autentica su come vanno contabilizzati i crediti maturati. L’Italia aveva classificato tali crediti come detrazioni che generano una spesa immediata ma riducono le entrate future dello Stato. Il loro impatto era stato spalmato per cinque anni. Ora sembra che i crediti sarebbero invece pagabili e andrebbero contabilizzati nello stesso momento in cui sono generati. Il responso su questo mistero contabile dovrebbe arrivare tra qualche giorno, in marzo. Sembra che le detrazioni maturate nel 2021 e 2022 andranno ad aumentare il deficit di quegli anni. Allora si potrebbe aprire uno spazio finanziario per finanziare le misure sociali senza penalizzare altri interventi pubblici che pesano sul deficit. Dal 2023 potrebbero essere contabilizzati gli importi sul debito pubblico.I crediti incagliati avrebbero un impatto meno traumatico. Il meccanismo andava comunque interrotto, questo dicono dal governo, per evitare di far esplodere i conti nel 2023.

«LA SOLUZIONE che noi cerchiamo è sull’intero ammontare dei crediti, 110 miliardi di euro. L’urgenza ora è sullo stock dei crediti che in base alle rilevazioni dell’agenzia delle Entrate fanno riferimento alle imprese del settore edilizio, che hanno l’esistenza ad oggi di 19 miliardi circa di crediti «incagliati». Lo sforzo che noi faremo nei prossimi giorni con i tavoli tecnici è come far sgonfiare questa bolla», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

IN ATTESA 
di una risposta che probabilmente nopn arriverà mai, ieri i Cinque Stelle hanno di nuovo rifiutato la responsabilità di avere creato la «bolla» dei crediti. Una responsabilità condivisa con tutti i partiti (Lega compresa) con cui ha governato in questi anni. «È attacco politico studiato a tavolino come sul reddito di cittadinanza» ha detto Mariolina Castellone (M5S), vicepresidente del Senato. «Un governo responsabile – ha detto Giuseppe Conte – non è che la sera senza preavvertire chiude tutto: si predispone con le forze in parlamento per trovare soluzioni e ce ne sono tante. Ora si tornerà al nero e ci saranno oltre 100 mila disoccupati. Il superbonus non tocca il debito, al limite impatta sul deficit, ma è assolutamente positivo per il sistema. È stato un volano». Lo conferma anche l’Ance: «È stato una misura di emergenza nata durante la pandemia, con un settore allo stremo e l’Italia in piena recessione. La narrazione di tutto questo è stata brutta».

LE DOMANDE, a questo punto, sono: i tavoli andrebbero fatti prima di fare i decreti che poi vengono stravolti. Oppure il governo è messo così alle strette da avere preso una decisione che ha portato al caos? Perché quelli precedenti hanno permesso di arrivare qui?

 

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CRISI UCRAINA. Visita a sorpresa, tra segreti e ore di treno: «La Russia ci voleva divisi ma siamo più uniti che mai». E porta nuove armi e aiuti. La più grande prova di forza dell’amministrazione Usa nei confronti del Cremlino dall’inizio della guerra. E le reazioni russe sono state tutt’altro che pacate

 Biden con Zelensky durante la visita a sorpresa a Kiev - Ap

«Ma è davvero lui?», si chiedevano i giornalisti assiepati contro le transenne di fronte al Monastero di San Michele. Mentre Joe Biden usciva dal portone carta da zucchero fianco a fianco con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky gli obiettivi delle macchine fotografiche scattavano raffiche nel tentativo di immortalare al meglio quel momento storico.

Perché il presidente statunitense che visita Kiev a sorpresa a quattro giorni dall’anniversario della guerra in Ucraina è un evento di enorme portata. In primis per il significato simbolico della sua stessa presenza nella capitale di un Paese in guerra contro il nemico storico della Guerra fredda. In secondo luogo perché, come è evidente, dal Cremlino avrebbero anche potuto colpire.

IN VIA DEL TUTTO ipotetica perché, come ha poi rivelato il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan: «Mosca era stata avvisata diverse ore prima» dell’arrivo di Biden. Anche perché, in teoria, Biden sarebbe dovuto arrivare a Varsavia stamattina per una visita di due giorni e i funzionari della Casa bianca avevano ripetutamente negato che vi fosse la possibilità che il presidente si recasse anche in Ucraina. Fino a pubblicare, domenica sera, una sorta di tabella di marcia che mostrava Biden ancora al lavoro a Washington durante la giornata di ieri e in partenza per Varsavia in serata, quando in realtà si trovava già a un oceano di distanza.

Tuttavia, a Kiev, dalle prime luci dell’alba di lunedì era chiaro che stesse per accadere qualcosa di particolare. Il viale Khreschatyk, che taglia tutto il centro passando per piazza Maidan era particolarmente sorvegliato, squadre di militari e poliziotti a presidiare gli angoli delle strade e diverse pattuglie di ronda.

Alla fine della salita che termina su uno dei luoghi simbolo di Kiev, la piana che da un lato è dominata dalla cattedrale di Santa Sofia e dall’altra dal monastero di San Michele, posti di blocco e decine di militari. Al mattino presto l’accesso a quest’area era negato e a circa duecento metri dall’ingresso al monastero erano state posizionate delle transenne con dei militari armati di guardia.

A METÀ MATTINATA, dopo un volo notturno sull’Air force one e circa 10 ore in treno (più un probabile tragitto in elicottero, ma su questo non ci sono conferme), l’ottantunenne Joe Biden è sceso di fronte all’ingresso del monastero di San Michele e ha salutato Volodymyr Zelensky e la first lady, Olena, con calorose strette di mano e sorrisi.

Poco dopo i due capi di stato sono usciti in strada, senza giubbotti antiproiettili ed elmetti, e hanno camminato per poche decine di metri fino al «muro del ricordo» che ricopre tutto un lato delle mura di San Michele e sul quale sono affisse le fotografie e i nomi dei militari ucraini caduti nella guerra contro i separatisti in Donbass dal 2014. In quei pochi minuti l’allarme anti-aereo è risuonato nei cieli di Kiev ma non c’è stato alcun visibile cambiamento nel programma.

Durante la conferenza a margine dell’incontro il presidente statunitense non ha mancato di elogiare il coraggio della resistenza ucraina e di attaccare la Russia di Putin che «ci voleva divisa e sconfitta» e invece ora «ci vede più uniti che mai e determinati a combattere». Biden ha raccontato dei suoi timori di non poter più tornare in una «Kiev libera e democratica» dopo il 24 febbraio dell’anno scorso.

Ha promesso un nuovo pacchetto di armi all’Ucraina, compresi missili a più lungo raggio per gli Himars e il sistema di contraerea Patriot, oltre a un nuovo pacchetto di aiuti economici per garantire «il funzionamento minimo dello stato», si parla di circa 18 miliardi di dollari.

Ha evocato anche le sanzioni economiche alla Russia, che saranno inasprite, e ha ribadito il suo supporto all’Ucraina fino alla fine. Zelensky dal canto suo non ha menzionato gli F-16, contrariamente da quanto accade in ogni occasione pubblica, e si è mostrato molto sorridente, quasi emozionato. È chiaro che questa giornata per il suo governo e per lui nello specifico rappresenta una vittoria diplomatica e una garanzia per i prossimi mesi.

DIVERSI ANALISTI hanno interpretato la visita di Biden come la più grande prova di forza dell’amministrazione Usa nei confronti del Cremlino dall’inizio della guerra. Difatti, le reazioni russe sono state tutt’altro che pacate. Oltre ad accusare Washington di aver finalmente «gettato la maschera» e aver «mostrato al mondo chi è che sta muovendo i fili del governo nazista di Kiev», Biden stesso è stato accusato di essere «come Hitler» che durante la “Campagna di Russia” si era recato in visita ai territori dell’Urss temporaneamente occupati dalle forze dell’Asse.

In molti hanno parlato di aperta provocazione e neanche gli insulti di «demenza senile» per capo di stato sono mancati. Il tutto mentre il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, era in visita a Mosca per «promuovere le relazioni con la Russia e tentare di mediare per la pace». O, come dicono da Washington, per parlare di forniture di armi all’esercito russo.

Oggi anche la premier italiana Giorgia Meloni sarà a Kiev per ribadire il supporto del suo governo alla causa ucraina e il saldo posizionamento atlantico di Roma, sferzato negli ultimi giorni dalle ultime dichiarazioni dell’ex-premier Berlusconi e dai problemi che alcuni colleghi giornalisti stanno avendo con le autorità locali

 

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Una volta pubblicato in Gazzetta, il decreto dovrebbe andare in Senato per iniziare l’iter di conversione.

 

Il silenzio-assenso della pubblica amministrazione varrà anche per l’installazione di impianti fotovoltaici di piccola dimensione nelle zone con vincolo paesaggistico, se non si riceve risposta entro 45 giorni dalla presentazione della richiesta autorizzativa.

Tale termine potrà essere sospeso una sola volta e per un massimo di 30 giorni “qualora, entro 15 giorni dalla data di ricezione dell’istanza, la Soprintendenza rappresenti, in modo puntuale e motivato, la necessità di effettuare approfondimenti istruttori ovvero di apportare modifiche al progetto di installazione”.

L’iter per l’Autorizzazione unica (Au) per impianti a fonti rinnovabili dovrà concludersi entro 150 giorni dalla ricezione dell’istanza di avvio del procedimento, e l’autorizzazione comprenderà anche la valutazione di impatto ambientale (Via), ove serva.

Inoltre, l’adozione del provvedimento di Via non sarà più “subordinata alla conclusione delle attività di verifica preventiva dell’interesse archeologico” (Vpia). Tale adempimento, infatti, potrà essere fatto “nel corso della conferenza dei servizi”.

Per i progetti non soggetti a Via, invece, il ministero della Cultura parteciperà al procedimento autorizzativo solo se le aree interessate sono vincolate e non più nelle aree “contermini, cioè contigue.

Sono questi alcuni dei punti salienti delle semplificazioni per le rinnovabili introdotte col decreto-legge per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.

Il comunicato

“Il provvedimento introduce nuove disposizioni di semplificazione per la diffusione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Tra queste, si annoverano misure per rendere più semplice e snello l’iter di installazione di impianti fotovoltaici in aree a destinazione industriale, artigianale e commerciale, nonché in discariche e cave non più soggette a sfruttamento”, si legge in una nota del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase).

È inoltre prevista “una misura volta a ridurre la fascia di rispetto (da beni o aree sottoposte a vincoli paesaggistici) per l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici”, prosegue la nota.

In particolare, “l’attuale fascia di sette chilometri per gli impianti eolici è ridotta a tre chilometri, mentre quella di un chilometro per gli impianti fotovoltaici è ridotta a cinquecento metri. Inoltre, si prevede espressamente che, nei procedimenti autorizzatori, resta ferma la competenza del Ministero della cultura a esprimersi in relazione ai soli progetti localizzati in aree sottoposte a tutela”, si legge nella relazione descrittiva del decreto.

Nei casi in cui dalla verifica preventiva dell’interesse archeologico emerga l’esistenza di tale interesse, il termine fissato dal soprintendente per attuare le verifiche necessarie non potrà comunque andare oltre la data prevista per l’avvio dei lavori, si legge nella bozza entrata al Consiglio dei ministri.

Sarà poi la Soprintendenza speciale a svolgere le funzioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici interessati dagli interventi previsti dal Pnrr, in sostituzione delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio. Tale potere era già previsto, ma valeva solo in caso di necessità e per assicurare la tempestiva attuazione del Pnrr.

Poteri sostitutivi e superamento del dissenso

Confermate nella bozza più recente anche le anticipazioni circolate riguardo una gamma di poteri sostitutivi e di superamento del dissenso “al fine di assicurare il rispetto del cronoprogramma degli interventi”.

In caso di “mancata adozione di atti”, “ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione dei progetti o degli interventi, il Presidente del Consiglio dei ministri, ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Pnrr, su proposta della Cabina di regia o del Ministro competente, assegna al soggetto attuatore interessato un termine per provvedere non superiore a quindici giorni”, si legge nella bozza di decreto.

In caso di perdurante inerzia, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro competente, sentito il soggetto attuatore, il Consiglio dei ministri individua l’amministrazione, l’ente, l’organo o l’ufficio, ovvero in alternativa nomina uno o più commissari ad acta, ai quali attribuisce, in via sostitutiva, il potere di adottare gli atti o provvedimenti necessari ovvero di provvedere all’esecuzione dei progetti, anche avvalendosi di società… o di altre amministrazioni specificamente indicate, e degli interventi, assicurando, ove necessario, il coordinamento operativo tra le varie amministrazioni, enti o organi coinvolti”, prosegue il decreto.

Esenzioni dalla Via

Confermate anche le anticipazioni sulle semplificazioni in materia di Valutazione d’impatto ambientale (Via).

Nei casi eccezionali in cui è necessario procedere con urgenza alla realizzazione di interventi di competenza statale previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dal Piano nazionale per gli investimenti complementari, il Ministro competente per la realizzazione dell’intervento può proporre al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica l’avvio della procedura di esenzione del relativo progetto dalle disposizioni” di Via, indica l’Art. 18-ter della bozza di decreto.

In tali casi eccezionali, continua il decreto, “è ammesso l’affidamento di progettazione ed esecuzione dei relativi lavori anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica… In tali casi, la conferenza di servizi… è svolta dalla stazione appaltante in forma semplificata… e la determinazione conclusiva della stessa approva il progetto, determina la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera…”.

Agrovoltaico

Circa le misure riguardanti l’integrazione fra produzione agricola ed energetica, ci sono delle conferme e delle novità rispetto alle ultime bozze circolate del decreto.

È stato confermato che gli impianti fotovoltaici in aree agricole, se posti al di fuori di aree protette o vincolate, “sono considerati manufatti strumentali all’attività agricola e sono liberamente installabili”, solo però se sono rispettate le seguenti due condizioni: “a) i pannelli solari sono posti sopra le piantagioni ad altezza pari o superiore a due metri dal suolo, senza fondazioni in cemento o difficilmente amovibili, b) le modalità realizzative prevedono una loro effettiva compatibilità e integrazione con le attività agricole quale supporto per le piante ovvero per sistemi di irrigazione parcellizzata e di protezione o ombreggiatura parziale o mobile delle coltivazioni sottostanti”.

La novità è che le condizioni di cui sopra varranno solo “previa definizione delle aree idonee di cui all’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199″. Inoltre, tali impianti saranno considerati manufatti strumentali all’attività agricola e liberamente installabili non solo se sono realizzati direttamente da imprenditori agricoli, ma anche “da società a partecipazione congiunta con i produttori di energia elettrica alle quali è conferita l’azienda o il ramo di azienda da parte degli stessi imprenditori agricoli ai quali è riservata l’attività di gestione imprenditoriali salvo che per gli aspetti tecnici di funzionamento dell’impianto e di cessione dell’energia“.

È stata inoltre aggiunto che i sistemi agrovoltaici, oltre a dover garantire un’effettiva integrazione fra produzione agricola ed energetica, dovranno dotare gli apparati di irrigazione, ombreggiatura, ecc. di apparecchiature di monitoraggio, “sulla base di linee guida adottate dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, in collaborazione con il Gestore dei servizi energetici (Gse)“.

Infine, non compare più nel testo del decreto il passaggio che definiva gli impianti agrovoltaici come “infrastrutture strategiche nazionali”.

No Pas

È scomparsa dalla bozza anche la possibilità di ottenere il permesso per i grandi impianti fotovoltaici tramite una Procedura autorizzativa semplificata (Pas) nel caso gli operatori avessero accettato di vendere al Gestore dei servizi energetici l’elettricità prodotta per un periodo di 15 anni (vedere sia per la misura circa l’agrovoltaico che per la Pas: Fotovoltaico e agrivoltaico: nella nuova bozza di Pnrr semplificazioni che lasciano perplessi).

Mini-eolico

Varrà anche per gli impianti mini-eolici, cioè quelli “fino a 20 kW e altezza non superiore a 10 metri” in zone parco, e complessi caratteristici, inclusi i centri e i nuclei storici, il principio del silenzio-assenso negli stessi termini previsti per il piccolo fotovoltaico.

La realizzazione degli interventi di installazione è consentita previo rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità paesaggistica competente, entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di ricezione dell’istanza, decorso il quale senza che siano stati comunicati i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza medesima… l’autorizzazione si intende rilasciata ed è immediatamente efficace”, si legge nel decreto.

Sviluppo rete

Compaiono anche misure di semplificazione per lo sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale.

Una misura è volta a garantire che gli elementi emersi nell’ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica (Vas) sul piano di sviluppo della rete possano essere acquisiti e considerati anche nell’ambito della Via dei singoli interventi previsti dal piano stesso, in modo da accelerarne i tempi.

L’altra misura è volta a facilitare la realizzazione degli aumenti di cubatura degli edifici destinati, in via esclusiva, alla collocazione di apparecchiature o impianti tecnologici al servizio delle stazioni elettriche.

Una volta pubblicato in Gazzetta, il decreto dovrebbe andare in Senato per iniziare l’iter di conversione.

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Il Mase deve ancora adottare 58 provvedimenti previsti dalla legislatura precedente. I dati del monitoraggio legislativo-amministrativo.

 

Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) è quello più in ritardo nell’adottare i decreti attuativi ereditati dalla precedente legislatura (la XVIII ha visto in carica tre governi: Conte 1 e 2 e poi Draghi), mentre il governo Meloni deve ancora adottare 135 provvedimenti attuativi riferiti alle sue iniziative legislative.

Questi, in sintesi, sono alcuni dei dati principali che emergono dal monitoraggio legislativo e amministrativo svolto dall’Ufficio per il programma di Governo, dall’insediamento del governo Meloni (23 ottobre 2022) al 10 gennaio 2023.

Per quanto riguarda gli atti normativi della XVIII legislatura, restano in totale 347 provvedimenti attuativi da adottare dalle singole amministrazioni; in testa, come anticipato, c’è il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica con 58 provvedimenti, seguito dal ministero della Salute (57) e da quello delle Infrastrutture e dei trasporti (37).

Ricordiamo che tra i decreti mancanti più attesi, in campo energetico, ci sono quelli del Mase attuativi del decreto legislativo 199/2021 che recepisce la direttiva europea sulle rinnovabili (Red 2), direttiva peraltro già in fase di revisione.

A fine gennaio erano arrivate indicazioni dal ministero sull’arrivo “entro marzo” di questi decreti.

Più in generale, tra i principali provvedimenti attesi dagli operatori delle energie rinnovabili figurano anche: le linee guida sulle aree idonee, il decreto sulle comunità energetiche, il bando Pnrr per l’agrovoltaico, decreto Fer 2 e decreto che sostituirà il Fer 1.

Nei primi tre mesi di attività, si legge poi nel rapporto di monitoraggio, la produzione legislativa del governo Meloni ha portato alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di 16 provvedimenti, di cui sei provvedimenti sono “autoapplicativi” (cioè non hanno previsto il rinvio a successivi decreti attuativi) e dieci invece hanno rinviato, per la loro piena adozione, a 135 decreti attuativi.

Di questi ultimi, la maggior parte (116) è prevista dalla legge di Bilancio 2023, mentre i restanti 9 provvedimenti rinviano complessivamente a 19 decreti attuativi.

Dei 135 decreti mancanti, 40 spettano al ministero delle Finanze (30% del totale), mentre 17 spettano al ministero dei Trasporti e 10 a quello dell’Agricoltura.

In particolare, per quanto riguarda i 14 decreti legge deliberati dal Consiglio dei ministri, si osserva che circa un terzo di essi (4 provvedimenti) ha riguardato interventi di carattere emergenziale connessi alla crisi energetica.

Si tratta dei seguenti decreti legge:

  • n. 176/2022 (cosiddetto “decreto Aiuti-quater”) che ha introdotto misure urgenti in materia di energia elettrica, gas naturale e carburanti;
  • n. 179/2022 con misure in materia di accise e IVA sui carburanti;
  • n. 187/2022 con misure a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici;
  • n. 2/2023 finalizzato a salvaguardare determinati contesti industriali che, anche a causa del caro-energia, si trovano in situazione di carenza di liquidità.

Il decreto più oneroso è il 176/2022 che prevede di impiegare risorse finanziarie complessive, nel triennio 2022-2024, per circa 19 miliardi di euro.

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CRISI UCRAINA. Il presidente della Cei a un anno dall'inizio della guerra tra Russia e Ucraina: «Le realtà sovranazionali come l'Onu costituiscono vie per la democrazia e la pace»

Zuppi (Cei): cercare ogni via per la pace 

«Ad un anno dall’inizio della guerra» tra Russia e Ucraina, «non dimentichiamo che c’è una vittima e un occupante, non facciamo finta che sia tutto uguale, ma bisogna cercare disperatamente le vie della pace. Bisogna fare uno sforzo gigantesco, contemporaneo alla legittima difesa. Le realtà sovranazionali come l’Onu costituiscono vie per la democrazia e la pace».

Così il presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, è intervenuto a Bologna all’incontro della “Rete delle realtà cattoliche ed ecumeniche contro le armi atomiche nei conflitti”. «Se c’è il diritto ad una legittima difesa – ha osservato il capo dei vescovi italiani – va anche considerato legittimo il diritto alla difesa della pace, facciamo nostro l’appello di papa Francesco per non abituarci alla guerra»

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EDITORIA. La proprietà della famiglia Agnelli, dopo L’Espresso, tratta altri giornali locali. Ma anche Repubblica può essere liquidata

Sciopero a Gedi: «Tutte le testate a rischio vendita» 

Da quando a dicembre 2019 gli Agnelli si sono comprati Repubblica le cose vanno sempre peggio. Ieri i giornalisti dell’intero gruppo Gedi – oltre a Repubblica e La Stampa, le testate locali rimaste dalla già grossa sforbiciata all’ex impero Finegil di De Benedetti – erano in sciopero. Il secondo in meno di un anno: un ritmo che, sommato al tono allarmato dei comunicati dei lavoratori, ricorda la parabola che a l’Unità partì con la direzione De Gregorio e che portò alla chiusura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci.

JOHN ELKANN COME EDITORE ha dimostrato capacità perfino peggiori di suo cugino Andrea Agnelli come presidente della Juventus, lasciata sul baratro della bancarotta e degli scandali giudiziari. Dalla scelta di nominare direttore di Repubblica Maurizio Molinari, uno che è di sinistra quanto Carlo Calenda e filoIsraele quanto Netanyahu – alle scelte editoriali, di management e di scelta degli acquirenti, come conferma quella di Danilo Iervolino, mister Pegaso e università online, per l’Espresso, per la quale il marzo scorso era stato proclamato il primo sciopero.

IL GRANDE RISCHIO ORA è che a essere venduta sia proprio Repubblica. «Il perimetro non esiste più, di fatto – sottolinea il Coordinamento dei comitati di redazione del Gruppo Gedi, dopo aver incontrato l’amministratore delegato Maurizio Scanavino.
Ai Cdr l’ad ha detto: «Dipende dall’offerta e dagli interlocutori», confermando che sono in corso contatti con gruppi interessati all’acquisizione delle storiche testate del Nordest – il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, la Tribuna di Treviso, il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto e Il Piccolo – a cui si aggiungerebbe la Gazzetta di Mantova.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Welfare e reddito: l’universalismo diventa sciovinismo

«Ma il principio può essere esteso anche a La Stampa, la Repubblica, Il Secolo XIX, la Provincia Pavese, la Sentinella del Canavese, Huffington Post, le radio: non c’è più il «perimetro di riferimento aziendale» che lo stesso ad aveva delineato solo a dicembre. «Quello che è stato il più grande gruppo editoriale italiano e che dalla sera alla mattina ha già venduto in tre anni testate storiche come la Nuova Sardegna e Il Tirreno, le Gazzette, La Nuova Ferrara, L’Espresso e chiuso Micromega, si apre nuovamente al mercato».

«La logica del vantaggio economico – affermano ancora i Cdr – si è rapidamente sostituita a quella dell’interesse per i territori e l’informazione, per la quale tutte le giornaliste e i giornalisti hanno lavorato in questi anni. In un libero mercato la proprietà ha certamente facoltà di vendere – pur assumendosi la responsabilità di disperdere l’eredità di un gruppo editoriale che ha fatto la storia dell’informazione in Italia – ma avendo ben chiaro che l’informazione libera e il pluralismo sono un bene sensibile essenziale alla democrazia. Serve massima trasparenza su chi ne avrà la futura proprietà e garanzie sul rispetto dei diritti di lavoro dei dipendenti», conclude il comunicato.

LA SOLIDARIETÀ DI TUTTE le forze politiche e del sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini, pronto a incontrare i giornalisti, non cambia la sostanza: gli Agnelli stanno rovinando la storia del giornalismo italiano

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